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11 luglio 2018

 

Al via il Summit NATO di Bruxelles

di Annalisa Perteghella e Simone Zuccarelli 

 

Si apre oggi a Bruxelles il summit NATO dei paesi membri dell’Alleanza Atlantica. L’appuntamento si tiene in un momento in cui le relazioni transatlantiche sono messe a dura prova dai recenti provvedimenti presi dal presidente Usa Donald Trump a sostegno della sua politica dell’“America First”. L’introduzione dei dazi su acciaio e alluminio e l’uscita dall’accordo sul nucleare iraniano sono solo due esempi di un mutato atteggiamento da parte di Washington nei confronti degli alleati tradizionali, che ha portato l’Europa a guardare oltreoceano con crescente preoccupazione. In particolare, si teme che il summit di Bruxelles possa ancora una volta portare alla luce - come nel recente G7 canadese - le divergenze in seno all’alleanza occidentale, questa volta a pochi giorni dall’atteso incontro tra Trump e il presidente russo Putin (Helsinki, 16 luglio). Alla vigilia del summit dell'11-12 luglio, lo stesso Trump ha annunciato che "Con Putin avrò l'incontro più facile" e, rivolgendosi agli alleati NATO, ha ancora una volta sottolineato che "Gli Stati Uniti spendono molto più di ogni altro paese per proteggerli. Non è giusto per i nostri contribuenti. E poi perdiamo 151 miliardi di dollari nel commercio con la Ue".

 

Quali saranno i temi al centro del summit NATO di Bruxelles? Quale equilibrio tra la tradizionale percezione della minaccia russa e la più recente percezione della minaccia proveniente dal fronte sud (terrorismo, traffico di esseri umani)?

 

I principali dossier sul tavolo

Nonostante sia solamente il punto n.5 in agenda, a dominare il summit saranno con ogni probabilità le discussioni sul burden sharing, ovvero sull’equa ripartizione degli oneri in seno all’Alleanza. Trump continuerà a fare pressione sugli alleati, come già fatto negli scorsi mesi, perché portino le proprie spese per la difesa a quota 2% del PIL. Al centro del dibattito sarà anche il rafforzamento della capacità di difesa e deterrenza in tutti i domini, compreso quello cibernetico, con il lancio del nuovo Cyber Operations Center (leggi il commentary).

 

La lotta al terrorismo e la stabilizzazione dei confini rimangono tra le priorità dell’Alleanza; uno degli strumenti privilegiati è l’addestramento delle forze in loco, come nel caso dell’operazione Resolute Support in Afghanistan, che verrà riconfermata nel corso del summit, e della nuova operazione di addestramento delle forze irachene, che dovrà aiutare le forze armate locali a evitare il riemergere di una minaccia terroristica simile allo Stato islamico, che verrà annunciata proprio nel corso dell’incontro. Proprio sulla lotta al terrorismo e alle sfide provenienti dalla regione del Mediterraneo allargato si concentra anche l’attenzione del nostro Paese, come sottolinea in questa intervista Andrea Manciulli, a capo della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare NATO. Rimane anche l’impegno verso l’est: la lotta al trafficking e all’immigrazione illegale nella regione del mar Egeo, attraverso la collaborazione con la Grecia, la Turchia e Frontex; il dialogo con Georgia, Moldova e Ucraina ma anche con Finlandia e Svezia per il mantenimento della sicurezza nella regione del Baltico; infine, il rinnovo dell’impegno verso la Open Door Policy, la politica di allargamento di cui ha beneficiato per ultimo in ordine di tempo il Montenegro, che nel 2017 è divenuto il 29esimo paese NATO.

 

Molta attenzione verrà rivolta anche alla collaborazione tra NATO e Unione Europea: alla vigilia del summit di Bruxelles è stata firmata una dichiarazione congiunta NATO-UE sulle sfide comuni. Ci sarà spazio anche per le decisioni relative agli aspetti logistici: durante il summit, gli Alleati ufficializzeranno il lancio di due nuovi Comandi, a Norfolk in Virginia e a Ulm in Germania.

 

Spesa per la difesa: Trump non molla

L’aumento della percentuale di PIL destinata alla spesa per la difesa è una delle richieste più pressanti che Trump ha rivolto agli alleati europei fin dai giorni della campagna elettorale. Recentemente, al G7 canadese dell’8-9 giugno, Trump ha ribadito che la NATO è diventata troppo costosa per gli Usa, e ha avvertito gli alleati del fatto che diventerà sempre più difficile giustificare ai cittadini statunitensi il fatto che alcuni paesi non adempiono agli impegni per la sicurezza collettiva. Il presidente statunitense insiste soprattutto sulla necessità per i paesi europei di portare la spesa militare al 2% del PIL, obiettivo che gli europei si sono impegnati a raggiungere entro il 2024. Attualmente, sono tre i paesi europei che hanno raggiunto questa quota: Grecia (2,36%), Regno Unito (2,12%) ed Estonia (2,08%), mentre la Polonia è molto vicina (1,99%). Il contributo statunitense è invece pari al 3,57% del PIL.

La richiesta di Trump si è concentrata nelle ultime settimane soprattutto sulla Germania, accusata di “cercare contratti miliardari con la Russia nel settore dell’energia mentre gli Stati Uniti pagano per la sua difesa”. Berlino, la cui spesa per la difesa si “ferma” all’1,2% del PIL, è in realtà il secondo contributore, dopo gli Usa, al budget civile e militare dell’organizzazione, con un contributo pari al 15%, mentre gli Usa precedono con il 22%. Inoltre, le spese complessive dell’Alleanza riportano un trend crescente a partire dal 2015.

 

L’obiettivo del raggiungimento del 2% del PIL è però anche oggetto di alcune critiche. L’eccessiva enfasi sull’aspetto quantitativo dell’impegno distoglierebbe infatti l’attenzione dall’aspetto qualitativo legato all’aumento dell’efficienza dell’Alleanza. In particolare, una maggiore spesa per la difesa da parte dei paesi membri non si tradurrebbe automaticamente in una aumentata capacità per la NATO di rispondere con prontezza alle sfide che si trova ad affrontare nell’attuale contesto geopolitico, come richiesto invece dall’Action Readiness Plan. Il corto circuito insito nell’obiettivo del 2% sarebbe ben rappresentato proprio dal caso della Grecia: Atene rispetta il vincolo perché, in un contesto di crisi economica, il suo PIL è crollato più velocemente delle spese per la difesa; inoltre, il paese spende circa il 70% del budget per la difesa in spese per il personale, il che solleva molti interrogativi circa l’efficienza dell’allocazione delle risorse.

 

Relazioni NATO-UE: quale futuro?

Nell’ottica dell’ulteriore rafforzamento della relazione tra NATO e Unione Europea, il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker e il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg hanno firmato oggi una nuova dichiarazione congiunta NATO-UE in cui si delinea una visione comune per affrontare le sfide che, spesso, risultano identiche per NATO e UE e per rafforzare e approfondire la cooperazione. Le due organizzazioni infatti si trovano spesso a condurre operazioni in sinergia, come per esempio l’Operazione Sea Guardian NATO che ha affiancato l’Operazione Sophia (UE) nel Mediterraneo o le collaborazioni in Afghanistan, nei Balcani e nel contrasto della pirateria somala. La cooperazione è considerata una priorità strategica da ambedue le organizzazioni. Con l’uscita del Regno Unito dall’UE, inoltre, la collaborazione diventerà ancora più importante: in quel momento, infatti, l’80% delle spese militari dell’area NATO sarà coperto da Paesi non appartenenti all’Unione. Di conseguenza, per poter svolgere azioni in tale ambito la collaborazione dell’Alleanza Atlantica risulterà essenziale. Tuttavia, sarà importante osservare come lo sviluppo di capacità europee integrate nel campo della difesa verrà armonizzato con le preesistenti strutture dell’Alleanza. In particolare, NATO e UE dovranno lavorare al fine di rendere tali sforzi coerenti e complementari, evitando sovrapposizioni e dispersione di risorse. Anche su quest’ultimo tema il summit potrà offrire importanti indicazioni.

 

Nonostante la cooperazione tra NATO e Unione Europea sia oramai più che ventennale – istituzionalizzata nel 2001 ma operativa fin dalla firma del Trattato di Maastricht nel 1992 – negli ultimi anni, a causa dell’aumento delle minacce e delle sfide che i Paesi transatlantici si trovano ad affrontare, ha fatto un salto di qualità. Durante l’ultimo summit NATO (Varsavia 2016) le due organizzazioni hanno siglato una dichiarazione congiunta, dando nuovo impeto alla partnership. In particolare, è stata rafforzata la cooperazione nelle seguenti aree: contrasto delle minacce ibride; cyber security; difesa, ricerca e industria della difesa; esercitazioni e rafforzamento delle capabilities dei Paesi partner ubicati a Est e a Sud. Alla dichiarazione hanno fatto seguito 42 proposte di azioni concrete – approvate da NATO e Unione Europea nel dicembre 2016 – per implementare la stessa. A un anno di distanza, poi, a tali azioni se ne sono aggiunte altre 32, con nuove tematiche inserite come contro-terrorismo e mobilità militare – che, considerata la crescente importanza, potrebbe diventare una delle principali aree di cooperazione tra le due organizzazioni.

 

NATO-Russia: differenza, ma non senza dialogo

Negli ultimi anni le relazioni tra NATO e Russia sono state segnate da numerose crisi irrisolte: le guerre nei Balcani, l’allargamento della NATO a est, le guerre in Georgia e Ucraina, le accuse reciproche di interferenza e destabilizzazione – in particolare il caso legato alle elezioni presidenziali americane e alle azioni russe in campo cyber – e l’espulsione di numerosi diplomatici russi in seguito al recente caso Skripal. Se prima dell’invasione dell’Ucraina NATO e Russia erano riuscite, seppur tra molte difficoltà, a cooperare in vari ambiti di interesse comune – in particolare nel contrasto della minaccia terroristica e della proliferazione di armi di distruzione di massa, nella cooperazione military-to-military, nella trasparenza e comunicazione reciproca e in ambito scientifico – dopo le vicende ucraine la NATO ha sospeso le collaborazioni civili e militari stabilite dal NATO-Russia Council (NRC) istituito nel 2002. Tuttavia ha deciso di mantenere aperti i canali di comunicazione politico-diplomatici al fine di ridurre i rischi di escalation e per tale ragione dal 2016 sono stati tenuti sette meeting del NRC (l’ultimo a maggio di quest’anno) dedicati alla questione ucraina, alla trasparenza e alla riduzione del rischio di scontri più o meno gravi.

 

Allo stesso tempo, la NATO ha associato al dialogo una più solida postura di deterrenza e difesa nei confronti della Russia. In tale ottica durante lo scorso summit NATO è stato deciso di dispiegare quattro battlegroup multinazionali nei Paesi Baltici e in Polonia (circa 4.700 uomini). È importante ricordare, comunque, che la politica odierna della NATO nei confronti della Russia – il dual-track approach, ossia dialogo combinato con una solida deterrenza e difesa – non rappresenta una novità. Già nel Rapporto Harmel del 1967 si legge, infatti, che «la sicurezza militare e una politica di distensione non sono in contraddizione ma complementari».

 

Nonostante il solco profondo che ora separa le due parti, lo spazio per il dialogo, come visto sopra, non si è completamente chiuso e l’elezione di Donald Trump, maggiormente aperto nei confronti di Mosca, contribuisce a mantenere aperto lo spiraglio. Non è un caso, inoltre, se il Segretario Generale NATO Stoltenberg non ha mostrato particolare preoccupazione in vista del prossimo incontro tra Putin e Trump; al contrario, ha ricordato come lo stesso sia pienamente in linea con il dual-track approach della NATO. Il meeting viene considerato, infatti, parte integrante del dialogo in corso con la Russia, anche se, probabilmente, non tutti i Paesi NATO si sentono in egual modo rassicurati – in particolare quelli più minacciati dalla postura russa, come Polonia e Baltici. Anche per quest’ultima ragione è probabile che il summit di Bruxelles rinsalderà la dual-track policy, con la critica alle azioni destabilizzanti russe e la conferma della politica di deterrenza e difesa da una parte e, dall’altra, il mantenimento del canale di dialogo aperto.

 

Oltre la Russia: terrorismo e fianco sud

Oltre alla esigenza “classica” della difesa del fianco est, nell’ultimo ventennio (a partire dall’11 settembre) è sorta in maniera sempre più pressante l’esigenza della difesa del fianco sud. Dalla regione del Mediterraneo e del Nord Africa derivano infatti numerose sfide, tra cui la disgregazione e il fallimento degli stati, il jihadismo e il crimine organizzato, l’aumento della pressione migratoria. All’interno dell’Alleanza esiste una vera e propria divisione informale tra paesi che avvertono in maniera più urgente la minaccia proveniente dall’est e paesi, tra cui l’Italia, che, come dichiarato il 10 luglio dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, vorrebbe un reindirizzamento dell’attenzione e degli sforzi verso il contenimento della minaccia proveniente da sud. Nel corso del summit verrà dichiarata la piena operatività dell’Hub per il Sud di Napoli, un centro per lo studio e lo scambio di informazioni sulle minacce provenienti da sud, inaugurato un anno fa. Come afferma Alessandro Minuto Rizzo, Presidente della Nato Defense College Foundation, l’hub rimane al momento un centro dal potenziale poco sfruttato, all’interno del quale l’Italia potrebbe giocare un ruolo maggiore.

 

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