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29 Aprile 2019

 

Sudan. La piazza insiste: civili al potere

 

In corso in Sudan la trattativa tra opposizione (che continua comunque a occupare le piazze a Khartoum) e i militari. Ci sarebbe anche un primo accordo di massima ma le posizioni rimangono lontane. I manifestanti vogliono un governo di civili. I militari, ovviamente, non lo possono concedere.

C’è come detto un primo accordo che prevede la formazione di una autorità congiunta di transizione che deve individuare la composizione del governo e un modo per insediarlo al potere e la durata del mandato.

Questa autorità congiunta si è già riunita una prima volta e al termine di questo primo incontro uno dei leader della protesta di questi mesi, Mohamed Nagi al-Asam, esponente dell’Associazione dei Professionisti sudanesi, ha dichiarato che la maggioranza del Consiglio dovrebbe essere di civili. I militari vorrebbero invece designare loro la maggioranza dei membri.

La trattativa è proseguita e se ne hanno notizie ufficiose: l’opposizione avrebbe proposto di formare un consiglio di 15 membri, otto civili e sette militari. Il Consiglio militare ha rilanciato: sette militari e tre civili.

In questo quadro l’Unione Africana ha dato tempo tre mesi ai militari che, al momento, continuano a guidare il paese, per realizzare un trasferimento di poteri e dare al paese un governo stabile che porti ad elezioni multipartitiche.

La lotta in Sudan per far uscire i militari di scena ha ormai una valenza non solo nazionale ma continentale. Simbolicamente potrebbe essere da esempio per molti paesi la cui classe politica è legata a dittatori anacronistici o oligarchie al potere da decenni.

Per la prima volta i dimostranti non si sono accontentati del rovesciamento dell’odiato dittatore al potere ma hanno chiesto – e continuano a chiedere – un governo di civili, democrazia e elezioni multipartitiche.

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Buongiorno Africa

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25 Aprile 2019

 

I dimostranti chiedono donne e civili nel governo

di Raffaele Masto

 

«Il nostro obiettivo è che tutto il sistema di Bashir se ne vada. Su questo non c’è dubbio. Ma vogliamo anche che Bashir, e tutti coloro che hanno agito insieme a lui, sia processato per tutto quello che ha fatto. L’esercito ci ha dimostrato di essere dalla nostra parte. Ci ha protetto». A parlare in un’intervista è Lana Haroun, fotografa e attivista sudanese che vive a Karthoum. L’8 aprile ha fotografato Alaa Salah, una sudanese di 22 anni, mentre, vestita di bianco con orecchini d’oro a forma di luna, guidava i canti nelle proteste antigovernative nella capitale. La sua fotografia è diventata virale e ha cambiato il volto delle proteste del Sudan. Oggi Alaa Salah, soprannominata “Kandaka”, ovvero regina nubiana, è diventata il simbolo delle proteste di cui anche questo blog ha parlato.

Le parole di Lana Haroun arrivano nel giorno in cui i dimostranti hanno annunciato una oceanica manifestazione a Khartoum. Non solo vogliono un governo civile, hanno messo in atto una serie di proteste e di dimostrazioni molto significative di come vogliono che sia il Sudan del futuro: in una zona centrale della città hanno riempito le strade di libri, anche di libri proibiti in un regime che si ispira all’islam, e poi hanno fatto sapere che nel governo vogliono che ci sia il 40% di donne. Poi hanno rifiutato l’aiuto diplomatico (e naturalmente anche economico) che l’Arabia Saudita ha offerto per uscire dalla crisi.

Sul piano internazionale i manifestanti hanno già vinto, almeno parzialmente: L’Unione Africana ha minacciato di espellere il Sudan se entro 15 giorni i militari non lasceranno il potere. Ma Egitto e Russia hanno invece riconosciuto il nuovo assetto di potere e l’Uganda ha offerto asilo politico all’ex dittatore.

La partita del Sudan ha una valenza regionale e continentale molto forte. Se vinceranno i dimostranti, un’altra oligarchia militare, repressiva e corrotta, sarà stata battuta e il processo di rinnovamento africano avrà fatto un’altro passo avanti.

A rendere forti i manifestanti sudanesi – che sono professionisti, artigiani, giovani studenti, commercianti – c’è anche l’economia disastrosa in cui versa il Paese e che contribuisce a indirizzare consensi per un cambio radicale e non solo di facciata. Fino all’anno scorso un dollaro equivaleva a 4 pound sudanesi. Oggi equivale a 65. Non ci sono più soldi, e coloro che prima avevano qualcosa in banca non possono ritirarli. Oggi è diventato difficile comprare qualsiasi cosa: sia per i prezzi sia per la liquiditaà Che è un problema enorme in un Paese dove ci sono pochi bancomat.

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