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12 aprile 2018

 

Siria, l’internazionalismo prima della geopolitica

di Francesco Locantore e Armando Morgia

 

Con il popolo siriano, contro il regime di Assad, gli imperialismi e i fondamentalismi religiosi. No alla guerra in Siria senza se e senza ma

 

Douma è stata teatro di un ennesimo massacro. Un massacro perpetrato dal regime siriano con la consueta copertura dell’alleato russo. Dalle immagini che trapelano dal luogo della strage, è molto alta la probabilità che si sia trattato di un attacco chimico. D’altro canto, il “cordone sanitario” russo impedisce l’accesso in città, e quindi pare non esserci spazio per indagini indipendenti che possano effettuare ispezioni e raccogliere prove. I russi hanno già in altre occasioni operato per proteggere il loro alleato da eventuali occhi indiscreti, ma il fatto che il regime possegga armi chimiche, e le abbia già usate contro la popolazione civile è innegabile. D’altro canto, il possesso di armi chimiche è stato ammesso dallo stesso Assad dopo l’accordo ratificato all’unanimità il 27 Settembre 2013 dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, in base al quale il governo siriano avrebbe dovuto smantellare il proprio arsenale.

 

Che questo attacco, condotto in tutta evidenza per sradicare una delle ultime roccaforti dei gruppi armati in lotta contro il regime, possa servire oggi da giustificazione per il raid israeliano a Homs e per un eventuale attacco statunitense su suolo siriano, magari in collaborazione con la Francia, è al pari assolutamente condannabile ed esecrabile, come le miserie del giornalismo embedded. Ad ogni modo, si tratterebbe in tutta probabilità di un attacco dimostrativo, come quello che Trump lanciò nell’Aprile del 2017 contro la base aerea siriana di Al Shayrat sfruttando l’ignobile strage di Khan Sheikhoun ad Idlib. A dispetto di ciò che pensa chi guarda solo in bianco e nero, nessuna delle potenze occidentali ha mai davvero voluto spodestare Assad, ad eccezione forse di Israele, che però non è mai stato appoggiato né dagli Stati Uniti, né dai paesi dell’Unione Europea, ma anzi contenuto nelle sue velleità.

 

La Siria è un campo di battaglia delle diverse potenze imperialiste e regionali, ognuna delle quali gioca la sua partita sulle spalle del popolo siriano con una combinazione di alleanze e accordi a geometria variabile. La Siria riveste un’importanza strategica per diversi motivi, il più importante dei quali è forse il controllo e la supervisione che può garantire sulle rotte dell’approvvigionamento energetico, e la sua caratteristica di essere ponte tra Asia orientale e Mediterraneo. Una presenza e un controllo sul suo territorio è funzionale al rafforzamento geopolitico e all’indebolimento degli avversari sullo scacchiere globale. La stessa Cina, che pure non è coinvolta direttamente sul campo, è in questo contesto il convitato di pietra par exellence.

 

L’unica vittima di questo crudele gioco è, come sempre, la popolazione siriana, la cui sacrosanta rivolta sociale nel 2011, sulla scia delle altre rivolte arabe, fu schiacciata nel sangue dal regime dinastico del clan Assad. Quella repressione, incluso con la liberazione criminale e spregiudicata da numerosi jihadisti detenuti allora nelle carceri siriane, ha aperto il vaso di Pandora dell’attuale caos in cui è sprofondato il paese, e ha dato opportunità di intervento alla Russia, agli Stati Uniti, a Israele, all’Iran, all’Arabia Saudita e alla Turchia, con la mediazione sul campo dei diversi gruppi locali di riferimento.

Noi siamo risolutamente contro le tre forze della controrivoluzione: le potenze imperialiste e regionali che si stanno contendendo le spoglie della Siria, i gruppi armati del fondamentalismo religioso, il regime baathista, e siamo al fianco della popolazione siriana che soffre e che, malgrado tutto, continua a resistere.

 

Occorre riprendere la mobilitazione contro la guerra, e in solidarietà con la popolazione siriana e con tutti i popoli colpiti dall’imperialismo e da brutali regimi dittatoriali e capitalisti, una mobilitazione che sia autenticamente internazionalista e che si schieri risolutamente con l’unico campo con cui vale davvero la pena farlo: quello degli sfruttati e degli oppressi.

 

 

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