La Jornada

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03 maggio 2018

 

Ahi! Nicaragua, piccola Nicaragua

di Raúl Zibechi

Traduzione a cura del Comitato Carlos Fonseca

 

Riprendiamo questo contributo di Raúl Zibechi, giornalista militante e studioso dei movimenti sociali dell’America Latina, sulle grandi manifestazioni che stanno attraversando il Nicaragua in queste settimane contro la riforma della previdenza sociale varata dal governo di Daniel Ortega e Rosario Murillo e sulla violenta repressione che ne è seguita.

“Che fare per non diventare fascista anche quando (soprattutto quando) uno crede di essere un militante rivoluzionario?”. La frase di Michel Foucault descrive alla perfezione il processo che vive il Nicaragua.

Il governo di Daniel Ortega e Rosario Murillo ha decretato una riforma della previdenza sociale che, tra le altre cose, impone una riduzione del 5 per cento delle pensioni per raddrizzare i conti dell’Istituto Nicaraguense della Previdenza Sociale (INSS), seguendo il suggerimento del FMI. La situazione economica si è deteriorata a seguito della crisi venezuelana, ma i danni li pagheranno quelli in basso.

Come si sa, la repressione si è presa in appena quattro giorni tra i 25 e i 30 morti. L’Articolazione Femminista Nicaraguense denuncia un tipo di repressione molto particolare, “contro giovani universitari e la popolazione che li appoggia attivamente, associando le forze antisommossa della Polizia Nazionale con le forze paramilitari formate da giovani presuntamente organizzati in quella che loro chiamano “Gioventù Sandinista”.

La maggioranza dei morti sono stati crivellati dai poliziotti antisommossa che proteggono i paramilitari. Il governo ha chiuso temporaneamente “i pochi mezzi di informazione indipendenti che ancora sopravvivono nel paese”, secondo quanto denunciano le femministe che definiscono il governo di questi 11 anni come “patriarcale, escludente e misogino”.

Quello che dobbiamo mettere a nudo è come si sia giunti a questa situazione. Come sia stato possibile che una forza politica rivoluzionaria, e dei capi che costruirono il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, si siano trasformati in assassini del proprio popolo. Credo che questa crisi illumini per lo meno quattro questioni.

La prima consiste nel ricordare che non è la prima volta che questo succede con i movimenti rivoluzionari al potere. È la storia dell’Unione Sovietica di Stalin, ma è anche la terribile storia di Sendero Luminoso, della guerriglia salvadoregna che assassinò Roque Dalton per contrasti politici e che organizzò l’assassinio della comandante Ana María. Questioni scomode di cui non si vuole parlare e ancor meno apprendere.

La seconda è che la coppia Ortega-Murillo ha commesso dei crimini, senza che la sinistra egemone abbia detto una sola parola, perché per loro tutto consiste nel detenere il potere, a qualsiasi prezzo. Quando nel 1998 Zoilamérica Narváez, figlia della Murillo e figliastra di Ortega lo denunciò per violenze, i partiti membri del Forum di San Paolo non alzarono la voce, né misero in questione il denunciato. Quando l’attuale vicepresidente del Nicaragua, la signora degli anelli e delle gioie, difese il suo sposo contro sua figlia per rafforzare il proprio potere, le sinistre guardarono da un’altra parte.

Nemmeno si sollevò la voce quando fu firmato, anche nel 1998, il patto di Ortega con Arnoldo Alemán, di destra, per ripartirsi il paese e proteggere le proprie ricchezze. Non denunciarono l’alleanza con il potere economico, la scandalosa corruzione della cupola del FSLN, le minacce agli oppositori di sinistra che sono i veri sandinisti, che considerano traditori la cricca di Ortega e Murillo.

Probabilmente una delle analisi più lucide sulla degenerazione del governo l’ha scritta Mónica Baltodano, nella rivista Envío del gennaio 2014, con il titolo ¿Qué régimen es éste? ¿Qué mutaciones ha experimentado el FSLN hasta llegar a lo que es hoy? (Che regime è questo? Che mutazioni ha sperimentato il FSLN fino a giungere a quello che è oggi?). L’ex comandante guerrigliera fa riferimento a quattro mutazioni dell’orteghismo che spiegano l’attuale deriva.

Sostiene, in primo luogo, che è stato rafforzato “come mai prima” un regime politico ed economico contro i poveri e a favore della concentrazione della ricchezza e del potere. In secondo luogo, menziona che “è aumentata la subordinazione del paese alla logica globale del capitale”, che approfitta delle ricchezze naturali e della mano d’opera economica in Nicaragua. La terza è che “l’attuale sistema economico-sociale ha bisogno di mettere fine alle resistenze sociali e il regime di Ortega l’ottiene esercitando un severo controllo sociale”. E la quarta consiste nella concentrazione di potere della cricca Ortega-Murillo.

La privatizzazione del Fronte Sandinista è stato un processo che si è sviluppato “prima della creazione dell’oligarchia economico-finanziaria del Fronte”, fatto che gli ha permesso un controllo assoluto delle principali istituzioni del paese, per usare “quel potere concentrato per riprodursi, consolidarsi e installarsi per anni al vertice dello stato”. Considera che si tratti di una simbiosi degli Ortega con il potere economico nicaraguense, tra l’emergente borghesia tradizionale e la “borghesia rossonera”.

La terza questione che illumina la crisi nicaraguense, è che mette a nudo la povertà etica e politica delle sinistre. Più che povertà, decomposizione di ogni regola. Ci sono ancora “intellettuali” (“mercenari”, come dice un veterano militante comunista) che continuano a menzionare l’intervento dell’imperialismo in Nicaragua per giustificare i crimini. Non ho il minimo dubbio che gli Stati Uniti incoraggino i giovani nica a rovesciare Ortega. Ma questo non ha la minima importanza, perché non stiamo giocando agli scacchi geopolitici ma difendendo la vita dei popoli, quella vita che il governo di Managua si impegna a distruggere.

La quarta questione è che dobbiamo lavorare arduamente per rompere con un dilemma di ferro: la politica come guerra, anche se con altri mezzi, come disse Clausewitz e celebrò Lenin. La guerra consiste nella sconfitta e nell’annichilimento del nemico, con o senza armi. Credo che dobbiamo difenderci dai nemici, anche con le armi. Ma fondare la politica sulla guerra (con strategie, tattiche e con arti militari) è una strada che porta la lotta per l’emancipazione verso un insondabile abisso. Ci siamo formati in questa tradizione, ma è ora di ripensarla.

Quando i giovani nica gridano “Ortega e Somoza, sono la medesima cosa”, è perché si è perso il nord, in onore del potere. Ci rimane l’esempio dei curdi e degli zapatisti, che resistono senza trasformarsi in criminali.

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