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martedì 23 ottobre 2018

 

Salute mentale, codice etico per i giornalisti

di Massimo Alberghini 

Soprattutto ansia e depressione, ma anche disturbi dell'umore, demenze, distimia, 

ciclotimia, schizofrenia, psiconevrosi, disturbo borderline di personalità, ed altro. E’ lungo l’elenco delle patologie psichiatriche che, secondo quanto emerso nel corso del XXII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicopatologia svoltosi a Roma lo scorso febbraio, è in continuo aumento in Italia, soprattutto tra i giovani di età compresa tra i 10 ed i 24 anni. Si calcola che siano circa diciassette milioni gli italiani che convivono con un disturbo mentale, più o meno grave. E’ un fenomeno allarmante, che non dovrebbe trovare impreparati i giornalisti e gli altri operatori dell’informazione. Ma, in questo ambito, si registrano gravi ritardi.

 

“E’ dal 2010 – ha detto Carlo Gnetti, moderatore del corso di formazione per giornalisti su informazione e salute mentale dello scorso 20 ottobre a Roma – che è rimasta lettera morta una proposta di codice etico per i giornalisti su notizie relative ai cittadini con disturbo mentale. Si tratta della cosiddetta Carta di Trieste, un protocollo che da anni attende di essere recepito dall’Ordine dei Giornalisti”. Questa richiesta, fatta propria anche negli altri interventi del corso, a cominciare da quello introduttivo della Presidente della Fondazione Basaglia Maria Grazia Giannichedda, è stata caldeggiata soprattutto dal sociologo Marco Bruno, del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università La Sapienza di Roma.

 

I media – ha affermato Bruno – nel proporre un’informazione che suscita ansia e paura, a volte per mero sensazionalismo da cronaca, possono contribuire ad aumentare lo stigma verso le persone affette da patologie psichiatriche. Per questo è importante che il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana facciano propria la Carta di Trieste”. Questo documento deontologico per i giornalisti, il cui dispositivo dovrebbe armonizzarsi con le altre prescrizioni per gli operatori dell’informazione previste dal Testo Unico dei Doveri del Giornalista, risulta particolarmente importante nell’azione di contrasto verso lo stigma e l’esclusione sociale del soggetto con patologie psichiatriche. Ma, nel dettaglio, cosa prevede questo protocollo?

Innanzitutto che il giornalista utilizzi termini non lesivi della dignità umana per definire il cittadino con disturbo mentale, qualora oggetto di cronaca, e che l’operatore dell’informazione usi termini giuridici pertinenti, e non allusivi a luoghi comuni, nel caso in cui lo stesso soggetto si sia reso autore di un reato. Inoltre il documento prevede anche le seguenti prescrizioni: non attribuire le cause e/o l’eventuale efferatezza di un reato al disturbo mentale, né interpretare il fatto in un’ottica pietistica, decolpevolizzando il cittadino solo perché soffre di un disturbo mentale; considerare il soggetto con disturbo mentale come un potenziale interlocutore in grado di esprimersi e raccontarsi, senza identificare lo stesso soggetto con il suo problema di salute e garantendogli il diritto di replica; consultare quanti possono essere al corrente dei fatti per individuare visioni differenti per poter fornire l’informazione in un contesto il più possibile chiaro, approfondito e completo; fornire dati attendibili e di confronto tra i reati commessi da persone con disturbi mentali e altre senza gli stessi disturbi; integrare, se possibile, la notizia con informazioni sui servizi, strumenti, trattamenti, cure che sono disponibili nelle singole realtà locali; promuovere la diffusione di storie di guarigione e/o di esempi di esperienze positive; ed infine limitare l’uso improprio di termini relativi alla psichiatria in notizie che non riguardano questioni di salute mentale, al fine di non incrementare il pregiudizio che i disturbi mentali siano sinonimi di incoerenza, inaffidabilità ed imprevedibilità.

 

E’ con notevole ritardo quindi, rispetto all’approvazione della legge 180 del 1978 che sancì la chiusura dei manicomi e alla stessa stesura della Carta di Trieste, che sta ripartendo l’iter per un codice deontologico per i giornalisti sulle questioni relative alle malattie mentali. Sarebbe un passo importante per andare, anche in questo ambito, nella direzione del pieno diritto alla salute mentale intesa, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, come “stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l'individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali, esercitare la propria funzione all'interno della società, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, partecipare costruttivamente ai mutamenti dell'ambiente, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni”.

 

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