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11 aprile 2018

 

Siria: verso lo scontro Usa-Russia?

di Annalisa Perteghella

 

Aumentano le tensioni tra Stati Uniti e Russia in relazione ai recenti avvenimenti siriani. Dopo il sospetto attacco chimico a Douma - del quale è accusato il regime di Assad - e uno strike israeliano sulla base aerea siriana di Tyias, si moltiplicano gli interrogativi sulla possibile risposta statunitense. Il Consiglio di Sicurezza Onu, paralizzato dai veti incrociati di Usa e Russia, non è stato in grado di raggiungere una posizione comune, mentre Washington - insieme a Parigi e Londra - annuncia un’azione punitiva non ancora precisata che riguarderebbe anche Mosca. La Russia da parte sua risponde a tono, minacciando serie ritorsioni in caso di un attacco americano. Si prospetta dunque un confronto Usa-Russia? Quali sono le opzioni a disposizione dei due paesi? Quali i possibili sviluppi del conflitto?

Trump: quali opzioni sul tavolo?

Ciò che sembra sempre più certo è che non esiste una seria possibilità di “vittoria” in Siria, a meno di costi altissimi che gli Usa non sembrano disposti a sobbarcarsi. Come scrive Max Fisher sul New York Times, gli Stati Uniti di Trump si trovano in questo momento di fronte a tre possibilità. La prima opzione è rappresentata da attacchi mirati, limitati e con fini punitivi, come quello condotto lo scorso anno sulla base di Shayrat in risposta all’attacco chimico a Khan Sheikhoun. Nelle intenzioni di Trump l’obiettivo di tali attacchi sarebbe quello di imporre un costo modesto ad Assad e dissuaderlo dal condurre altri attacchi del genere in futuro. Un obiettivo tuttavia difficile da centrare, visto che difficilmente un attacco del genere potrà modificare il sistema degli incentivi di Assad: per il dittatore siriano la guerra è divenuta questione di sopravvivenza personale e politica, e se reputa che gli attacchi chimici siano necessari e funzionali al raggiungimento di questo obiettivo, non si tratterrà dall’effettuarli. Inoltre, a differenza dello scorso anno, la Russia segnala una maggiore disponibilità a rispondere a eventuali attacchi, non limitandosi a evacuare i propri militari ma dichiarandosi pronta a rispondere a eventuali bombardamenti.

 

Una seconda opzione è invece rappresentata dal lancio di un attacco che rappresenti una minaccia esistenziale per il governo di Damasco, e che sia in grado di sormontare la risposta russa e iraniana. In termini pratici, si tratterebbe di lanciare un intervento su ampia scala, che però comporterebbe due rischi che finora gli Usa hanno cercato di evitare: il rischio di un collasso dello stato siriano – che spalancherebbe le porte a uno scenario come quello iracheno – e il rischio di un confronto militare diretto con la Russia.

 

Esiste poi una terza opzione, che è quella adottata da Obama durante il suo mandato: astenersi dal condurre azioni che possano alterare in modo significativo gli equilibri del conflitto, limitandosi solamente a renderlo più costoso per Assad, inducendolo così a ottemperare alle richieste americane. Rientrano in questa terza opzione le azioni di sostegno ai ribelli che sono state alla base della politica siriana di Obama. Il problema evidente di questa terza opzione è che questo tipo di azioni  non è, in termini di intensità e risultati, in grado di compromettere il vantaggio acquisito sul terreno da Russia e Iran: ai rifornimenti statunitensi di armi ai ribelli, l’Iran ha risposto dispiegando nel paese uomini e milizie; ai missili Usa la Russia ha risposto dispiegando in Siria un sistema di difesa anti-missile.

 

All’atto pratico, dunque, gli Stati Uniti dovrebbero cercare un difficile equilibrio formulando una risposta che sia di entità maggiore rispetto a quella dello scorso anno – che non era servito a dissuadere Assad – ma non di scala così elevata da rischiare di trascinare le parti in un conflitto aperto.

Russia: pronta a rispondere?

La lettura dei principali giornali russi di oggi ci riporta indietro di decenni ai momenti più critici della guerra fredda, quando un confronto militare aperto tra le due maggiori potenze nucleari sembrava imminente e teneva il mondo intero con il fiato sospeso. Titoli come "macho Trump inizierà la terza guerra mondiale?" (Komsomolskaya Pravda), “Sull’orlo del precipizio” (Novaya Gazeta) e “Ci sarà guerra domani?” (Moskovskij Komsomolets) avvertono i lettori russi delle nefaste conseguenze di un possibile attacco americano in Siria. Diversi esponenti e funzionari russi già nei mesi scorsi avevano avvertito che un’azione di Washington non sarebbe rimasta impunita: Valery Gerasimov, Capo di Stato Maggiore della Federazione Russa, aveva affermato lo scorso mese che in caso di minaccia per i militari russi, Mosca avrebbe messo in atto misure di rappresaglia contro i missili e le navi nemiche. Lo stesso Gerasimov aveva dichiarato di essere in possesso di informazioni secondo le quali i ribelli dell'enclave della Ghouta orientale stavano progettando di simulare un attacco con armi chimiche contro i civili per poi incolparne l'esercito siriano. Mosca, nel frattempo, è in assetto di guerra, con i missili Kalibr (la versione russa dei Tomahawks americani) puntati verso le basi americane.

 

Se un’escalation in Siria sembra incombente, alcuni esperti ridimensionano sia la portata dell’attacco americano che le possibili reazioni russe. Maxim Suchkov, responsabile per la Russia del giornale online Al-Monitor e ricercatore associato ISPI, sostiene che alcuni tra i numerosi tweet lanciati da Trump oggi dimostrano che il presidente statunitense non è sicuro del fatto che un attacco in Siria sia una buona idea e che la maggior parte delle azioni statunitensi sulla questione siano in realtà il risultato di dinamiche interne agli Usa stessi. Suchkov ritiene che molto dipenderà dal tipo di azione messa in atto dagli Stati Uniti: un’azione come quella dell’anno scorso, in cui ventitré dei cinquantanove missili statunitensi colpirono degli obiettivi sensibili e nessun militare russo rimase ucciso, sarebbe lo scenario ideale in quanto permetterebbe a Trump di “mostrare i muscoli”, ma senza violare la red line russa di un coinvolgimento di personale militare russo. Inoltre, di fronte a un ulteriore attacco americano, una risposta “morbida” e circoscritta da parte della Russia – che potrebbe, per esempio, intercettare i missili statunitensi ma non colpire i vettori – potrebbe dare spazio a delle vie d'uscita dalla situazione attuale. Anche Prokhor Tebin, esperto del RIAC di Mosca, ritiene improbabile un conflitto aperto; piuttosto, è possibile aspettarsi degli “incidenti collaterali”. Le tensioni tra Russia e Stati Uniti in Siria sono sempre più sottoposte all’attenzione internazionale; occorre ricordare, però, che i due stati rimangono due tra gli attori principali, ma certo non gli unici, ad agire in uno scenario sempre più ampio e complesso.  

Dalle parole ai fatti?

Qualora l’escalation verbale tra Washington e Mosca dovesse tradursi in azioni concrete, come potrebbero svilupparsi le operazioni militari? Nell’attacco Usa dell’anno scorso, Trump aveva effettuato un’azione militare dalla forte valenza simbolica con il lancio di 59 missili Tomahawks da due cacciatorpediniere – la USS Ross e la USS Porter – presenti nel Mediterraneo orientale. I tomahawks sono missili d’attacco terrestre (Tomahawk Land Attack Missile – TLAM), comunemente definiti per loro natura missili a medio-lungo raggio, con una capacità di distruzione molto ridotta rispetto ad altri strumenti militari, ma con un’alta probabilità di colpire l’obiettivo. Infatti, è il caso di ricordarlo, sul piano militare il lancio dell’aprile di un anno fa non generò conseguenze particolarmente decisive sul medio periodo, mentre ebbe, invece, un impatto mediatico molto elevato. Anche in queste ore  sembrerebbero riproporsi condizioni analoghe ad allora, soprattutto alla luce del fatto che sullo scacchiere siriano gli USA non dispongono oggi di un ventaglio esteso di opzioni. È probabile che per le operazioni militari Washington impiegherà la USS Donald Cook, un cacciatorpediniere stanziato nel Mediterraneo, anch’esso dotato principalmente di missili Tomahawk. Il cacciatorpediniere, inoltre, si aggiungerà al gruppo di battaglia (Carrier Strike Group – CSG) della portaerei a propulsione nucleare USS Harry Truman, partita da Norfolk (Virginia) e in viaggio verso il Mediterraneo. Dal canto suo la Russia potrebbe molto probabilmente utilizzare il proprio scudo antimissilistico S-400 per intercettare e abbattere eventuali missili americani. Si tratta di un sistema di difesa dotato di quattro tipi di missili che lo rendono particolarmente efficiente: la serie 40N6E, con una lunghissima gittata, pari a 400 km; la serie 48N6, in grado di coprire una distanza di 250 km; la serie 9M96E2, con una gittata pari a 120 km; e infine la serie 9M96E in grado di coprire una distanza molto più ridotta, pari a circa 40 km. Questi dati sono particolarmente significativi se si pensa che il sistema anti-missilistico americano US Patriot monta un sistema di missili in grado di coprire una gittata pari a 96 km. Inoltre, il sistema S-400 è dotato di nuovi dispositivi radar che garantiscono l’identificazione di aerei stealth occidentali, come gli F-22 e gli F-35, dato che questi ultimi montano solo nella parte frontale la tecnologia che li rende invisibili ai radar, rendendo il resto del velivolo particolarmente vulnerabile.

 

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