Originale: Dispatches From The Edge

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20 aprile  2018

 

Una nuova alleanza potrebbe dare una forma diversa al Medio Oriente 

di Conn Hallinan

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Un’insolita triplice alleanza sta emergendo dalla guerra Siriana, un’alleanza che potrebbe alterare l’equilibrio di potere in Medio Oriente, scardinare l’alleanza della NATO  e complicare i progetti dell’amministrazione Trump riguardo all’Iran.

 

Potrebbe anche portare a un altro doppio gioco di uno dei più grandi gruppi etnici della regione, i Curdi.

 

Tuttavia “l’alleanza a tre” – Turchia, Russia e Iran – consiste di tre paesi che non si amano molto, che hanno obiettivi diversi e le cui politiche sono spinte da un insieme di finalità geo-globali e interne. In breve, le parole “fragile e complicata” non comincia neanche a descriverla.

 

Non è chiaro il modo in cui la triade potrebbe essere influenzata dall’attacco congiunto di Stati Uniti, Francia e Regno Unito contro la Siria, ma nel lungo termine l’alleanza è probabile che sopravvivrà all’aumento delle ostilità.

 

Ma il terreno comune è quello che è venuto fuori dall’incontro del 4 aprile tra il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il Presidente iraniano Hassan Rouhani, e il Presidente russo Vladimir Putin. Incontrandosi ad  Ankara, le parti hanno promesso di sostenere la “integrità territoriale della Siria, trovare una fine diplomatica della guerra, e iniziare la ricostruzione della Siria devastata da sette anni di guerra. Mentre la Russia e la Turchia hanno esplicitamente appoggiato i colloqui di Ginevra sponsorizzati dall’ONU, l’Iran era tranquillo riguardo a quell’argomento, preferendo una soluzione regionale senza “piani stranieri.”

 

“Terreno comune”, tuttavia, non significa che i membri della “troika” siano d’accordo.

 

Gli interessi della Turchia sono sia interni che esterni. L’esercito turco sta attualmente conducendo due operazioni militari nella Siria del Nord:  Ramo di Ulivo e Scudo dell’Eufrate, mirate a spingere le Unità di protezione del popolo, principalmente curde (YPG), fuori dalla terra che confina con la Turchia. Quelle operazioni, però, sono profondamente intrecciate con la politica turca.

 

L’appoggio interno di Erdogan è stato eroso da vari fattori: sfinimento per il continuo stato di emergenza imposto dopo il tentato colpo di stato del 2016, un’economia traballante e una caduta precipitosa del valore della sterlina turca. Invece che aspettare il 2019, Erdogan ha richiesto elezioni a sorpresa la settimana scorsa  e prendersela con i Curdi piace sempre ai nazionalisti turchi di destra. Erdogan ha necessità di tutti i voti che può ottenere per mettere in pratica la sua presidenza esecutiva  “coniata” di recente che praticamente gli darà un governo autocratico.

 

Per fare parte dell’alleanza, tuttavia, Erdogan ha dovuto modificare il suo scopo di liberarsi del Presidente siriano Bashar Assad e di accettare, a questo punto, comunque, di ritirarsi alla fine dalle zone nella Siria del Nord presa dall’esercito turco. La Russia e l’Iran hanno chiesto di consegnare le regioni conquistate dai Turchi all’esercito siriano.

 

Gli obiettivi di Mosca sono di tenere un punto di appoggio  in Medio Oriente con la sua unica base, Tartus, e di aiutare la Siria, suo alleato di lunga data. I Russi non sono profondamente devoti ad Assad, ma vogliono un governo amico a Damasco. Vogliono anche distruggere al-Qaida e lo Stato Islamico, che hanno causato a Mosca considerevoli problemi nel Caucaso.

 

Alla Russia non dispiacerebbe neanche di separare Ankara e la NATO. Dopo gli Stati Uniti, la Turchia ha il secondo più grosso esercito. Nel 1989 la NATO ha rotto un accordo di non reclutare ex membri del Patto di Varsavia dominato dai Russi nella NATO come scambio per i Sovietici che si ritiravano dall’Europa dell’Est. Ma,  dalla guerra di Jugoslavia nel 1999, l’alleanza ha marciato proprio fino ai confini della Russia. La guerra del 2008 con la Georgia e la presa della Crimea sono stati in gran parte una reazione a ciò che Mosca considera come una strategia di accerchiamento da parte dei suoi avversari.

 

La Turchia è stata in contrasto con i suoi alleati della NATO circa una disputa tra Grecia e Cipro per risorse di petrolio e gas che si trovano sui fondali marini dell’Egeo,  e di recente ha accusato di spionaggio due soldati greci che hanno violato il confine turco.  Erdogan è anche arrabbiato perché i paesi dell’Unione Europea si rifiutano di estradare i soldati e i civili turchi che afferma abbiano aiutato a progettare il colpo di stato del 2016 contro di lui. Mentre la maggior parte dei paesi della NATO hanno condannato Mosca per il recente attacco a due Russi in Gran Bretagna, i Turchi chiaramente non lo hanno fatto.

 

Le relazioni turche con la Russia hanno anche un lato economico. Ankara vuole un oleodotto di gas naturale dalla Russia, è all’avanguardia con un reattore nucleare di russo di 20 miliardi di dollari, ed  ha appena sborsato 2,5 miliardi di dollari per un sistema d’arma antiaereo S-400 della Russia.

 

I Russi non appoggiano la guerra di Erdogan ai Curdi e hanno fatto pressione  per includere delegazioni curde nei negoziati per il futuro della Siria. Mosca, però, chiaramente ha dato ai Turchi il via libera per attaccare la città curda di Afrin, il mese scorso, cacciando via le YPG che la avevano liberata dallo Stato Islamico e dai gruppi di al-Qaida appoggiati dai Turchi. Molti Curdi accusano Mosca di averli traditi.

 

Il problema, ora è: i Russi si faranno da parte se le forze turche avanzeranno ulteriormente in Siria e attaccheranno la città di Manbij dove i Curdi sono alleato con le forze americane e francesi? E l’ostilità di Erdogan verso i Curdi porterà a uno scontro armato tra i paesi membri della NATO?

 

Questo scontro sembra improbabile, anche se i Turchi hanno continuato a fare discorsi provocatori nelle settimane scorse. “Coloro che collaborano con le organizzazioni terroriste [le YPG] saranno presi di mira dalla Turchia,” dice il Vice Primo Ministro turco, Bekir Bozdag facendo un riferimento mirato all’appoggio della Francia ai Curdi. Minacciare i francesi è una cosa, cercare di sfidare l’esercito degli Stati Uniti è proprio un’altra faccenda.

 

Naturalmente, se il Presidente Trump tirerà fuori le forze armate statunitensi dalla Siria, sarà allettante per la Turchia subentrare. Mentre la “alleanza a tre” ha accettato la “sovranità” siriana, questo non impedirà ad Ankara di intromettersi nelle faccende curde. I Turchi stanno già nominando dei governatori e sindaci per le zone che hanno occupato in Siria.

 

La maggiore preoccupazione dell’Iran in Siria, è di mantenere un “cuscinetto” tra se stessa e un’alleanza molto aggressiva di Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita, che sembra essere nelle fasi preliminari di pianificazione di una guerra contro il secondo paese più grande del Medio Oriente.

 

L’Iran non è affatto la minaccia che è stata descritta con esagerazione.  Le sue forze armate sono minuscole e le chiacchere su una cosiddetta “mezzaluna sciita” -Iran, Iraq, Siria e Libano è abbastanza un’invenzione occidentale (anche se il Re di Giordania aveva usato questo termine.

 

Teheran è stato indebolito da sanzioni rovinose e deve tenere conto della possibilità che Washington si ritiri dall’accordo nucleare e che imponga ulteriori sanzioni. La nomina del Consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton che chiede apertamente un cambiamento di regime in Iran, deve aver fatto venire i brividi lungo la schiene degli Iraniani. Quello di cui Teheran ha maggio bisogno sono degli alleati che lo proteggano dall’inimicizia degli Stati Uniti, di Israele e dell’Arabia Saudita. A questo proposito, la Turchia e la Russia potrebbero essere utili.

 

L’Iran ha modificato i suoi obiettivi originari in Siria di un regime dominato dagli Sciiti, accettando un “carattere non settario” per una Siris del dopoguerra.  Erdogan ha anche rinunciato al suo desiderio di un governo dominato dai Sunniti, a Damasco.

 

La guerra con l’Iran sarebbe catastrofica, un conflitto che non si può vincere e che potrebbe destabilizzare il Medio Oriente anche più di adesso. Farebbe, tuttavia, aumentare il prezzo del petrolio che attualmente è di 66$  al barile. L’Arabia Saudita ha bisogno di vendere i suo petrolio ad almeno 110 % al barile, o molto rapidamente finirà i soldi. Il continuo pantano della guerra in Yemen, la necessità di diversificare l’economia, e le crescenti richieste dei giovani sauditi, cioè il 70% della popolazione, di  avere un lavoro, richiedono un  sacco di soldi e le tendenze attuali determinare  i prezzi del petrolio non copriranno le spese.

 

La guerra e il petrolio producono strani alleati. Mentre i Sauditi stanno facendo del loro meglio per rovesciare il regime di Assad e per fomentare gli estremisti che combattono i Russi, Riyadh sta corteggiando Mosca per firmare un accordo a lungo termine dell’OPEC (L’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) per controllare le forniture di petrolio. Questo probabilmente non avverrà – ai Russi va bene avere il petrolio a 50/60 dollari al barile – e sono diffidenti di accordi che limiterebbero il loro diritto di sviluppare nuove risorse di petrolio e gas. La guerra santa dei Sauditi agli Iraniani ha un limite di disperazione. La più grande minaccia al Regno è sempre arrivata dal suo interno.

 

Gli scogli e le secche che possono far naufragare le alleanze in Medio Oriente sono troppo numerose da contare, e la “troika”  è squarciata dalle contraddizioni e da interessi contrastanti. Sembra, però, che la guerra in Siria stia arrivando a una specie di risoluzione, e a questo punto l’Iran, la Russia e la Turchia sembrano essere i soli attori che hanno un copione che va oltre il lancio di missili contro la gente.

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/new-alliance-could-re-shape-middle-east

 

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