L’unica novità possibile è

lo smantellamento!

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Diario di Bordo // 1 Novembre 2018

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Ragusa, 3 novembre 2018

 

Finalmente anche i macellai hanno una via.

 

Il Comitato di Base NO MUOS di Ragusa è lieto di annunciare che finalmente a Ragusa anche i macellai hanno intitolata una strada.

 

L’occasione del 4 novembre “una manina” ha infatti corretto le tabelle stradali di via Gen. Cadorna, riparando a un altro torto della toponomastica cittadina (vedi foto allegate).
Per rinfrescare la memoria di chi legge, nel 100° anniversario della “vittoria” nella guerra del 15-18 (1.250.000 morti tra militari e civili nella sola Italia), si riporta quanto scrive Vincenzo Rabito in “Terra matta”, alle pag. 111 e 112:

“E quanto abbiammo intesa un colpo di trompa e migliaia di voce in tutte li monte che erano a tuorno annoi che credavino: “Avante Savoia!”, noi ancora spetiammo quella crante e desonesta parola. E non la dicevino, perché la nostra posezione era avanta.
Passareno 10 menute e venne umporta vordene dicendo che dovemmo dare l’assalto pure noie. E così, il nome dai zapatore, il nostro capitano non lu ha detto: “Avante Zapatore”. Così, ci hanno detto: “Avante Savoia, Ardite!” E noi andammo all’assalto con il pugnale alle mano e il tascoapane pieno di petarde e li pompe che butavino fuoco.
C’erino tante oficiale, ma non erano officiale che noi li conosciamo, erano officiale venute da lontano. E c’erino oficiale con li fiamme nere, quelle che erino vere Ardite e nelle berette ci avevano il destentivo della compagnia di morte. E dietro di noi c’eri un battaglione di carabiniere con li mitre belle pontante che stavino atento: che se qualcuno di noi si avesse refiutato di avanzare, queste avevino l’ordene di spararene.
E così partiemmo, che paremmo uscite del manicomio, perché erimo diventate tutte pazze. E così, arrevammo alla prima linia austrieca, che allinea d’aria c’erino 25 metri. E se avemmo ammisorare la distanza, che prima dovemmo fare la discesa e poi passare il fiume e fare la salita, c’erano più di 200 metre di corsa, avanti che arrevammo ner fiume, con quello terreno bagnato e pietre e tanto filo spenato e tante trapole che c’erano messe vorrecate. D’ognuno di noi aveva cascato 20 volte, di quelle che ancora erimo vive.
Poi, stavamo con la paura, ché li austriece ci attaccavano con bompe ammano e fuoco di mitragliatrice, che d’ogni 5 di noi ni moreri 3. E quinte, quanto passammo il fiume, che poi veneva la salita, a li austriece ci veniva commito a butare bompe, e magari rozelavino crosse pietre. Quinte, per forzza, tutte dobiammo morire.
E finarmente, doppo tante soldate morte, che erino tutte morte e ferite nel fiume, abiammo conquistato la posezione. E così, tutte li bompe che avemmo nel tascapane, tutte ci l’abiammo scarrecato dentro la triceia. Che forino molto forte, che prima che rivammo noie, si ne sono scapate, queste cechine! Perché noi, quelle che per fortuna ancora erimo vive, arrevammo nella sua posizione con la scuma nella bocca come cane arrabiate. E tutte quelle che trovammo l’abiammo scannate come li agnelli nella festa di Pascua e come li maiala. Perché in quello momento descraziato non erimo cristiane, ma primo diventate tante macellaie, tante boia, e io stesso diceva: “Ma come maie Vincenzo Rabito può essere diventato così carnifece in quella mattinata del 28 ottobre?”.

 

 

 

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