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27 gennaio 2018

 

Rosarno, incendio nella baraccopoli. Muore una donna

di Checchino Antonini

 

Rogo a San Ferdinando di Rosarno, dove vivono i braccianti più sfruttati da padroni e caporali. Muore una migrante di trent’anni

 

E’ una donna la vittima dell’incendio che si è sviluppato questa notte nella tendopoli di San Ferdinando, nel reggino, aveva trent’anni e fuggiva dalla Nigeria. E’ morta dove diverse centinaia di migranti vivono stipati in baracche di legno più volte andate a fuoco. Oltre 200 le casette di fortuna bruciate nel rogo, scoppiato nella zona centrale del campo e rapidamente propagatosi. La baraccopoli, in gran parte distrutta dalle fiamme, è stata sgomberata e, a quanto annunciato dalla prefettura, i braccianti verranno temporaneamente alloggiati in una tensostruttura che sarà allestita nelle vicinanze. Ancora morti tra gli ultimi tra i gli ultimi, i più sfruttati tra gli sfruttati.

Ai lager per migranti in Libia, promossi anche dal governo italiano, corrispondono i lager interni, veri e propri ghetti la cui unica funzione è riprodurre la forza-lavoro al minimo vitale (e a volte anche al di sotto) necessario al lavoro bestiale nei campi. Dall’altro lato si alimentano razzismo e xenofobia, scaricando ancora gli effetti della crisi sociale sul caprio espiatorio perfetto.

«Stavo dormendo nella tenda accanto a quella dove è morta la ragazza, che non conoscevo. Ho sentito urlare e sono scappato». Demba, di 20 anni, del Gambia, è uno dei due feriti nell’incendio della tendopoli di San Ferdinando. Le fiamme gli hanno bruciato una mano. Medicato nell’ospedale di Polistena è già tornato nella tendopoli. «Nella fuga – racconta adesso – avevo dimenticato i documenti e mi sono bruciato la mano proprio per prenderli». I documenti sono l’unica cosa rimasta al giovane, che nell’incendio ha perso vestiti e soldi. Giunto in Italia nel 2014 a bordo di un gommone proveniente dalla Libia, Demba vive stabilmente in Basilicata ma nella stagione della raccolta si sposta tra Puglia e Calabria in cerca di lavoro nei campi. A San Ferdinando era arrivato nei mesi scorsi.

Non è il primo incendio, quello che la notte scorsa è divampato nella baraccopoli di San Ferdinando, a una manciata di km da Rosarno, località nota per lo sfruttamento dei migranti nell’agricoltura. Giusto un anno fa, il 23 gennaio del 2017, la tendopoli era stata interessata da un altro rogo. In quell’occasione ad andare in fiamme fu una sola baracca. Nell’incendio rimasero tre feriti tre uomini, uno dei quali in modo grave. E il mese prima, il 7 dicembre 2016, altri due migranti erano rimasti lievemente feriti nell’incendio della baracca in cui dormivano. Il fenomeno degli incendi è frequente perché la struttura è priva di qualsiasi servizio ed i migranti per riscaldarsi e per cucinare accendono fuochi che trovano facile esca nel materiale di cui sono fatte tende e baracche e nei loro effetti personali.

Rosarno, nella piana di Gioia Tauro, è una cittadina di meno di sedicimila abitanti famosa per i suoi agrumeti e per lo spadroneggiare della ‘ndrangheta prima della rivolta del 2010. Due giovani balordi del luogo, la notte del 6 gennaio, si sono divertiti a tirare con un fucile ad aria compressa su tre immigrati ferendone uno in modo grave. Non era la prima volta. Le centinaia di immigrati che lavorano negli agrumeti che si estendono a perdita d’occhio attorno al paese, sono stati fatti oggetto molte volte di questo tipo di aggressioni, oltre che di provocazioni di ogni tipo. Questa volta i braccianti non erano nello stato d’animo adatto a chinare la testa e hanno reagito. Si sono diretti a centinaia verso Rosarno, partendo dai campi dove lavoravano e dai rifugi dove trovano abitualmente un riparo indegno di un essere umano. La collera dei lavoratori dei campi, quasi tutti africani, si è indirizzata sulle vetrine dei negozi, sulle automobili dei rosarnesi, su qualche cittadino. Quello che è successo il giorno dopo e i due ancora successivi si ritrova nelle prime pagine dei maggiori quotidiani del 9 gennaio: “Rosarno, caccia agli immigrati”, titolava, ad esempio, il Corriere della sera. Linciaggi, spari, bastonate, baracche e automobili dati alle fiamme. Fino alla pulizia etnica. Da quel 2010 non è cambiato niente: nell’ottavo anniversario, pochi giorni fa,il Corsera ha scritto così«Baracche a perdita d’occhio. Oltre 1.500 abitanti. Un mare di plastica. Sembra l’Africa, un campo profughi di sfollati. Sudan, magari Somalia. E invece no. È il ghetto di San Ferdinando, a Rosarno, una bidonville che grida scandalo. Non c’è acqua corrente, non c’è elettricità, non ci sono bagni. I bisogni si fanno all’aperto. Se piove diventa l’inferno. Per terra ci sono buche grandi come bottiglie, servono per deviare l’acqua. Intorno al ghetto c’è l’area industriale. Le strade mangiate dal degrado, voragini nell’asfalto. Scheletri di capannoni rimasti vuoti. Uomini neri si aggirano in bicicletta, digrignano i denti sulla salita. Sono tantissimi, circa 3mila, quasi tutti con regolare permesso di soggiorno. Fanno parte del panorama, così come gli aranceti, così come le bucce dei mandarini che marciscono accanto ai rifiuti».

 

 

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