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05 settembre 2018

 

Gli interessi di Turchia, Iran e Russia nell'attacco a Idlib

di Barbara Ciolli

 

Damasco e Mosca sferrano l'attacco all'ultimo bastione dei ribelli. Con l'appoggio di Ankara e Teheran. Erdogan è sempre più nell'orbita del Cremlino e degli ayatollah.

 

Ognuno fa il suo gioco ma alla fine si dovrà fare il gioco del più forte. Verso Idlib, roccaforte nel Nord della Siria di quel che resta dei ribelli e in particolare degli ancora impresentabili qaedisti di al Nusra (hanno cambiato sigla in Tahrir al Sham, ma il nome non cancella pratiche da tagliagole e ideologia), stanno confluendo le truppe del regime siriano e i rinforzi turchi alle brigate che Ankara, con il Qatar, arma per ritagliarsi un'area di influenza come ai tempi degli ottomani. È dipinta come la battaglia finale, per chiudere la guerra in Siria con una vittoria totale di Bashar al Assad ed è scontato che l'obiettivo di Damasco sia togliere agli insorti nelle Primavere arabe del 2011 anche l'ultimo spazio vitale. Una resa senza compromessi perseguita, a parole, anche dagli indispensabili alleati iraniani.

 

«RIPULIRE IDLIB» NONOSTANTE LA TURCHIA?

Il regime di Assad porta avanti una campagna militare da Stato sovrano. L'offensiva di terra promessa da settimane non è solo una questione di propaganda bellica, i raid siriani e russi per spianare il terreno alle forze di terra sono già partiti: attacchi che, secondo fonti locali, si concentrano tra Hama e Idlib. A Nord di Idlib sono invece schierati nuovi tank e altri mezzi d'artiglieria, inviati da Ankara alle sue unità già presenti in Siria, in base all'accordo di spartizione tra l'Iran, la Turchia e la Russia (e sottinteso la Siria) raggiunto tra le tre potenze ai negoziati organizzati ad Astana, in Kazakistan, dal Cremlino. E qui casca l'asino per Assad: nonostante anche l'Iran inciti a «ripulire Idlib», la Turchia è un partner importante tanto per l'Iran quanto ormai per la Russia.

 

LA DOPPIA FACCIA DELL'IRAN

In visita a Damasco, il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ha dichiarato che «Idlib deve essere liberata da tutti i terroristi che restano e tornare sotto il controllo della gente siriana», intendendo per «terroristi» tutti i ribelli. Dalle rivolte del 2011, sfociate in guerra civile, il regime siriano reprime l'opposizione – anche pacifica – siriana, addossando gli scontri a «terroristi venuti da fuori»: una linea accettata in battaglia dall'alleato iraniano che ha mandato in Siria a sostegno dell'esercito di Assad comandanti delle forze speciali dei pasdaran, rinforzi libanesi di Hezbollah, armi, soldi, e persino mercenari afghani. Il 7 settembre prossimo tuttavia, sempre Zarif dovrà cambiare registro, perché a Teheran la Repubblica islamica della quale la Siria è sempre più uno Stato satellite, ha invitato i presidenti russo e turco per un trilaterale. «Spero che il summit porti a fermare l'aggressione del regime» siriano a Idlib, ha commentato Erdogan che mette in guardia circa i rischi dell'offensiva: «Lì ci sono circa 3,5 milioni di persone», ha detto, «se avviene un disastro, la loro destinazione numero uno è la Turchia».

 

I LEGAMI TRA IRAN, TURCHIA E RUSSIA

La questione più impellente da discutere è l'armistizio in Siria. Ma su Vladimir Putin, Recep Tayyip Erdogan e sull'omologo iraniano Hassan Rohani pendono anche le sanzioni americane. L'Iran deve mantenere buone le relazioni con la Turchia, che ha un grosso interscambio commerciale con l'antica Persia. Non a caso ha subito disconosciuto l'embargo reimposto da Donald Trump agli ayatollah. Lo stesso Erdogan è da poco vittima di sanzioni della Casa Bianca, nonostante sia un membro di punta della Nato, e si sta sempre più svincolando dall'orbita occidentale per convergere, anche politicamente, sull'asse dei non allineati della Russia. Della compagine fa parte sorprendentemente anche il Qatar, finanziatore come Erdogan dei ribelli di Idlib, ma isolato dall'Arabia Saudita proprio perché troppo aperto con l'Iran.

 

QATAR E TURCHIA DIPENDONO DALL'IRAN

Qatar e Turchia sono i principali sponsor della Fratellanza musulmana, nell'imbarbarimento della Siria diventata ostaggio dell'ala più estremista di al Nusra. Ma è dall'Iran, oltre che dalla Turchia, che passano beni e cittadini qatarioti, una volta scattato, nel giugno 2017, il blocco diplomatico e commerciale (navale, aereo e terrestre) della coalizione saudita. Dalla Cina, attraverso l'Iran e la Russia, arrivano ormai molti rifornimenti anche all'emirato ribelle del Golfo, oltre che alla Turchia di Erdogan, avvitata come l'Iran in una grave crisi economica. Il giro, insomma, è quello: già nell'accordo di Astana, di oltre un anno fa, Ankara si era ritagliata la regione di controllo di Idlib, dove sono stati convogliati tutti i ribelli, tra la frontiera con la Turchia e la regione curda autonoma della Rojava invisa a Erdogan.

 

LA BATTAGLIA FINALE CON GLI INSORTI

I curdi siriani, armati dagli americani contro l'Isis ma politicamente vicini alla Russia, furono sacrificati da Putin per l'intesa con Erdogan e da maggio 2017 Russia, Iran e Turchia si sono avvicinati ancora. L'anello più debole della catena è la Siria di Assad, che dipende ormai totalmente dall'Iran, il quale a sua volta per l'embargo dipende – suo malgrado – dalla Cina e in misura minore dalla Russia. Subito dopo la Siria viene la Turchia, in grave scontro con gli Usa e confinata in circuiti alternativi: iraniani e russi possono ridimensionare Erdogan fino al punto di umiliarlo? Ritirarsi da Idlib equivarrebbe per lui perdere ogni influenza sulla Siria: lì sono stati spostati i ribelli sfollati dalle città riconquistate da Assad. Per la legge del più forte e dopo l'errore dell'alleanza con al Nusra, gli insorti del 2011 e i civili delle aree che ancora controllano rischiano di essere scaricati da tutti come i curdi.

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