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27 gennaio 2018

 

Un appello alla solidarietà: difendiamo Afrin, difendiamo l’umanità

di Dilar Dirik 

traduzione di Giuseppe Volpe

 

Mentre scrivo l’esercito turco è impegnato in un’illegale invasione oltre confine della regione siriana curda di Afrin. Affermando di combattere “terroristi” lo stato turco – candidato alla UE, alleato dell’occidente e secondo esercito più vasto della NATO – ha lanciato un atto di aggressione contro la stessa gente che si è guadagnata il rispetto del mondo per aver sconfitto l’ISIS con i suoi sacrifici coraggiosi e con la sua storica resistenza. La campagna militare comprende truppe dell’Esercito Siriano Libero (FSA) filo-Erdogan e pone una minaccia a 800.000 civili, metà dei quali sfollati internamente che hanno cercato rifugio ad Afrin da regioni quali Idlib e Aleppo.

 

L’attacco ad Afrin rivela ogni lettera dell’ABC dell’imperialismo. L’attacco non avrebbe potuto essere lanciato senza l’approvazione della Russia, che controlla lo spazio aereo sopra Afrin, e senza il consenso dell’Iran e di Assad. Secondo dirigenti di Afrin la Russia ha proposto di proteggere Afrin in cambio della sua consegna al controllo del regime di Assad. Ma quando l’offerta è stata respinta la Russia ha dato semaforo verde all’invasione turca.

Gli Stati Uniti, nel frattempo, che hanno convenientemente usato i curdi come “affidabili scarponi sul campo” in Siria negli ultimi anni nella coalizione internazionale anti ISIS, restano zitti sulle ambizioni del loro alleato nella NATO di sacrificare gli eroi della guerra contro l’ISIS, limitandosi ad ammonire la Turchia a “evitare perdite civili”. I governi europei, specialmente la Germania, hanno interessi propri in gioco, poiché la maggior parte delle armi e dei blindati europei sono usati dall’esercito turco; armi nelle mani di fascisti che costringono milioni di persone ad abbandonare le loro case e a rischiare la morte per diventare profughi in Europa.

Dopo sette anni di guerra la Siria è distrutta; l’ISIS è venuto, ha ucciso e se n’è andato; sono stati commessi genocidi e massacri; la demografia e l’ecologia della regione sono cambiate; Assad sembra destinato a restare. Le legittime rivendicazioni di tutti i siriani che sono scesi in piazza e hanno rischiato le loro vite per chiedere dignità, libertà e giustizia contro il regime di Assad, sono state duramente tradite. Contemporaneamente i potenti stati protagonisti nella regione e oltre sembrano aver fatto un giro completo, mentre più di mezzo milione di persone sono morte e circa sei milioni sono state cacciate. Attivisti parlano della terza guerra mondiale in corso in questa regione.

E’ in questo contesto che la Turchia lancia la sua guerra contro Afrin, superando di gran lunga l’ostilità storica dello stato turco nei confronti del popolo curdo. La battaglia è simbolica delle due opzioni che i popoli e le comunità del Medio Oriente hanno oggi di fronte: tra dittature militariste, patriarcali, fasciste da un lato, controllate da interessi imperialisti e capitale stranieri, o la solidarietà tra comunità di uguali, autonome, autogestite e libere dall’altro. La difesa di Afrin è un’occasione perché la sinistra si unisca contro il fascismo e si mobiliti contro il militarismo, l’occupazione e la guerra.

 

La posta in gioco

Nel contesto della guerra all’ISIS gli stessi stati che sono noti aver alimentato le forze jihadiste in Siria – specialmente Turchia, Arabia Saudita e Qatar – sono divenute parte di una coalizione guidata dalle stesse potenze che hanno invaso il Medio Oriente per interessi imperialisti, commesso crimini di guerra nel nome della “lotta al terrorismo” e così creato il terreno sul quale alla fine è fiorito l’ISIS. Le forze che rappresentano sistemi di capitalismo, statalismo autoritario, fondamentalismo religioso e in alcuni casi puro fascismo, sono state incaricate di stabilire la democrazia e la pace.

Nel frattempo, mentre l’ISIS catturava l’attenzione della comunità internazionale, il problema iniziale del governo dittatoriale e sanguinario di Assad è passato in secondo piano, così come ogni idea di una pace durevole e giusta per la Siria. Con l’ingresso della Russia sulla scena bellica siriana e il ruolo dell’Iran, la falsa dicotomia dell’animosità sunnita-sciita – una figura semantica comunemente usata per disattivare soluzioni giuste nel Medio Oriente – è stata rafforzata. Indipendentemente da tutti gli interessi conflittuali delle potenze coinvolte, la loro pratica comune è consistita nella soppressione del dissenso serio, della resistenza di base e di progetti di alternative democratiche genuine. Sul campo questo ha portato alla mobilitazione di ideologie fasciste e settarie per le quali la gente era disposta a morire e uccidere.

Per definizione, ogni tentativo di autodeterminazione e autodifesa popolare contro il colonialismo e lo sfruttamento capitalista doveva essere cancellato perché questa idea funzionasse. Questo spiega tutte le campagne di ostilità nei confronti della rivoluzione liberatoria di Rojava, compresi i tentativi di grandi potenze quali gli USA di utilizzare Rojava militarmente e cercare di svuotare dei suoi principi rivoluzionari la sua politica. Approfittando delle contraddizioni emergenti nei giochi del potere imperialista, i curdi, cercando di tener fede agli ideali rivoluzionari mentre erano letteralmente circondati dal fuoco e in alleanze tattiche temporanee con alcuni protagonisti, sono stati costantemente accusati di essere marionette dell’imperialismo nel loro tentativo di creare sistemi democratici radicali di autogoverno, difendendo contemporaneamente milioni di vite da morte certa per mano dei fascisti dell’ISIS.

Purtroppo i segmenti settari e dogmatici della sinistra internazionale non sono stati capaci di leggere questa politica emancipatoria e di agire conformemente, consentendo all’imperialismo di procedere rifiutandosi di manifestare una solidarietà vitale ai curdi quando era più necessaria. C’è ancora tempo per correggere questo errore.

 

Resistenza o fascismo

Solo pochi mesi dopo che le unità per lo più della Difesa Femminile Curda (YPJ) avevano annunciato la liberazione della capitale dell’ISIS, Raqqa, dove migliaia di donne erano state tenute come schiave sessuali, fondamentalisti apertamente religiosi sotto il comando di Erdogan ora scandiscono slogan accompagnati da bizzarri rituali di guerra folcloristici ottomani entrando in Siria. I segmenti laici, nazionalisti della politica turca, che amano considerarsi “moderni”, fanno anch’essi il tifo per l’operazione con glorificazioni del militarismo fascista.

Anche se gruppi jihadisti come l’ISIS e affiliati di al-Qaeda hanno decapitato, crocifisso, praticato stupri di gruppo e bruciato vive persone innocenti per anni sul confine turco-siriano, il governo Erdogan non è parso allora troppo preoccupato del “terrorismo ai suoi confini”. Tentativi di denunciare il sostegno militare, logistico e politico turco all’ISIS hanno incontrato orecchie sorde, persino quando Erdogan ha potuto a malapena mascherare la sua eccitazione per la possibile caduta della cittadina curdo-siriana di Kobane nelle mani dell’ISIS nel 2014.

Ancora una volta è chiaro che l’esperimento liberatorio delle donne, democratico multietnico di base della Federazione Democratica della Siria Settentrionale, iniziato con la Rivoluzione di Rojava nel 2012, è per gli interessi turchi una minaccia molto maggiore di qualsiasi forza reazionaria di assassini stupratori. In altri termini lo stato turco sotto Erdogan sta tentando di completare quello che i suoi complici dell’ISIS non sono riusciti a portare a termine: cancellare le legittime aspirazioni di autodeterminazione del popolo curdo e con esse la possibilità di un Medio Oriente alternativo basato su solidarietà, giustizia e libertà.

A metà settimana dall’inizio dell’operazione, spettacolarmente chiamata “Operazione ramoscello d’olivo”, lo stato turco ha già commesso massacri di civili. Sui media turchi questa violazione della legge internazionale è definita una guerra per la “democrazia, fraternità e pace”. Il doppio linguaggio della “guerra al terrore” avviato dall’amministrazione Bush negli Stati Uniti è impiegato per ingannare la società turca e il mondo per far credere che questa operazione sia necessaria per proteggere cittadini turchi da attacchi terroristici e per difendere la sovranità nazionale.

In realtà l’invasione è condotta da quello stesso stato che ha incarcerato bambini, attivisti di comunità, parlamentari e sindaci legalmente eletti, giornalisti, avvocati, insegnanti, ambasciatori di pace, attivisti dei diritti umani, difensori dei diritti delle donne e accademici per aver chiesto pace, non guerra. I fatti vengono distorti, la legge internazionale sospesa. Di fronte agli occhi del mondo è commesso un crimine realmente storico.

 

Fianco a fianco con Afrin

Il detto curdo “non abbiamo altri amici che le montagne” è spesso ripetuto con riferimento agli innumerevoli massacri, ingiustizie e tradimenti che il popolo del Kurdistan ha subito in tutta la sua storia. Esteso su quattro dei paesi più importanti del Medio Oriente – Turchia, Iraq, Iran e Siria – e costantemente minacciato da attacchi genocidi da tutte le parti, questa espressione echeggia l’esperienza vissuta più di quanto dovrebbe.

Il detto riflette il motivo per il quale i curdi – o chiunque, quanto a questo – non possono mai fidarsi che gli stati sostengano i loro desideri di libertà e giustizia. La recente cooperazione tattica di Russia e Stati Uniti in Siria si è rivelata negli attacchi odierni della Turchia come null’altro che giochi di potere imperiali, con entrambe le maggiori potenze note per essere disposte a sacrificare la vita di milioni di civili al fine di salvaguardare i loro più vasti interessi geopolitici. Il movimento della libertà curdo ha agito nella consapevolezza di questo e questo è precisamente il motivo per il quale, nel momento del tradimento, le loro strutture autonome basate sull’auto-organizzazione non si dissolvono, ma prevalgono. La popolazione comune di Afrin, con la consapevolezza e l’esperienza dell’auto-organizzazione acquisite nel corso degli anni, è oggi pronta a difendersi contro qualsiasi attacco e occupazione.

E’ ora chiaro che i popoli del Medio Oriente possono fare affidamento solo sui loro sforzi autosostenuti di mobilitazione del potere popolare e della solidarietà e del cameratismo internazionale. In tutto il mondo attivisti curdi hanno occupato ancora una volta le strade per contestare la guerra internazionale contro la loro lotta per la libertà. La massiccia rivolta durata mesi in tutto il Kurdistan e oltre ha avuto un ruolo decisivo per la vittoria finale a Kobane nel gennaio del 2015. Le richieste delle attuali manifestazioni di solidarietà non riguardano solo la fine degli attacchi militari, ma anche la cessazione del commercio di armi con la Turchia e appelli ad avviare genuini processi di pace sia in Turchia sia in Siria.

Nello spirito di Kobane è cruciale mobilitare oggi nuovamente rapidamente e in gran numero per Afrin. Non possiamo mai affidarci agli stati perché assumano la guida nel portare giustizia. La gente comune, gli oppressi, i resistenti, gli amanti della libertà e le comunità del mondo devono essere tra loro compagni. Proprio come centinaia di migliaia di persone dall’Argentina all’Afghanistan al Sudafrica si sono unite alle nostre manifestazioni, occupazione e proteste del 2014 per la difesa di Kobane dal fascismo dell’ISIS, il movimento della libertà curdo e tutte le forze democratiche progressiste in Siria in particolare, e più in generale nel Medio Oriente, si affidano al potere della solidarietà internazionale in quest’ora storica.

Nella battaglia per Afrin è possibile vedere le dimensioni universali delle lotte popolari contro fascismo, dittatura e morte e a favore della democrazia, della libertà, della giustizia. Il futuro di Afrin simboleggia il destino di una regione cui è stata negata troppo a lungo una vita nella dignità.

Perciò non è un’esagerazione affermare che Afrin incarna oggi la difesa dell’umanità. E’ così che si manifesta la guerra contro il fascismo nella Mesopotamia del ventunesimo secolo.

Dobbiamo schierarci fianco a fianco per difendere Afrin dal fascismo!


Dilar Dirik è un’attivista del movimento curdo delle donne e scrive regolarmente sulle lotte per la libertà in Kurdistan per un pubblico internazionale. 


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/a-call-for-solidarity-defend-afrin-defend-humanity/

 

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