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30 Settembre 2017

 

Armati sino ai denti

di Stephanie Westbrook

 

Cinquant’anni di occupazione militare della Cisgiordania da parte di Israele. Che, nel frattempo, si arma. Riarma. E fa accordi in ambito di difesa, sicurezza, produzione e import-export di armi.

 

Il mese di giugno di quest’anno segna cinquanta anni di occupazione militare da parte di Israele della Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e di Gaza. Con la Guerra dei Sei Giorni nel 1967, Israele portò avanti quello che aveva iniziato nel 1948, quando realizzò la violenta espulsione di massa, da 750.000 a un milione, di palestinesi dalla loro terra, prendendo il controllo di quel che restava della Palestina e rendendo altri 400.000 palestinesi profughi.

In tutti questi anni, generazioni intere di palestinesi sono state costrette a vivere sotto un regime israeliano di occupazione e discriminazione.

Per Israele, invece, sono stati anni di sviluppo dell’industria lucrativa delle armi e della sicurezza, mantenendo un sistema di controllo e d’oppressione sul popolo palestinese, sia nei territori occupati che all’interno del proprio Stato.

Israele è diventato così uno tra i principali esportatori di armi e sistemi di sicurezza e sorveglianza nel mondo. Nel 2016, ha esportato armi per un valore di 6,5 miliardi di dollari. Nell’industria della sicurezza, le sue esportazioni ammontano a circa 2,5 miliardi all’anno.

Il tutto sviluppato e testato sulla pelle del popolo palestinese, con chiarissimi vantaggi per la commercializzazione.

 

TRA ITALIA E ISRAELE

I rapporti militari e di sicurezza tra l’Italia e Israele anch’essi continuano a crescere. Tutto in barba alla legge 185/90 sul commercio di armamenti, ovviamente, che proibisce la vendita di armi a Paesi in conflitto e i cui governi sono “responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”. A maggio i giornali israeliani riportavano la notizia di un possibile scambio di elicotteri per missili tra Israele e l’Italia. Da tempo Israele sta valutando l’acquisto di nuovi elicotteri addestratori e tra i concorrenti c’è l’AgustaWestland, del gruppo Finmeccanica ora Leonardo. Israele vorrebbe sedici elicotteri AW-119 KX e punta su un acquisto reciproco per coprire il costo stimato in $350 milioni. La manutenzione sarà affidata per i prossimi 20 anni all’Elbit, uno dei principali produttori israeliani di armi. In cambio, il governo italiano acquisterebbe dei missili anticarro dall’israeliana Rafael Advanced Defense Systems. “Un affare che va bene per tutti”, secondo fonti del ministero della Difesa israeliano. Non è dato, tuttavia, sapere a chi vorrebbe sparare i missili l’Italia e neanche come questo possa essere un bene per gli italiani, che sicuramente non vogliono essere complici né pagare questi scambi con i loro contributi.

Ad aprile, invece, il sito dell’Agenzia della Difesa per la Sicurezza e la Cooperazione del Pentagono ha annunciato l’autorizzazione per la vendita di tredici cannoni da 76mm di artiglieria navale a Israele per un valore stimato in $440 milioni. Il fornitore è la DRS, società con sede negli Stati Uniti, anche essa del gruppo Leonardo.

La DRS, però, non fabbrica artiglieria, produce sistemi elettronici per la difesa e per l’intelligence. È stata acquistata nel 2008 dalla Finmeccanica per $5,2 miliardi, dando al gruppo italiano un accesso al mercato statunitense. È stato descritto come “la più grande acquisizione mai fatta da un gruppo europeo nel settore della difesa americana”. Passando per la DRS potrebbe essere per permettere a Israele di attingere agli aiuti militari statunitensi che sono riservati per acquisti da società USA.

 

CACCIA E NAVI

Già nel 2012, con la vendita di 30 caccia addestratori M-346 dell’Alenia Aermacchi, sempre del gruppo Leonardo, l’Italia si piazzò al primo posto in Europa per vendita di armamenti a Israele. Più che vendita si trattava, in realtà, di un altro acquisto reciproco, per valore di un miliardo, sbilanciato a favore di Israele, in cui l’Italia ha acquistato due aerei di sorveglianza e un satellite.

I palestinesi di Gaza conoscono fin troppo bene la potenza dei caccia, degli elicotteri e dell’artiglieria navale israeliana, che hanno martellato la Striscia in tre devastanti attacchi militari negli ultimi otto anni. Inoltre, le navi israeliane sparano regolarmente sui pescatori palestinesi di Gaza. Dal 1997 al 2013, sono stati documentati 522 episodi di spari sui pescatori palestinesi. Solo nel 2016 gli episodi sono stati 126.

Fece scalpore la consegna dei primi due caccia addestratori M-346 nel 2014, proprio il giorno prima dell’inizio di Margine Protettivo, il più recente degli attacchi di Israele sulla Striscia di Gaza, che ha ucciso oltre 2200 persone, tra cui più di 500 bambini.

 

ESERCITAZIONI

Indignava ancora di più l’annuncio di esercitazioni aeree di Israele in Sardegna quell’estate mentre Israele seminava distruzione, morte e terrore tra la popolazione di Gaza. In un atto di grande coraggio e anche disperazione, la gente a Gaza scendeva per strada, tra le macerie, per farsi fotografare, facendo appello diretto all’Italia di non addestrare i piloti che li bombardavano.

Fu sollevato un caso mediatico e, alla fine, Israele non partecipò alle esercitazioni, quella volta. Purtroppo, calata l’attenzione, l’Italia ha continuato la cooperazione militare con Israele. Pochi mesi dopo la conclusione di Margine Protettivo, operatori di droni per l’aeronautica italiana hanno partecipato a un corso in Israele. Non è chiaro cosa volessero imparare visto che durante Margine Protettivo sono stati uccisi 164 bambini con i droni. E quest’autunno, l’Italia parteciperà alle esercitazioni aeree israeliane Bandiera Blu, la più grande mai in Israele.

Però, non è solo con le forze armate israeliane che l’Italia fa affari. Un disegno di legge, già approvato al Senato e votato alla Camera l’11 maggio, ratifica un accordo del 2013 fra il Governo italiano e quello israeliano in materia di “pubblica sicurezza”. L’accordo prevede scambi di esperienze “in materia di gestione dell’ordine pubblico” e scambio di informazione su come “contrastare l’immigrazione illegale”. Con un tocco di ironia, prevede anche il “rafforzamento della collaborazione nel contrasto” dei “traffici illegali di armi”.

Viene da chiedersi con chi l’Italia va a cooperare. La polizia israeliana che, secondo il rapporto di Amnesty International, “Grilletto facile”, fa un “uso non necessario, arbitrario e brutale della forza” contro i palestinesi e mostra “un profondo disprezzo per la vita umana”?

Le Forze dell’Ordine israeliane che sono state denunciate dall’ONU per tortura e maltrattamento dei palestinesi, anche bambini?

La polizia israeliana responsabile per esecuzioni extragiudiziali dei palestinesi?

La polizia israeliana che, nel 95% dei casi, non denuncia israeliani accusati di violenza nei confronti dei palestinesi? La Polizia Nazionale di Israele che ha sede a Gerusalemme est occupata? Il ministero dell’Interno responsabile per le prigioni dove sono detenuti illegalmente i prigionieri politici palestinesi, oltre 1000 dei quali hanno da poco sospeso uno sciopero della fame durato 40 giorni per protestare contro i trattamenti disumani? La polizia di frontiera che reprime violentemente le manifestazioni nonviolente palestinesi contro il muro e gli insediamenti costruiti sulla loro terra?

Quello di Israele non è un modello da prendere come esempio, ma un obbrobrio da isolare, come è stato con il Sudafrica dell’apartheid.

Ed è quello che la società civile in tutto il mondo sta cercando di fare. Grazie al lavoro sulle Campagne del movimento a guida palestinese per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) nei confronti di Israele, sono ormai oltre una dozzina le banche che hanno disinvestito dall’Elbit. Inoltre, Elbit ha perso contratti in Brasile, Danimarca e Francia. Il governo portoghese, invece, si è ritirato dal progetto europeo LAW TRAIN, a causa del coinvolgimento della Polizia Nazionale di Israele e del ministero dell’Interno.

Serve ora in Italia una Campagna contro la cooperazione militare e di sicurezza con Israele, sia per non essere complici delle violazioni dei diritti palestinesi sia per non normalizzare il modello israeliano di oppressione.