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13 ottobre 2018

 

Brasile: Fakenews, Media, e CIA promuovono l’anti-petismo di Bolsonaro

di Achille Lollo

 

I clamorosi risultati del primo turno delle elezioni presidenziali e quelle legislative brasiliane hanno stupito i principali giornali europei e latino-americani, perché i suoi analisti e gran parte dei corrispondenti esteri non hanno mai creduto che il candidato del PSL (1) Jair Messias Bolsonaro, potesse disputare il secondo turno ottenendo il 46% (49.276.896) dei voti validi. Per questo motivo, oggi, Datafolha ammette che Bolsonaro sarà eletto presidente addirittura con il 58%!

Nel campo progressista, Fernando Haddad, del PT (2), nonostante fosse il candidato indicato da Lula come suo successore, si è fermato al 29,3%, sommando 31.496.000 suffragi, di cui il 70% ottenuti nei poverissimi stati del nordest brasiliano. Questo risultato dimostra che la classe media “democratica” e i settori della borghesia “illuminata” hanno abbandonato il PT per votare Ciro Gomes, il candidato del PDT (3), che in questo modo si è aggiudicato il terzo posto con 12,5%, pari a 13.344.353 voti. Invece nel campo della sinistra il giovane Guilherme Boulos del PSOL (4) nonostante si sia arenato al 0,60% per essere poco conosciuto, merita di essere ricordato per aver proposto la formazione di un fronte popolare anti-fascista, con cui fermare la prospettiva della ristrutturazione liberista, voluta dal mercato e imposta con l’autoritarismo di tipo cileno de candidato Bolsonaro. Purtroppo la lucidità politica di Boulos non è stata capita dal movimento popolare e minimizzata dal PT e dal PDT!

Comunque, in questo scenario non possiamo dimenticare che 29.919.000 elettori, cioè il 20,32% ha disertato le urne elettroniche del TSE (5) mentre 3.106.000 (2,65%) hanno votato in bianco e altri 7.206.000 elettori (6,14%) hanno boicottato tutti i candidati annullando il voto. L’assenza di circa trenta milioni di elettori, in un’elezione polarizzata come questa del 2018, è un chiaro segnale del tracollo della democrazia rappresentativa e quindi della stessa politica che oggi è rappresentata dalle Fakenews della rete o dagli scoop prodotti dalle centrali del marketing elettorale.

 

Il secondo turno

Le prime proiezioni numeriche per il secondo turno del 28 ottobre, indicano che se i partiti minori conservatori e i moderati – NOVO (2,5%), PATRI (1,3%), MPB (1,2%) e DC (0,1%) -, appoggeranno Bolsonaro nel secondo turno, questi sarà eletto con un effettivo 51,10%.  Una percentuale che nelle inchieste fatte da “Datafolha” il 10 ottobre, potrebbe crescere fino al 58%, poiché la maggior parte degli elettori del PSDB , dopo la sconfitta di Alkmin e il caos politico provocato da Aelcio Neves, il 28 ottobre sceglierebbe il cosiddetto “voto utile” in favore di Bolsonaro. D’altra parte il “guru” politico del PSDB, l’ex-presidente Fernando Henrique Cardoso, ancora non ha pronunciato una sola parola in favore del PT e del suo candidato Haddad. Un silenzio che avvalora l’ipotesi del silenzioso “voto utile” in favore del fascistoide Bolsonaro.

Per questi motivi per l’oppositore Fernando Haddad, lo scenario del secondo turno si presenta molto complesso, al punto che l’istituto di sondaggi elettorali “Datafolha”, il giorno 12 ottobre – vale a dire a soli 16 giorni dal voto del secondo turno – annuncia la sconfitta del candidato del PT, che non dovrebbe superare il 42%. Infatti, l’alleanza con i tradizionali partiti del centro-sinistra, il PDT di Ciro Gomes e il PSB dell’ex calciatore Romário, insieme al piccolo partito ambientalista Rede di Marina Silva ed anche con il voto dei militanti dei minuscoli partiti della sinistra – il PSOL di Guilherme Boulos, il PCdoB, il PCB e il PCO (6) -, nel migliore dei casi garantirebbero a Haddad il 46% dei voti.

Per ribaltare le previsioni negative di “Datafolha”, ma anche di “IBOPE”, al candidato del PT, Fernando Haddad, mancherebbe quel consistente 7% di voti che la macchina elettorale del PT adesso cerca di ripescare convincendo una parte degli elettori che nel primo turno si sono astenuti o di quelli che hanno votato scheda bianca.  Un’operazione difficile poiché secondo “IBOPE” la maggior parte degli elettori astenuti non sono di destra e tantomeno conservatori. Sono, invece, elettori di sinistra che nel 2014, seguirono l’indicazione di Lula di votare per Dilma Roussef e che adesso – a causa del mal governo e della svolta liberista di Dilma – si astengono perché non accettano più l’indicazione di Lula in favore di Haddad.

Quindi, riuscire a recuperare quel 7% tra gli indecisi e soprattutto tra gli astenuti è un’operazione veramente difficile, se non impossibile, anche perché Fernando Haddad non è un politico che trasmette entusiasmo quando prende la parola. Per questo la direzione del PT ha deciso di modificare la metodologia e i contenuti della campagna elettorale. Di conseguenza, per accattivarsi la simpatia dei moderati della classe media e mostrare che il PT non è un partito socialista, ma una forza politica eterogenea, ha sostituito la tradizionale bandiera rossa con la stella gialla del PT con quella bianca. In seguito ha incaricato il senatore Jacques Wagner di negoziare la formazione di una possibile coalizione elettorale con il partito ambientalista RETE e la componente moderata del PSDB, legata a Fernando Henrique Cardozo.

In realtà, con questa inversione d’immagini, di messaggi e di contenuti politici, la direzione del PT spera che Fernando Haddad, possa ripetere il miracolo elettorale che Lula fece nel 2006, quando, nel secondo turno, recuperò una parte consistente di voti della classe media e della borghesia “illuminata” di São Paulo e di Rio de Janeiro, che nel primo turno avevano votato per il candidato del PSDB, Geraldo Alkmin.

Una scelta politica che il cattedratico Daniel Arão Reis considera un errore poiché:”… Difficilmente, il candidato Haddad potrà ripetere il miracolo elettorale di Lula, non solo per i suoi limiti politici, ma, soprattutto a causa del diffuso anti-petismo che oggi raggiunge il 49,3% degli elettori.”. Per poi sottolineare: “… il cambio della bandiera, il corteggiamento di Marina Silva –considerata dalle basi petiste una traditrice che, tra l’altro, votò per l’Impeachment contro Dilma Roussef – e la ricerca di un accordo elettorale con alcuni settori del PSDB, potrà avere conseguenze negative nei settori più ingaggiati del movimento popolare, facendo aumentare il numero delle astensioni o dei voti nulli!”.

 

L’Anti-petismo

Prima di spiegare perché Bolsonaro, in queste elezioni è diventato il candidato naturale dell’anti-petismo e quindi l’anti-Lula per eccellenza, è necessario analizzare il peso politico dell’anti-petismo e soprattutto dell’anti-lulismo nello scenario politico brasiliano.

Infatti, alla base di tutto c’è il ruolo determinante dei media, e soprattutto delle televisioni, “TVGlobo”, “Record” e “TVBandierantes”. Queste sono riuscite a produrre un sofisticato sistema di manipolazione dell’opinione pubblica, utilizzando alcune inchieste giudiziarie su alcuni fenomeni di corruzione, per poi presentare il PT e quindi l’ex-presidente Lula, come gli unici responsabili di questo male endemico, chiamato corruzione, che affligge il Brasile dai tempi dell’impero.

Quindi, le televisioni hanno trasformato il binomio “PT/Corruzione” in un autentico copione cinematografico per realizzare un’interminabile “novela”, a cui si sono aggiunte le continue “Fakenews”, che i gruppi di pressione, con molta competenza tecnica, hanno scaricato nella rete, conquistando l’attenzione di gran parte dell’elettorato. In particolare quella dei giovani della nuova classe media, di origine proletaria, che sono stati i principali beneficiari dei progetti di avanzamento sociale del cosiddetto “desenvolvimentismo” dei governi del PT.

Di conseguenza, in pochissimo tempo, in tutto il Brasile, ma soprattutto nel sud e nel centro-sud si è affermata la cultura dell’anti-petismo. Una cultura che la destra e l’estrema destra hanno poi usato per costruire la campagna elettorale dell’ex-capitano Jair Bolsonaro.

Per questo, molti si domandano cosa sia realmente successo nel Brasile progressista e com’è stato possibile, in così poco tempo, deformare la credibilità di un partito come il PT e di molti suoi dirigenti, primo fra tutti l’ex-presidente Inácio Lula da Silva!

Molti intellettuali già stanno preparando la trama dei libri che scriveranno su questa problematica che ha preso forma nella società brasiliana grazie, anche, agli errori politici del PT e, soprattutto, in funzione della sua concezione “conciliatrice” per gestire il potere federale e quello dei governatori. 

Secondo Daniel Arão Reis (7), il principale errore del PT “…è stato quello di non dotare il Partito e quindi il movimento popolare di uno strumento informativo e formativo nazionale (Giornale, Televisione, Radio  e Rete) capace di affrontare e di contrariare il potere dei media, in particolare quello della “TV Globo”!”.

Infatti, sia José Dirceu (8) e lo stesso Lula erano convinti che i milionari contratti di pubblicità delle imprese statali, degli organi di comunicazione del governo federale e quelli degli stati governati dal PT, avrebbero addolcito lo “spirito” critico dei media. Purtroppo è successo il contrario.

Oggi, tutti riconoscono che la partecipazione dei media nel “golpe blanco” (colpo di stato indolore) ideato dal Dipartimento di Stato si è rivelata determinante, per distruggere in un primo momento la direzione storica del PT, poi il governo di coalizione creato dal PT e per ultimo per affogare nell’oblio la storica figura politica di Lula, con una vergognosa condanna per corruzione.

Infatti, quando alcuni settori della magistratura e della Polizia Federale hanno cominciato a denunciare la partecipazione di membri del governo del PT in oscure negoziate per garantire la cosiddetta governabilità, lo hanno fatto solo e quando erano sicuri che i media avrebbero sostenuto l’andamento di queste indagini. E´ opportuno ricordare che le due principali inchieste sulla corruzione “Mensalão” e “Lava Jacto”, guidate dal giudice Sergio Moro (legato al DJ del Dipartimenti di Stato e in perenne contatto con le antenne della CIA che agiscono nella Polizia Federale) hanno completamente smontato il gruppo dirigente del PT e della confederazione sindacale CUT, riuscendo poi, nel 2017 a far condannare l’ex-presidente Lula a 12 anni di carcere.

Un argomento che il filosofo Vladimir Safatle in un’intervista a “DWBrasil” ha analizzato sottolineando che:”…Il governo petista si è limitato a creare un modello di conciliazione, pensando che in questo modo sarebbe stato possibile mantenere in vita un accordo permanente. Per questo ha premiato tutti i settori conservatori con una poltrona nel governo, mentre ha smobilizzato il movimento popolare che lo aveva eletto. Purtroppo il PT e soprattutto Lula non hanno capito che in una società polarizzata come quella brasiliana, la prima cosa da fare è rafforzare il proprio campo, poiché è l’unica possibilità di sopravvivenza politica. Purtroppo non fu fatto!”

Il secondo errore fu commesso nel 2013, con la decisione del PT e quindi del presidente Dilma Roussef di continuare ad applicar un programma economico liberista nonostante le centinaia di proteste spon-tanee e popolari. Una decisione che Nancy Frazer ha definito “…il programma di un governo che ha inventato il neoliberismo progressista, presentato in un momento in cui tutto il Brasile era travolto da un’ondata di manifestazioni popolari spontanee che chiedevano l’annullamento delle riforme liberiste!”.

La verità è che Lula, la direzione del PT e la sinistra in generale non capirono che il drammatico scenario di quelle manifestazioni popolari era l’occasione storica per ridare vita al progetto politico originale del “desenvolvimentismo programado” (sviluppo programmato), tagliando il cordone ombelicale con la politica dei compromessi parlamentari, che il PT aveva ereditato dagli anteriori governi di destra. D’altra parte la proposta politica di Dilma di realizzare una nuova Costituente fu subito disattesa dalla stessa Dilma subito dopo la sua rielezione. 

Quindi l’errore iniziale del 2013 si ampliò nel 2015, quando Dilma (con l’approvazione di Lula) optò per un nuovo programma sempre più liberista che fece sprofondare, in meno di sei mesi, il Brasile in una crisi economica senza precedenti. Un contesto politico che fu immediatamente sfruttato dalle eccellenze della destra per giustificare l’Impeachment e massificare l’anti-petismo.

C’è da dire che in questa fase, le antenne della CIA cominciarono a occuparsi del cosiddetto “intervento nel sociale per il ristabilimento della democrazia”. Vale a dire, fu utilizzata la rappresentatività di alcune ONGs, le poderose capacità finanziarie delle fondazioni “per la libertà e la democrazia in America Latina”, la penetrazione delle sette evangeliche nelle masse proletarie dei grandi conglomerati urbani del Brasile (Rio de Janeiro, São Paulo, Belo Horizonte, Salvador, Porto Alegre etc.), per poi mettere in piedi le basi politiche e culturali di un nuovo movimento di opinione, capace di sviluppare varie forme associative con l’obiettivo di iniziare il confronto politico con il PT.

Un movimento che è cresciuto, soprattutto nelle università private, nei quartieri della classe media e nelle chiese evangeliche – presenti in tutte le “favelas” del Brasile – con pochissimi argomenti politici, ma con un volume di accuse contro il PT e contro Lula, di cui la più comune colpevolizzava il PT per essere diventato un’autentica casta di potere, implicata in tutti i casi di corruzione indagati dalla Magistratura.

Fu, quindi, su queste basi che l’anti-petismo divenne il cavallo di battaglia delle nuove organizzazioni “sovraniste”, come il MBL (Movimento Brasile Libero) e dei rappresentanti della destra e dell’estrema destra, permettendo che la figura del deputato Jair Messias Bolsonaro, a partire dal 2016, uscisse dall’incognito del Parlamento Federale di Brasilia per diventare il principale soggetto politico dei media e soprattutto della rete nella campagna elettorale.

 

Bolsonaro entra in scena

 Tutti gli analisti politici brasiliani ricordano che Bolsonaro, nei suoi venti anni di carriera parlamentare, sempre fu un “…mediocre rappresentante del cosiddetto basso clero del Parlamento di Brasília...”. Infatti, negli ultimi dieci anni Bolsonaro ha presentato soltanto due progetti di legge!

Nello stesso tempo Bolsonaro non ha mai nascosto le sue velleità fascistoidi, razziste e maschiliste, la sua stima incondizionata per la dittatura, il culto “armato” per l’ordine sociale, al punto da diventare un punto di referenza politica per tutti quei settori moderati della classe media e della “borghesia bianca”, sempre più impauriti con l’avanzo politico e socio-economico delle masse afro-brasiliane e sempre più terrorizzati dalla prospettiva di dover pagare il prezzo di una crisi economica, che il governo petista di Dilma aveva provocato e che non sapeva ne arginare e tantomeno risolvere.

Un contesto politico che Bolsonaro sfruttò perfettamente per divulgare, soprattutto nella rete, la sua immagine di incorruttibile, di super-nazionalista, quella di “…combattente della libertà contro i comunisti del PT!” e soprattutto quella di “macho” (maschione). Un’etichetta che la sinistra e lo stesso PT minimizzò ritenendo Bolsonaro un “soggetto del folclore politico dell’estrema destra”. 

Purtroppo, le aberrazioni e la devianza fascistoide del ex-capitano deputato del PSL, piacquero agli occhi della classe media e delle élite della borghesia che le considerò elementi tipici del candidato Bolsonaro, soprattutto quando costui votò a favore dell’Impeachment contro il presidente Dilma Roussef. Infatti, davanti alle telecamere che facevano la copertura della votazione in Parlamento, Bolsonaro dichiarò: “…Dedico questo voto a favore dell’Impeachment in onore del Colonnello Brilhante Ustra!” (9) Un militare che tuttora personifica il peggio della dittatura: la tortura e l’assassinio dei prigionieri politici!

Una dichiarazione di voto che fece convergere nella sua figura di deputato federale anche la simpatia del mercato che, in quel momento, si sentiva insoddisfatto con l’incapacità del governo del PT di affrontare e risolvere i principali problemi della crisi economica.

In seguito, quando il governo golpista di Michel Temer, formato dal PMDB e dal PSDB, si dimostrò non solo incapace ma potenzialmente dedito alla corruzione, le eccellenze del mercato si accorsero che Lula e il PT avrebbero certamente vinto le elezioni del 2018.

Per questo motivo la simpatia delle eccellenze del mercato nei confronti di Bolsonaro si trasformò in autentico amore, anche perché l’ex-capitano cominciò a postulare le tesi economiche dell’ultra-liberista Paulo Guedes, che possono essere riassunte in due parole: “Privatizzeremo Tutto!”. Vale a dire: privatizzare tutto il sistema sanitario SUS, le imprese statali e i servizi pubblici, incluso le prigioni. 

Cambiare tutta la legislazione sulle garanzie del lavoro, introducendo la flessibilità e logicamente il lavoro precario, oltre ad abolire persino la tredicesima. Dar priorità ai finanziamenti federali per le università e le scuole private. Rafforzare il ruolo dell’industria militare. Rimuovere tutte le leggi ambientali che impediscono il libero sfruttamento minerario nelle foreste. Ristabilire “l’ordine e la sicurezza” con l’esercito e la polizia nelle città e, “dulcis in fundo”, allineare il Brasile a livello strategico agli Stati Uniti e a Israele.

 

La visione geostrategica degli USA

Bolsonaro ha sempre avuto un legame intimo ma discreto con le antenne della CIA, ben insediate negli uffici dell’intelligence della Polizia Federale e allocate nell’ambasciata degli Stati Uniti in Brasilia, anche se non è mai stato un grande collaboratore, poiché in termini politici la sua importanza era minima. Però, nel 2015, per gli analisti della CIA e del Dipartimento di Stato, Bolsonaro diventa un soggetto polisco interessante, poiché il presidente golpista, Michel Temer, era divenuto impresentabile agli elettori e il candidato del governo, Fernando Meirelles. era egualmente rigettato.

Per questi motivi le attenzioni delle eccellenze della politica statunitense si sono concentrate su Jair Bolsonaro, anche perché era l’unico che nel Parlamento si dichiarava pronto a introdurre “con autorità” una completa ristrutturazione liberista dell’economia e dello stato brasiliano. In pratica, con un governo diretto da Jair Bolsonaro – autoritario ma eletto con elezioni democratiche- sarebbe stato possibile realizzare tutti i programmi di privatizzazione ideati da Milton Friedman ed elaborati dai Chicago Boys, senza dover ricorrere a un sanguinoso colpo di stato di stampo cileno o argentino.  

Comunque, per il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, l’aspetto più importante dell’elezione di Jair Bolsonaro alla presidenza della repubblica del Brasile, è l’aspetto geostrategico. Infatti, con Bolsonaro il Pentagono potrebbe finalmente utilizzare il territorio continentale del Brasile per creare un sistema di “difesa/attacco” che – dopo il tradimento del presidente ecuadoriano Lenin Moreno – potrebbe creare serie minacce alla stabilità del Venezuela e della Bolivia.

Per rafforzare questa tesi il candidato Jair Bolsonaro ha promesso che una volta eletto promuoverà: “… la donazione al governo degli Stati Uniti della base spaziale per il lanciamento di satelliti di Alcantara, localizzata nello stato di Maranhão…!”.  Infatti, la base di Alcantara è localizzata nel nord del Brasile non molto distante dalla frontiera con il Venezuela. In questo modo la base di Alcantara si trasformerebbe in una base della NASA, protetta dalle truppe speciali inviate dal Pentagono, giacché verrebbe considerata un “enclave statunitense nel Brasile”!

E´ evidente che questa brutalità politica di Bolsonaro potrà avere gravi conseguenze per la sovranità del Brasile. Infatti, sulla base della “stretta cooperazione militare” potranno essere rispolverate le vecchie teorie sulla formazione dell’OTAS (10), poiché anche il presidente argentino, Mauricio Macri, ha permesso “la invasion subteranea” (Invasione sotterranea) firmando il nuovo accordo di cooperazione militare e di sicurezza con gli Stati Uniti, che immediatamente hanno rafforzato la presenza dei contingenti della NATO nelle isole Malvinas, oltre a costruire tre nuove basi in territorio argentino.

Que Deus nos ajude!

Questa è la tipica frase dei brasiliani nell’imminenza di una tragedia, con l’aggravante che in questo momento il “Deus” delle sette evangeliche è invocato per garantire il successo del mercato, del razzismo e di una tragedia chiamata Jair Bolsonaro!

Oggi, la bieca e sordida manipolazione dei fedeli effettuata dai pastori e dai vescovi delle differenti sette pentecostali ed evangeliche, inclusi i gruppi mormoni e dei testimoni di Jowa, è una pietra miliare del processo di polarizzazione e della distruzione del concetto di democrazia rappresentativa, come pure dello stato di diritto.   Infatti, Jair Bolsonaro è il soggetto politico che il mercato, le élite brasiliane, il Dipartimento di Stato e logicamente le multinazionali osanneranno e utilizzeranno fin tanto che non saranno riusciti a introdurre in Brasile il processo di ristrutturazione liberista. Poi, se per raggiungere i parametri di dipendenza economica previsti dal mercato, il governo dovrà ricorrere alla violenza e alla repressione selettiva ci penseranno i media a giustificare “…il ristabilimento dell’ordine sociale minacciato dal crimine organizzato!”.

Comunque il dramma di queste elezioni sarà il futuro dei lavoratori, che saranno sempre più sfruttati per salvare il profitto del mercato. Sarà la sofferenza delle masse giovanili del proletariato urbano e agricolo che in termini economici saranno sacrificate nel cunicolo della disoccupazione e in quello del lavoro precario, senza una prospettiva di crescita reale. In termini sociali ci sarà un generale abbassamento dei livelli di vita, tornando ai parametri di povertà degli anni ottanta.

L’unico elemento positivo è che in questa simbiosi di drammi sociali ed economici, la politica di conciliazione, il social liberismo e il falso riformismo non avranno più senso, poiché nessuno ci crederà più. Per questi motivi la politica in difesa dei lavoratori, dei beni comuni e delle libertà individuali cammineranno in direzione di un reale cambiamento sistemico che potrà promuovere la necessaria rottura, con cui creare una società più giusta, indipendente ed effettivamente libera.

 

Note:

1 – Partito Sociale Liberista (PSL);

2 – Partito dei Lavoratori (PT);

3 – Partito Democratico dei Lavoratori (PDT);

4 – Partito del Socialismo e Libertà (PSOL);

5 – Tribunale Superiore Elettorale (TSE) incaricato di organizzare e supervisionare tutti i processo elettorali;

6 – Partito Socialista Brasiliano (PSB), Partito Comunista del Brasile (PcdoB), Partito Comunista Brasiliano (PCB) e Partito Comunista Operaio (PCO);

7 – Daniel Arão Reis, professore di Storia Contemporanea nell’Università Federale Fluminense di Rio de Janeiro. Nel 1969 integrò la lotta armata militando prima nel gruppo “Dissidencia Guanabara” e poi nel “MR8”. Dopo l’esilio in Algeria, nel 1982 partecipò alla fondazione del PT”.

8 – Josè Dirceu è stato il quadro politico più importante del PT, che ebbe un passato glorioso(1965/68) nella lotta del movimento studentesco contro la dittatura e un breve passaggio nella lotta armata(1973) con l’organizzazione MOLIPO. Nel 1982 fu uno dei 111 firmatari del documento di fondazione del PT.

9 – Brilhante Ulstra, fu il colonnello dell’Esercito che, durante la dittatura, coordinò le principali operazioni anti-guerriglia, specializzandosi nel cosiddetto “trattamento delle informazioni”. Vale a dire applicare scientificamente i differenti metodi di tortura negli interrogatori dei prigionieri politici.

10 – OTAS: negli anni settanta fu ideato l’allargamento geostrategico e la linea di azione della NATO anche nel sud dell’Oceano Atlantico con la formazione dell’OTAS. Un progetto che fu immediatamente accettato dalla giunta militare che governava il Brasile e rigettato da quella argentina.

 

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