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20 febbraio 2018

 

Miliziani filo Al-Assad giungono ad Afrin, Erdogan bombarda le strade. Lavrov ammette l’accordo

di Enrico Oliari

 

Rischia di trasformarsi in un’escalation dagli esiti imprevedibili la situazione ad Afrin, nella Siria occidentale, dopo che le autorità di Damasco hanno deciso di dislocare i propri militari e miliziani filo-governativi lungo il confine con la Turchia, ufficialmente a protezione delle popolazioni civili.


Nel primo pomeriggio il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, che da settimane sta bombardano Afrin per strapparla alle milizie curde dell’Ypg, ala armata del Partito Democratico (Pyd), ha minacciato che “le organizzazioni terroristiche pagheranno un alto prezzo per i loro errori”, con allusione alla richiesta dei curdi rivolta a Damasco di intervenire in loro supporto nella Siria settentrionale.


Erdogan ha fatto sapere che l’operazione “Ramoscello d’ulivo” scatenata un mese fa contro i miliziani dell’Ypg, tra l’altro armati dagli alleati Usa, è stata concordata con la Russia e l’Iran, entrambi alleati di Bashar al-Assad. Eppure qualcosa non torna, a cominciare dal fatto che, se è vero che i curdi spingendosi a ovest sono arrivati in zone miste e vicino ai territori controllati dai ribelli turcomanni, altresì è vero che sono i curdi ad aver rappresentato il primo baluardo all’espansione dell’Isis (si pensi a Kobane) in un’epoca in cui decine di migliaia di foreign fighters transitavano dagli aeroporti turchi, armi per ribelli e jihadisti passavano dalla Turchia alla Siria, i miliziani dell’Isis erano curati negli ospedali turchi e soprattutto il petrolio del “Califfo” andava in Turchia.


Il presidente turco ha quindi lamentato il fatto di aver avuto garanzie da Vladimir Putin che ne’ i miliziani filo governativi ne’ i regolari sarebbero giunti ad Afrin.


Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov è intervenuto in serata confermando che la presenza delle truppe turche in Siria era stata concordata, “necessarie in quanto le minacce terroristiche esistono ancora”, e che “la Russia sta lavorando con Iran e Turchia per ridurre le tensioni nell’area”. Ha anche spiegato che la “Turchia avrebbe dovuto costituire 23 posti di blocco a sud di Afrin come da accordo raggiunto ad Astana sulla zona cuscinetto lungo il confine”. E’ difficile che un politico e diplomatico del calibro di Lavrov si sia fatto mettere nel sacco da Erdogan, ma è palese che il presidente turco più che a una zona cuscinetto (tra l’altro in territorio siriano) puntava a ben altro, cioè ad allontanare gli odiati curdi dal loro territorio.


Il ministro ha comunque smentito che il giorno prima dell’inizio delle operazioni turche i russi abbiano piantato in asso i miliziani curdi, affermando al contrario che le unità russe sono ancora in luogo.


La guerra civile siriana è d’altro canto per eccellenza la guerra delle contraddizioni, ma è risibile il comportamento del presidente turco che, come hanno scritto alcuni dei giornalisti oggi in carcere, appoggiava i terroristi dell’Isis ed oggi chiama “terroristi” i curdi, che conto i terroristi combattevano veramente.


In barba al diritto internazionale, gli aerei turchi hanno bombardato la strada che porta ad Afrin per rallentare l’arrivo dei militari siriani, ma Nuri Mahmud, portavoce delle Ypg, ha reso noto che unità regolari sono già giunte nella città curdo-siriana e che “il governo siriano ha risposto alla chiamata del dovere”. “Le unità militari – ha continuato – verranno dispiegate lungo la frontiera”. Ankara sostiene invece di aver costretto i miliziani filo governativi a ripiegare, per cui vi sarebbero stati scontri.


Da quanto si è appreso i miliziani hanno aggirato i blocchi di Erdogan salendo ed entrando nel Rojava (Kurdistan Siriano), venendo quindi da oriente.

 

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