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13 mar 2018

 

La guerra di al-Sisi alla stampa

 

A dieci giorni dal voto arrestati giornalisti e presentatori tv con l’accusa di diffondere notizie false. In un paese già afflitto dall’attacco ai media liberi, censura e autocensura fanno sparire l’informazione

 

Roma, 13 marzo2018, Nena News –

 

A dieci giorni dalle elezioni presidenziali egiziane, il governo – nonostante la corsa sia nella pratica ad un uomo solo, l’attuale presidente al-Sisi – sta portando avanti una vasta campagna contro la stampa locale e internazionale.

 

Ieri la procura generale ha annunciato il lancio di una linea telefonica per denunciare “false notizie” pubblicate su giornali, tv o siti web, notizie che potrebbero danneggiare la sicurezza nazionale e che possono essere comunicate alla magistratura tramite sms o whatsapp.

 

La misura ha una portata significativa: non solo chiede agli egiziani di farsi “secondini” dei media, ma produce un circolo di censura e autocensura in un paese già afflitto dalla quasi totale scomparsa di stampa libera e indipendente. La notizia arriva a pochi giorni dallo scontro tra Il Cairo e la Bbc, accusata dal governo di aver diffuso falsità con un’intervista ad una donna, Um Zubeida, madre di una ragazza scomparsa nell’aprile 2017. Mentre Il Cairo chiamava al boicottaggio dell’emittente, la donna veniva arrestata.

Due giorni fa a finire in prigione per qualche ora è stato invece Khairy Ramadan, noto ospite di talk show politici nonché sostenitore del governo, accusato però di aver insultato la polizia per aver raccolto la storia della moglie di un poliziotto che lamentava uno stipendio troppo basso. Ramadan è stato rilasciato dietro il pagamento di una cauzione di 10mila sterline egiziane, 460 euro, ma il caso non è chiuso.

 

Si gioca intorno ai labili confini della fake news la guerra del Cairo alla stampa, una battaglia dichiarata dai vertici dello Stato e che colpisce ogni possibile aspetto della vita quotidiana della popolazione, dalla crisi economica alla repressione. A dare il senso della pervasività della censura sono le parole del presidente del Consiglio Supremo dei media, Makram Mohamed Ahmed, che nel criticare l’arresto di Ramadan ha di fatto giustificato il governo: “Cosa ha fatto Khairy Ramadan – ha detto Ahmed – Ha commesso un errore, si è scusato. Caso chiuso”. Ha commesso un errore, denunciare i magri stipendi con cui gli egiziani si confrontano quotidianamente di fronte a prezzi che lievitano costantemente.

E se tra gennaio e febbraio due reporter (Moataz Wadnan, di Huffington Post Arabi e Ahmed Tarek Ibrahim Ziada, documentarista) sono stati arrestati per aver intervistato i tentati candidati alla presidenza, la settimana precedente erano stati arrestati altri due giornalisti, Mai el-Sabagh e Ahmed Mustafa, “colpevoli” di aver girato un videoreportage sulla storia del tram di Alessandria. Arresti a cui si somma la sospensione di programma tv e show televisivi, come il “Saturday Night Live bin Arabi”, chiuso un mese fa per violazione degli standard etici. Stessa sorte per altri tre show satirici. Dopotutto l’ordine era arrivato direttamente dal presidente al-Sisi che il primo marzo aveva minacciato la stampa di chiusura e repressione nel caso di coperture giudicate diffamatorie dell’esercito, la polizia o il governo, definendo i diffusori di fake news come “forze del male”.

Identica espressione è quella usata negli stessi giorni dal procuratore generale, Nabil Sadeq, nel lanciare una vasta campagna di repressione contro la stampa: saranno prese misure, aveva detto, contro quei media che minacciano la sicurezza dell’Egitto. Nello specifico Sadeq ha accusato certa stampa di “disturbare l’ordine pubblico e terrorizzare la società”.

 

Secondo Reporters Senza Frontiere, attualmente l’Egitto è al 161° posto su 180 nella classifica sulla libertà di stampa, con un bilancio di oltre 500 media chiusi dal maggio 2017 e almeno 30 giornalisti in prigione. L’Egitto è il terzo paese al mondo per numero di reporter agli arresti, dopo Turchia e Cina. Nena News

 

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