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13.11.2018

 

I due errori che fanno fallire le scelte dell’Italia

Paolo Vites intervista a Gian Micalessin

 

L’Italia ha commesso due errori che pregiudicano il risultato della conferenza di Palermo: volerla contro la Francia e dimenticare Serraj, ritirando l’ambasciatore a Tripoli

 

Alla fine Haftar, dopo aver tenuto tutti, soprattutto il presidente del consiglio Conte, con il fiato sospeso, è arrivato in Sicilia. Ma non a Palermo dove si tiene la conferenza internazionale, bensì a Mondello, dove terrà degli incontri bilaterali, una sorta di vertice parallelo. “E’ un vertice che parte già perdente per l’Italia” ci ha detto Gian Micalessin “lo abbiamo trasformato in un palcoscenico per un protagonista che doveva guardare a noi come mediatori e risolutori in un palcoscenico a suo esclusivo vantaggio”.

Haftar si tiene lontano da tutti e incontrerà singolarmente chi vuole lui. Che cosa significa?

Già il fatto di non sapere se il leader della Cirenaica arrivasse o no, ci dice che abbiamo trasformato un vertice che doveva avere come scopo principale il rilancio dell’Italia nell’ambito delle iniziative internazionali sulla Libia, nella spasmodica attesa di un personaggio. Un protagonista che doveva guardare a noi come mediatori e risolutori si è trovato a disposizione un palcoscenico.

Che cosa abbiamo sbagliato?

L’errore del governo italiano è stato quello di pensare questa conferenza come il momento risolutore del nostro scontro con la Francia. Non si risolve trasformandolo in guerra ma facendoci concreti portatori di risoluzioni. L’unica cosa che sappiamo proporre agli interlocutori è quella di essere esecutori di un piano già messo a punto e già presentato dal mediatore delle Nazioni Unite, un piano che fra l’altro aveva già risolto il dissidio con la Francia visto che le elezioni che Macron voleva per il 10 dicembre sono stare rinviate a data da destinarsi nel 2019.

Quindi?

Ci siamo dimostrati inadatti al nostro ruolo e cominciamo già con un fallimento.

Putin, Trump e la Merkel non sono venuti, come ovviamente non c’è Macron. Il governo aveva puntato troppo in alto?

Trump era scontato che non sarebbe venuto. Per gli Usa la Libia ha da sempre una importanza marginale, era pretestuoso pensare di avere Trump e dove non va Trump non va neanche Putin, per reciprocità di pari potenza. Certo, c’è la delegazione russa con il primo ministro e il ministro degli Esteri, ma l’interesse di Trump nell’affidarci questa conferenza era compensare il ruolo della Francia sbilanciando l’Europa alla quale lui si contrappone.

E per la Russia?

Per la Russia siamo invece un interlocutore e vedranno cosa abbiamo da offrire. Nel 2011 eravamo un interlocutore più utile di oggi grazie a quell’accordo di amicizia in cui avevamo offerto alle aziende russe degli spazi e portato le aziende energetiche all’interno del mercato petrolifero. Oggi la Russia questo ruolo lo svolge da sola, quindi dobbiamo ritagliarci un ruolo nostro che invece non siamo capaci di svolgere. L’altro gravissimo errore del governo italiano, incaponitosi contro Macron, è quello di aver rinunciato al nostro ambasciatore a Tripoli, decisivo per costruire un’azione politica.

Ma anche Macron si incaponisce contro di noi, no?

Certo e continuerà a portare avanti il naturale proseguimento di una politica che nel 2011 ha tentato di portarci via il petrolio. Noi questo conflitto con Parigi dobbiamo risolverlo dimostrando capacità che la Francia non ha in Libia.

Ad esempio?

Nel 2011, nel mezzo della guerra, la Francia aveva già promesso al Qatar la vendita del petrolio libico. Allora mandammo i nostri servizi di sicurezza, che presero contatto con i rivoltosi di Bengasi mentre il presidente dell’Eni, Scaroni, ribaltò la situazione. E’ così che si fa politica. Invece abbiamo ribaltato la situazione in un ring dove stiamo pure perdendo. Nella smania di inseguire Haftar ci siamo dimenticati del nostro attuale alleato, Sarraj, che abbiamo ridotto a un ruolo ancora minore di quello che aveva prima.

 

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