Originale: Foreign Policy in Focus

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21 giugno 2018

 

Il mondo ai rifugiati: andate all’inferno 

di John Feffer

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

E’ una storia famosa, anche se forse non sufficientemente famosa.

 

Il viaggio nel 1939, della MS St. Louis, un transatlantico tedesco è stato narrato in un libro del 1974 e in un film del 1976 (entrambi intitolati: Voyage of the Damned – Viaggio dei maledetti) e anche in un’opera del 1994. Questa storia non è dimenticata, e tuttavia così tante persone sfortunate di tutto il mondo sono ancora destinate a ripeterla.

Nel 1939, la MS St. Louis, portò via più di 900 profughi  ebrei della Germania. La nave attraccò a Cuba, ma il governo dell’isola permise di sbarcare soltanto a una manciata di passeggeri. Gli altri appresero con sorpresa, che l’Avana non riconosceva i loro visti. La nave, quindi, si diresse verso gli Stati Uniti, ma anche l’amministrazione Roosevelt si rifiutò di accettare i rifugiati e mandò fuori la Guardia Costiera per assicurarsi che la nave non cercasse di attraccare illegalmente e di scaricare i passeggeri. Anche il Canada si rifiutò di essere coinvolto.

La MS St. Louis, quindi, ritornò in Europa dove attraccò ad Anversa. Alcuni dei passeggeri andarono nel Regno Unito. Il resto fu preso nello sconvolgimento delle successive invasioni naziste del Belgio, dell’Olanda e della Francia. Alla fine 254 dei passeggeri originari morirono nell’Olocausto.

Nel 2012, il Dipartimento di Stato americano si è ufficialmente scusato con i sopravvissuti della vicenda. Il Canada ha in programma di fare la stessa cosa quest’anno.

Queste scuse, significano, però, poco per le persone che attualmente affrontano una situazione analoga. Oggi, migliaia di rifugiati devono affrontare seri danni se ritornano nei loro paesi di origine, e, tuttavia, Stati Uniti, Turchia Israele e Cina e altri, respingono  allegramente questi rifugiati,  come parte di un giro di vite mondiale all’immigrazione “illegale”.

Questa settimana, mentre la comunità internazionale celebra la Giornata mondiale del Rifugiato, 22,5 milioni di persone sono fuggite dai loro paesi per cercare rifugio in qualche altro posto. Nel 2016, soltanto 189.000 sono stati trasferiti. Questo è meno dell’1%. E’ come se l’intera popolazione di Taiwan venisse sradicata e costretta a trovare un nuovo paese, ma soltanto un quartiere della capitale riuscisse a trovare un porto sicuro.

Donald Trump è in prima linea di questo approccio scandalosamente crudele verso i rifugiati. Non è però da solo. Ecco quattro esempi dal mondo del modo in cui i governi continuano a voltare le spalle all’equivalente di oggi della MS St. Louis.

Il sogno di Trump

Il mondo sta sperimentando la più grande crisi di rifugiati fin dalla II Guerra mondiale. La reazione dell’amministrazione Trump è stata di ridurre il numero reale per i luoghi disponibili per i rifugiati da circa 70.000, a 45.000 persone, il numero più basso fin dal 1980. Inoltre, l’amministrazione sta facendo qualunque cosa può per assicurarsi  che anche questo numero più basso non venga raggiunto.

La Siria, ancora agitata dalla guerra civile, ha prodotto il maggior gruppo di rifugiati del mondo: oltre 5,5 milioni di persone. Nell’ultimo anno dell’amministrazione Obama, gli Stati Uniti hanno accettato circa 15.000 rifugiati siriani, numero che impallidisce in confronto alla Germania (per non parlare di Turchia, Giordania o Libano). Quest’anno, a metà aprile, l’amministrazione Trump ha permesso che ne entrassero 11. “Gli Stati Uniti non saranno un accampamento di migranti e non sarà una struttura di raccolta di rifugiati,” ha detto Trump questo mese.

Le cose peggiorano. La settimana scorsa il Dipartimento di Giustizia ha annunciato che i richiedenti asilo non potevano rivendicare la guerra tra bande o la violenza domestica come motivi per restare negli Stati Uniti. Questo accade mentre gli spostamenti a causa della violenza stanno aumentando rapidamente in America Centrale, una tendenza che ha riguardato 16 volte di più le persone alla fine del 2017, rispetto al 2011. In effetti, molte delle persone che cercano disperatamente di attraversare il confine con gli Stati Uniti, compresi i minori non accompagnati, scappano non soltanto dalle violenza in generale, ma da minacce di morte molto specifiche.

Su The New Yorker, Sarah Stillman ha riferito circa il suo progetto di creare un database di tutti coloro che il governo statunitense ha deportato in situazioni pericolose. Tra le storie c’era quella di Laura S. che implorava le guardie alla frontiera degli Stati Uniti, di non farla ritornare in Messico, dove il suo ex marito, membro di un cartello della droga, aveva minacciato di ucciderla. Gli agenti americani hanno ignorato le sue suppliche. In Messico, Laura S. ha cercato di stare alla larga dal suo ex marito che però ere determinato e che alla fine è riuscito. Lo scheletro carbonizzato di Laura è stato trovato nella sua macchina incendiata. Grazie al Procuratore generale degli Stati Uniti, Jeff Sessions, l’indifferenza de facto del governo degli Stati Uniti alle rivendicazioni di violenza domestica, è diventata de jure.

Un altro metodo con il quale l’amministrazione Trump manda le persone in situazioni pericolose, è la revoca dello Stato Protetto Temporaneo (TPS). Il capo del Dipartimento della Sicurezza Interna, Kirstjen Nielsen, ha doverosamente attuato la direttiva del presidente di cacciare fuori dagli Stati Uniti quante più persone possibile.  Il quotidiano USA Today riferisce:

La Nilesen ha ora tagliato il TPS per El Salvador, Honduras, Haiti, Nepal, Nicaragua e  Sudan, che rappresentano il 98% delle persone coperte dal programma. Questo significa che gli iscritti nel TPS  di quei paesi, molti dei quali vivono legalmente negli Stati Uniti da 30 anni, devono ritornare in patria nei mesi prossimi, o rischiano di diventare immigrati clandestini.

Immaginate Franklin Delano Roosevelt che non soltanto si rifiuta di accettare la MS St.Louis, ma che manda indietro diecine di migliaia di Ebrei tedeschi che avevano  vissuto da decenni negli Stati Uniti, nella Germania Nazista.

La politica di Trump per i rifugiati è soltanto parte del suo più ampio assalto agli immigrati, dal divieto di viaggiare per i Musulmani e dalla separazione delle famiglie al confine, fino al suo tentativo di deportare 800.000 Dreamers cioè i migranti arrivati negli Stati Uniti irregolarmente da bambini. Perfino il Partito Repubblicano sta abbandonando Trump riguardo agli elementi fondamentali della sua piattaforma anti-immigrati, ma Trump vuole rendere l’America più bianca possibile, con tutti i mezzi necessari.

La dissonanza conoscitiva di Israele

Circa 35.000 Eritrei e Sudanesi stanno attualmente cercando asilo in Israele. Sono scappati dalla guerra e da massicce violazioni di diritti umani. Anche se molti vivono a Israele da quasi un decennio, parlano l’ebraico e mandano i loro figli nelle scuole israeliane, il governo vuole espellerli e mandarli in Ruanda o in Uganda. Lì hanno affrontato il considerevole rischio della detenzione o anche del ritorno forzato nei loro paesi nativi. Peggio ancora, un paio di mesi fa si è saputo che il governo di Israele non aveva alcun accordo con il Ruanda e l’Uganda per proteggere le persone espulse.

Il governo non ha neanche  tenuto conto dell’opposizione pubblica. Scrive David Shulman su The New York Review of Books:

I piloti e gli equipaggi dell’El Al, (la principale compagnia aerea di Israele, n.d.t.) si sono rifiutati di portare in volo verso la morte i deportati.  Medici, professori universitari, avvocati  cittadini comuni, compresi dei sopravvissuti all’Olocausto e loro parenti, hanno fatto sentire la loro voce. Alcune sinagoghe si sono unite alla lotta. Molti hanno messo in rilievo l’inconcepibile dissonanza conoscitiva che nasce dall’osservare uno stato ebraico, fondato da profughi di un’oppressione  letale, che invia decine di migliaia di rifugiati africani disperati verso un destino sconosciuto e precario.  

In un recente rapporto, Amnesty International ha criticato aspramente il governo di Benjamin Netanyahu per la sua politica. Il capo della organizzazione per i diritti dei migranti e dei rifugiati, Charmain Mohamed, è stata tagliente nella sua denuncia: “Israele è uno dei paesi più fiorenti della regione, ma sta facendo di tutto per sottrarsi alla sua responsabilità di fornire rifugio alla gente che scappa dalla guerra e dalla persecuzione e che è già sul suo territorio.”

Come negli Stati Uniti, i tribunali si sono dimostrati un grosso ostacolo all’assalto agli immigrati. Malgrado il rifiuto della Corte Suprema del tentativo del governo di espellere gli Eritrei e i Sudanesi, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ste cercando di spingere la Knesset ad annullare la decisione giudiziaria.

Come nel caso di Trump, Netanyahu agisce ora per conto della maggioranza assediata, in questo caso gli Ebrei israeliani. Le sue tremende politiche per l’immigrazione sono un tutt’uno con il suo modo discriminante rispetto ai Palestinesi.

Rimpatrio in Afghanistan 

L’Afghanistan è uno dei paesi più poveri e più violenti del mondo, ed è anche, dopo la Siria, quello che ha il più alto numero di rifugiati nel mondo.  Oltre al  milione di persone che sono sfollati interni,  ci sono 6 milioni di rifugiati afgani, la maggior parte dei quali vivono ora in Pakistan o in Iran.

La maggior parte, ma non tutti.

Circa 300.000 rifugiati afgani vivono in Europa. Molti di più hanno fatto richiesta di asilo. I governi europei hanno rifiutato la maggior parte di quelle domande, sostenendo che l’Afghanistan non pone un rischio sufficiente a chi torna. Tuttavia, nel 2017, per il quarto anno consecutivo, più di 10.000 afgani sono morti o sono stati feriti in guerra. Questo avviene oltre alle morti in combattimento delle forze di sicurezza afgane e dei combattenti afgani che l’anno scorso sono state più di 20.000.

Anche per coloro che non sono sulle liste dei bersagli dei Talebani, questi rifugiati torneranno in un paese pericoloso e instabile. Pamela Constable riferisce su The Washington Post:

Gli insorti controllano o influenzano quasi il 40% del territorio afgano e organizzano frequenti attentati nelle città. Alcune delle loro famiglie sono fuggite da combattimenti rurali, indebolendo le loro reti di sostegno sociale. Coloro che torneranno forse non affronteranno  immediati, ma non vedono alcun modo di costruire un futuro.  

Il Pakistan e l’Iran sono stati ancora più energici con le loro espulsioni. Da gennaio, l’Iran ha rimandato in patria 242.000 rifugiati afgani: nei 15 mesi scorsi, il Pakistan ha espulso 260.000 afgani. Questi rimpatri sono un peso eccezionale per un paese non preparato a fornire servizi alla sua popolazione attuale. Ci sono pochi posti di lavoro disponibili per coloro che tornano in patria e poco in materia di assistenza dalle organizzazioni internazionali.

Un recente cessate il fuoco ha portato una certa speranza che il governo afgano e i Talebani potrebbero elaborare i termini di un accordo di pace. I Talebani, hanno, però, rifiutato un’estensione proposta e giurano di continuare a combattere.

 

Ritorno nel gulag

Donald Trump pensa che il leader coreano Kim Jong Un è “intelligente” e “molto abile.” Il presidente degli Stati Uniti non ha sollevato problemi di diritti umani durante il recente summit di Singapore e forse è stato meglio così, dato il focus problemi del nucleare e l’angosciante mancanza di interesse di Trump per i diritti umani.

La situazione di tali diritti nella Corea del Nord rimane disperata, particolarmente per gli 80.000-130.000 intrappolati nel complesso dei campi di lavoro. Diecine di migliaia di Nordcoreani sono fuggiti in Cina e in altri paesi. Anche se hanno lasciato la Corea del Nord per motivi economici, rischiano la prigioni nel gulag nord-coreano, se ritornano. E così, secondo la legge internazionale, i nordcoreani in Cina dovrebbero essere considerati rifugiati sul posto dal momento che hanno acquisito un timore ben fondato di persecuzione  dopo aver lasciato il loro paese. Mandare indietro questi rifugiati è una palese violazione dei diritti umani.

La Cina continua, tuttavia, a sottoporre a fermo e a mandare i nordcoreani al di là del confine. Con la minacci del rimpatrio che incombe su di loro, le donne nordcoreane sono particolarmente vulnerabili e di frequente soggette alla prostituzione forzata.

Ci sono molte cose che o gli Stati Uniti o la Corea del Sud possono fare per convincere la Corea del Nord o a smantellare il suo gulag o a migliorarne le condizioni. Pyongyang è in gran parte contraria alla tattica di “denuncia pubblica”    (anche se le organizzazioni per i diritti umani dovrebbero, ovviamente, continuare quella pratica.

Seoul e Washington possono, tuttavia, fare pressione su Pechino per fargli osservare la legge internazionale non rimpatriando i rifugiati nordcoreani. La Corea del Sud ha una popolazione di 30.000 rifugiati nordcoreani che sono diventati cittadini sudcoreani. Questo non ha impedito a Seoul di negoziare accordi con Pyongyang o di tenere due recenti summit tra le due Coree. Come minimo, la Cina dovrebbe smettere di radunare i rifugiati nordcoreani, anche se non concede loro uno status appropriato.

Nel 1939, gli Stati Uniti, il Canada e Cuba si sono tutti rifiutati di aiutare una nave carica di rifugiati disperati dell’Europa. Oggi il mondo si trova davanti a una flottiglia sempre crescente di disperati. E la risposta è la stessa: tornate indietro nell’inferno da dove siete appena scappati.

I leader mondiali che adottano questa politica non hanno vergogna. Nel caso di Donald Trump e di quelli come lui, ne sono perfino fieri.  Meritano un biglietto di ritorno verso le rocce dalle quali sono usciti strisciando.

 


John Feffer è il Direttore di Foreign Policy In Focus e autore di un romanzo distopico: Splinterlands. 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/world-to-refugees-go-to-hell

 

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