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22 maggio 2018

 

Il campo di Yarmouk, il cuore trafitto della Diaspora palestinese in Siria, è finalmente libero

A cura del Comitato del Martire Ghassan Kanafani

 

Oggi 21 maggio 2018 il campo di Yarmouk è stato finalmente liberato da Esercito siriano e milizie palestinesi dopo 7 anni di conflitto e devastazione
 
Prima di fare delle considerazioni su questi ultimi giorni di battaglia, facciamo un passo indietro e raccontiamo cosa è stato e cosa ha rappresentato Yarmouk. Questo campo profughi (non ufficiale), fondato nel 1957 vicino la città di Damasco per accogliere i rifugiati palestinesi sopravvissuti alla Nakba (la catastrofe del 1948), è divenuto col tempo uno dei quartieri a sud della capitale siriana. Dotato di scuole, ospedali ed esercizi commerciali, ad appena 4 km dalla centralissima Piazza Rauda, Yarmouk Camp con i suoi 2 km2 di estensione ospitava la più vasta ed attiva comunità palestinese di tutta la Siria. Non stupisce come molti palestinesi per anni l’abbiano definito “la capitale della diaspora” o anche “la capitale della Resistenza palestinese”. Già con una legge del 1956 (la Legge siriana n.260 che è andata ad integrare la precedente 450 del ‘49), il Governo siriano ha garantito ai palestinesi rifugiati in Siria gli stessi identici diritti dei cittadini siriani (ad esclusione della cittadinanza, tra l’altro non rivendicata dai palestinesi che continuano a definirsi tali seppur ospitati in uno altro Stato). Fin dall’inizio della sua storia, Yarmouk si candida a divenire quindi una Patria d’adozione per i palestinesi cacciati dalla loro terra: qui per loro è stato possibile autodeterminarsi ed autogestirsi organizzandosi ed eleggendo propri rappresentanti. La storia dimostrerà che alla fine il profondo legame tra palestinesi e siriani, seppur con molti evitabili errori da entrambe le parti, reggerà la durissima prova della destabilizzazione prima e della guerra poi.

Per descrivere quella che era la vita dei palestinesi dentro Yarmouk, bisogna considerare la storia dei rifugiati palestinesi in Siria e dello stretto rapporto che lega lo Stato siriano alla causa palestinese. La maggior parte degli 85-100 mila rifugiati palestinesi che arrivarono in Siria, a partire dal biennio ’48-’49, provenivano dai villaggi situati nella parte nord della Palestina, mentre nel 1967 una nuova ondata di profughi si mise in marcia quando Israele occupò illegalmente le alture del Golan. Negli anni ’80 poi fu il turno dei palestinesi profughi dal Libano che in migliaia, durante la guerra civile, si riversarono nella più vicina ed accogliente Siria. Prima dell’aggressione imperialista del 2011, i palestinesi rappresentavano circa il 2% dell’intera popolazione siriana. Damasco per fare un esempio è stata per molto tempo la sede operativa della principale organizzazione marxista palestinese, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – FPLP. Se mettiamo velocemente a confronto la situazione dei profughi palestinesi in Siria rispetto a quella negli altri Paesi arabi, vediamo come le differenze appaiono molte ed assai profonde. In Libano, ad esempio, i palestinesi vengono ancora trattati dalle istituzioni come stranieri a tutti gli effetti. Nel ‘Paese dei cedri’, l’attività della UNRWA è resa difficile (se non impossibile) a causa di uno ‘storico scarso interesse a migliorare le condizioni dei profughi palestinesi: le capacità dell’UNRWA, lasciata da sola, sul fronte sanitario sono molto limitate e, circa l’istruzione, si è assistito ad un progressivo abbassamento del livello di scolarizzazione’. Ad aumentare in Libano sono stati solo i drammi per questi profughi condannati a rimanere stranieri. La situazione in Giordania, in Egitto e negli altri Paesi arabi non è certo migliore. Per quanto riguarda l’entità sionista, l’UNRWA è costretta ad evidenziare ‘una diffidenza ed una totale assenza di collaborazione, perlomeno dal 1967’.

A partire dal 2011, la disinformazione sviluppatasi sul ruolo dei campi profughi palestinesi all’interno della ‘crisi siriana’ e, in particolare, la strumentalizzazione di quanto accaduto nel campo di Yarmouk ha evidenziato la diffusa grave incapacità nel saper/voler distinguere fra i diversi interessi politici coinvolti
nella destabilizzazione, o d’altra parte nella difesa, della sovranità ed indipendenza della Repubblica Araba di Siria. Pur non volendolo, Yarmouk è divenuto il centro anche simbolico di questa aggressione. Nella narrazione distorta degli avvenimenti giunta fino a noi, la popolazione civile palestinese del campo è infatti stata alternativamente ritratta come ‘vittima del regime siriano’ o accusata di essere ‘collaborazionista’ dello stesso. Ma come è andata veramente? Proviamo a ricostruire la vicenda senza paura di indicare le responsabilità di una parte della popolazione palestinese del quartiere.

Oggi (21/05/18) l’ultima sacca di resistenza opposta dallo Stato Islamico è stata finalmente sgominata, ma come riuscì Daesh ad entrare nel campo? Questo fu possibile solo dopo una complessa serie di vicende che videro spaccarsi i gruppi armati palestinesi operanti in territorio siriano. I principali attori di questa spaccatura con ruoli antagonisti furono: da una parte, Aknaf Beit al-Maqdis (costola non-ufficiale di Hamas in Siria) e, dall’altra, il Fronte Popolare - Comando Generale (scissione del PFLP marxista, gruppo palestinese storicamente alleato del Ba’ath siriano). Nel 2011, un antefatto innescò il successivo conflitto aperto: il governo di Damasco autorizzò i palestinesi residenti in Siria a organizzare una marcia sulle alture del Golan nell’anniversario della Nakba (15 maggio). L’esercito israeliano reagì aprendo il fuoco oltre la frontiera, trucidando civili palestinesi, alcuni dei quali residenti a Yarmouk. Le forze islamiche palestinesi del campo approfittarono dei funerali di queste vittime per prendere il controllo del quartiere deviando il corteo del funerale verso la sede del FPLP-CG che così venne presa d’assalto. Nello scontro a fuoco che ne seguì la sede venne data alle fiamme, fatto che diede la percezione che le forze islamiche avessero il controllo del campo. L’obiettivo delle forze islamiche era di portare i palestinesi a schierarsi con l’insurrezione antigovernativa in Siria che, in quel momento, godeva di ampie prospettive di sviluppo: nel 2011 organizzazioni legate alla fratellanza avevano preso il controllo di Tunisia, Libia (almeno in parte) ed Egitto, potendo contare sul sostegno diretto e indiretto tra l’altro di Turchia e Qatar. Quella di Aknaf Beit al-Maqdis fu quindi una forzatura per mettere le altre organizzazioni palestinesi (in una posizione neutrale rispetto la prima ondata di proteste anti-governative) a prendere una posizione e, di fatto, facendo di Yarmouk un campo di battaglia.
 
Aknaf Beit al-Maqdis non ebbe solamente un ruolo attivo nel campo di Yarmouk, ma in molte altre zone della Siria, organizzando e gestendo campi d’addestramento e canali di rifornimento d’armi. In breve, nel campo a sud di Damasco, di strategica importanza per il controllo della Capitale, lo scontro fu inevitabile. Il confronto armato fra Aknaf Beit al-Maqdis e gli altri gruppi armati (circa 12 nel campo) andò avanti dal 5 al 17 Dicembre del 2012; ma la svolta vera e propria ci fu il 16 di quello stesso mese, quando le organizzazioni islamiche presero il controllo dei check point che controllavano i confini del campo. L’assedio di Al-Yarmouk ha avuto inizio questo nefasto giorno, quando un gran numero di guerriglieri del cosiddetto “Esercito Libero Siriano - ELS” (o Free Syrian Army –FSA) e di “Jabaht Al Nusra” (ramo siriano di al Qaeda) provenienti da diverse zone limitrofe, vennero letteralmente fatte entrare grazie un aiuto ‘interno’ per fare del campo una roccaforte liberata dalle altre fazioni. L’alba del 17 dicembre 2012, vedrà purtroppo una parte dei combattenti tra le fila dei Comitati Popolari ritirarsi, senza previo avviso, dalla zona del nuovo ospedale - rotatoria della Palestina e dal quartiere al Zaytoun. Il ritiro di queste unità (apparentemente insensato) non fu casuale, ma si è trattò nei fatti di un’azione coordinata con le milizie dell’opposizione siriana presenti ai confini del campo profughi.

La prima zona del campo a subire gli effetti dell’abbandono delle postazioni è stata quella compresa tra la rotatoria della Palestina verso la strada della Palestina e il quartiere Al-Magharba; il secondo fronte venutosi a creare si estendeva invece dal quartiere Al-Zayn fino alla strada Al-‘Oruba. In quel frangente, c’è da sottolineare come il resto delle unità dei Comitati Popolari e delle organizzazioni palestinesi abbiano responsabilmente conservato le loro posizioni, ingaggiando violenti scontri in diverse aree all’interno del campo e, più precisamente, sui fronti di Al-‘Oruba - Al-Turba Al-Qadima, sul fronte che si estende dall’ospedale ‘Filasteen’ - Al-Khalsa fino alla Strada 30, lungo il fronte Al-Tadamon - Municipio Al-Yarmouk – Fire’e Al-Hizeb ed infine tra Al-Tarboush e il Parco dei Martiri.

 

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