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16 maggio 2018

 

Erdogan fa la morale a Netanyahu, ma non è possibile prendere lezioni da lui

di Enrico Oliari

 

Un bluff il richiamo dei diplomatici

 

A seguito delle gravi violenze di questi giorni a Gaza dovute alle manifestazioni dei palestinesi per il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme e il riconoscimento della Città Santa a capitale di Israele, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è fatto principale interprete della protesta accusando senza mezzi termini il premier Benjamin Netanyahu di “terrorismo di stato”. Incontrando a Londra il primo ministro britannico Theresa May per discutere di accordi bilaterali e di libero scambio nel post-Brexit, il presidente turco ha fatto sapere la sua disapprovazione per la scelta degli Usa e la risposta violenta dell’esercito israeliano a Gaza (61 morti e 3mila feriti), ma ha anche chiesto l’estradizione dei gulenisti da lui accusati di essere gli autori del fallito golpe (presunto e vero che sia stato) del luglio 2015. Una richiesta alla quale May ha risposto indicando la pinea disponibilità di Londra nel momento in cui venissero fornite le prove necessarie a supportare le accuse di terrorismo. La premier britannica ha anche rimproverato a Erdogan l’arresto di numerosi giornalisti, ma lui ha ribattuto che “Deve fare una distinzione tra terroristi e giornalisti. Stiamo parlando di … di coloro che sono stati catturati con armi da tiro in mano, quelli che hanno ucciso persone”.


Botta e risposta quindi fra i due, ma è certo che Erdogan non da oggi cerca di erigersi ad interprete e leader forte del mondo sunnita, tant’è che è in questo momento è il capo di Stato che più di tutti è passato dalle parole ai fatti richiamando “per consultazioni” prima i propri ambasciatori a Washington e a Tel Aviv, rispettivamente Serdar Kilic e Kemal Okem, e oggi ha invitato attraverso il premier Binali Yildirim il console generale israeliano a Istanbul a lasciare temporaneamente il Paese. Una mossa alla quale il governo israeliano ha risposto chiedendo al console generale turco a Gerusalemme, Husnu Gurcan Turkoglu, di “ritornare nel suo paese”.


E’ difficile comprendere l’autenticità e il peso di tali gesti, dal momento che il richiamo provvisorio dei rappresentanti diplomatici non implica la rottura delle relazioni, per cui è lecito sospettare che, alla fine, si tratti più di una mossa propagandistica indirizzata all’opinione pubblica islamica ed araba, la quale in occasioni come queste non si sente rappresentata dai propri leader, come nel caso delle monarchie del Golfo.


Certo è che fra Erdogan e Netanyahu stanno volando parole grosse, ma per quanto il premier israeliano possa essere contestato sia per la sua politica espansionistica e repressiva nei confronti dei palestinesi, resta difficile non dargli ragione nel momento in cui ribatte alle accuse del presidente turco di “genocidio” ricordandogli che è un sostenitore dei “terroristi” e che quindi non può “fargli la morale”. Non solo infatti Erdogan sostiene Hamas, ma dagli aeroporti turchi sono passate decine di migliaia di foreign fighters diretti all’Isis, la Turchia ha acquistato il petrolio dello Stato Islamico, dalle frontiere turche sono transitati beni ed armi diretti ai jihadisti ed i feriti sono stati assistiti in diversi casi negli ospedali turchi.


Se poi si parla di repressione il ruolo di Erdogan sembra quello del bue che dà del cornuto all’asino, basti vedere le decine di migliaia di arresti in Turchia di giornalisti, magistrati, insegnanti, militari, impiegati pubblici e persino diplomatici tutti accusati di essere fedeli al suo nemico numero uno, il ricco imam Fethullah Gulen, autoesiliatosi da anni a Filadelfia. Nelle carceri turche vi sono anche deputati curdi dell’Hdp tra cui il leader Salehattin Demmirtas, e non passa giorno senza che villaggi e città curde non siano bombardate dall’esercito turco. Senza contare l’intervento dei militari in Siria, in barba al diritto internazionale, contro i curdi dell’Hdp ovvero contro coloro che hanno rappresentato il primo vero baluardo all’espansione dell’Isis (si pensi all’epica battaglia di Kobane).


Erdogan, come gli ha ricordato May a Londra, ha un concetto di diritti civili e di democrazia che non brilla. E di certo non può dare lezioni a Netanyahu.

 

 

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