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 4 Agosto 2019

 

La strategia occidentale per la distruzione della Bosnia – Erzegovina

di Gianni Viola

giornalista e consulente politico-militare d’Ambasciata.

 

Nota: Ripubblichiamo un articolo di Gianni Viola che ha contribuito a ristabiire la verità su alcuni aspetti della guerra nella ex-Jugoslavia e sulle vicende di quegli anni che furono caratterizzate dalla falsificazione e manipolazione delle notizie da parte dei media occidentali.

 

La Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina (serbo: ????????? ??????, Republika Srpska) è l’entità serba della Bosnia-Erzegovina. Ne occupa circa il 49% del territorio ed ospita il 40% circa della popolazione. La popolazione attuale è di 1 milione e 574 mila abitanti, di cui oltre ¾ di nazionalità serba.

 

La creazione della Repubblica Serba fu causata dalla secessione ? dichiarazione unilaterale di indipendenza) delle repubbliche Socialiste Federate di Slovenia e Croazia (Giugno 1991) e di Macedonia (Settembre 1991).

 

Il principale partito politico serbo della Bosnia-Erzegovina, il Partito Democratico Serbo guidato da Radovan Karadži? organizzò la costituzione delle “province autonome serbe” e la fondazione di un parlamento che le rappresentasse. Nel novembre del 1991, un referendum tenuto tra i serbi bosniaci confermava con una grande maggioranza il desiderio dei serbi bosniaci di restare parte della federazione jugoslava con Serbia e Montenegro. La “repubblica del popolo serbo di Bosnia e Erzegovina” nacque per proclama del suddetto parlamento il 9 gennaio del 1992. Sia il referendum che la creazione dello stato autonomo furono dichiarati incostituzionali dal governo della Bosnia-Erzegovina, che non li riconobbe né legali né validi.

 

Nel gennaio 1992 il Presidente (musulmano) Izetbegovic, ignorò il passaggio di carica al collega serbo (la Presidenza di Bosnia era affidata a turno fra le nazionalità).

 

Nel febbraio-marzo del 1992 il governo della Bosnia-Erzegovina tenne a sua volta un referendum per l’indipendenza della repubblica dalla federazione jugoslava, che venne boicottato dalla comunità serba. L’affluenza fu compresa tra il 64% ed il 67% degli aventi diritto, di cui il 98% si espresse a favore della secessione. Quelli che votarono a favore erano soprattutto i bosgnacchi e i croati. La Bosnia-Erzegovina fu dichiarata indipendente in marzo, cosa che scatenò una guerra civile disastrosa.

 

Il 6 Aprile 1992 la Comunità Europea riconosce l’indipendenza della Bosnia-Erzegovina e da parte loro i deputati serbi risposero proclamando la secessione della Repubblica Serbia di Bosnia-Erzegovina, prendono il controllo di circa il 70% del territorio nazionale.

 

Il punto di inizio fu la “strage del pane” a Sarajevo, il 27 maggio 1992. Un colpo di mortaio uccise 22 persone che facevano la fila davanti ad un fornaio a Vasa Miskin. La responsabilità fu attribuita (dalla sempre presente agenzia statunitense di disinformazione, la già citata “Ruder & Finn”) all’artiglieria serba, ma studi balistici accertarono che più probabilmente il colpo era arrivato dalle milizie musulmane. Le famose foto di vittime musulmane con la testa mozzata furono pubblicate da “Times” e “Newsweek”. Si scoprirà successivamente che i cadaveri erano di vittime serbe. Si scoprì che sul luogo dell’attentato le telecamere erano state piazzate in precedenza, pronte a filmare.

 

Sull’onda dell’emozione provocata dalla strage falsamente attribuita ai serbi, il 30 maggio del 1992, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU condannò la Jugoslavia definendolo come paese aggressore ed occupatore della Bosnia. Con un’altra risoluzione (la 757) il Consiglio impose sanzioni economiche contro la nuova Federazione.

 

La conferma definitiva del “complotto” ordito ai danni della Jugoslavia giunse da un rapporto confidenziale dell’ONU, in cui si affermava che la strage di Vasa Miskin fosse stata commessa da estremisti musulmani. La stessa tesi venne ripresa anche nel rapporto della “Task Force” antiterrorismo del governo USA intitolato “Iran’s European Spring board”, datato 1 settembre 1992.

Nonostante tutto, a partire dal 1992, pacifisti e sinistra furono in trappola: si scatenò la campagna “Sarajevo assediata”. Il pacifista italiano Moreno Lucatelli venne assassinato dai musulmani (bosniaci). Solo anni dopo si seppe dei legami e delle responsabilità delle milizie islamiste, impegnate a montare la strumentalizzazione in chiave antiserba ed aizzare l’odio tra le nazionalità.

 

Secondo i dati forniti dal londinese “Institute for Strategic Strudies”1, durante il conflitto in Bosnia i soldati croati si macchiarono dei crimini più efferati. Le cronache parlarono di soldati che andavano in guerra con il rosario al collo, di preti e frati francescani erzegovesi che vanno in giro con la pistola (alcuni intervistati anche dal giornale italiano Avvenire).

 

Una seconda strage avvenne il 5 febbraio 1994 a Markale, la principale piazza del mercato di Sarajevo. Questa volta le vittime furono sessantotto. I serbi di Sarajevo furono accusati di essere i colpevoli. Il 6 giugno successivo, però, Jasushi Akashi, delegato speciale ONU per la Bosnia, dichiarò alla Deutsche Press Agentur che un rapporto segreto ONU aveva attribuito da subito ai musulmani la paternità della strage, ma che il Segretario Generale Boutros Gali non ne aveva parlato per ragioni di opportunità politica. Il progetto era di colpire la loro stessa gente per indurre l’Onu e la Nato a intervenire militarmente nel conflitto. La disgustosa impresa riuscì.

 

La Nato bombardò le postazioni serbe parecchi giorni dopo. Questo è uno dei casi di bombardamenti inflitti dalle forze musulmane ai propri cittadini (materialmente eseguiti dalla NATO) e poi spacciati per atrocità serbe.

 

Una notizia sfuggita ai media è quella della sanguinosa campagna del governo musulmano che, nell’agosto del 1994, fece “pulizia etnica” dei serbi della Bosnia settentrionale e quindi costrinse 60 mila musulmani di Bihac (che erano a favore dei serbi o odiavano il governo di Sarajevo) a scappare dalle loro case. Di questi musulmani, si disse che erano dei traditori.

 

Il 3 maggio 1995 i bosniaci (aiutati dagli USA) attaccarono i serbo-bosniaci. Gli attacchi aerei cessarono solo quando i serbo-bosniaci presero in ostaggio militari ONU. A giugno i serbo-bosniaci occuparono Srebrenica. Negli anni precedenti le milizie musulmane, guidate da Naser Oric, avevano raso al suolo circa trenta villaggi serbi situati attorno l’enclave protetta dall’ONU. Negli scontri seguiti all’attacco dei serbi si contarono 1430 vittime; altri circa seimila musulmano-bosniaci furono segretamente allontanati dalla cittadina poco prima dell’ingresso dei serbi. L’operazione, curata dall’Armata musulmana, sarà descritta nel documento della Croce Rossa Internazionale ICRC n. 37 del 13/9/1995. Negli anni successivi i media racconteranno incessantemente la storia dello “sterminio di ottomila civili di Srebrenica” e delle relative “fosse comuni”.

Il 28 agosto 1995 un’altra esplosione in un piccolo mercato di quartiere a Sarajevo uccise 37 persone. Si trattò di un ordigno telecomandato. Subito i comunicati della “Ruder & Finn”, credibilissima, attribuirono l’attentato ai serbi. Gli americani colsero l’occasione come pretesto per scatenare il più grande attacco militare sferrato in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Più di quattromila incursioni aeree degli USA e della NATO furono portate a termine, al fine di costringere la Jugoslavia ad accettare gli accordi di Dayton.

 

Il corrispondente da Washington del “New York Times” David Binder, scrisse sul periodico “The Nation” che l’esplosione avvenne il giorno dopo che il vicesegretario di Stato Richard Holbrooke aveva promesso un maggiore impegno militare da parte della Nato. Mancava solo una buona giustificazione per agire. Binder citò quattro diverse fonti militari che contestavano il rapporto dell’Onu, redatto in tutta fretta, che accusava i serbo-bosniaci dell’esplosione.

Un ufficiale dell’artiglieria russa, il colonnello Andrei Demurenko, presente nella capitale bosniaca, partecipò ad una trasmissione televisiva, a Sarajevo, per denunciare la falsificazione dei fatti operata dal rapporto Onu. Egli sosteneva che la probabilità di colpire una strada ampia meno di un centinaio di metri dalle posizioni dell’artiglieria serba a uno o due miglia di distanza era “una su un milione”.

 

Uno specialista canadese con una lunga esperienza di servizio in Bosnia disse al giornalista Binder che la spoletta della granata di mortaio ritrovata nel cratere del mercato “non proveniva affatto da un mortaio”.

 

Due ufficiali dell’amministrazione americana a Sarajevo spiegarono a Binder che basandosi sulla traiettoria, la poca profondità del cratere e il fatto che nessuno avesse sentito un sibilo acuto, si poteva concludere che la granata era stata lanciata da molto vicino o lasciata cadere in mezzo alla folla da un tetto nelle vicinanze.

 

Sebbene Binder fosse un corrispondente fisso del New York Times, dovette rivolgersi a The Nation per pubblicare questa storia.

Secondo i rapporti trapelati dalla televisione francese, i servizi segreti occidentali sapevano che erano stati agenti musulmani a bombardare la piazza del mercato, allo scopo di provocare l’intervento della NATO.

 

Persino il negoziatore internazionale Lord (David) Owen, che aveva lavorato con Cyrus Vance, nelle sue memorie ammise che le potenze della NATO sapevano fin dal principio che si trattava di una bomba musulmana2.

 

La rabbia dei media americani per l’esplosione nel mercato di Sarajevo era in netto contrasto con l’ampia approvazione data al lancio di tredici missili da crociera Tomahawak contro la città di Banja Luka, una città posta dietro la linea del fronte serbo bosniaco. Inoltre è risaputo che Banja Luka ospitava all’epoca il maggior numero di profughi provenienti da tutta l’ex Jugoslavia. Durante l’attacco Usa-Nato molti civili rimasero uccisi e un ospedale fu bombardato. All’inizio del 1996 più di 100 mila serbi abbandonano Sarajevo.

 

Scriveva la rivista “Hrvatska Ljevica” (Sinistra Croata) dell’ottobre 1995, in un servizio intitolato “Vittime e crimini”: “Delle disgrazie della gente della Bosnia-Erzegovina esistono già tonnellate di documenti. Ogni etnia cerca di convincere il mondo e se stessa di avere il maggior numero di vittime e di essere l’oggetto della bestialità degli altri, le Nazioni Unite raccolgono e hanno la loro documentazione, l’UE la propria, il Tribunale per i crimini della ex-Jugoslavia, all’Aia, la propria. Riguardo a questo i fantocci del Nuovo ordine mondiale piazzano le prove dei delitti secondo il loro tornaconto, che nel momento adatto vogliono ottenere sul piano diplomatico come sul “terreno”.

 

“Malgrado fosse molto difficile attestare tutta la verità sulle vittime ed i crimini di una, dell’altra o della terza parte, sicuramente i musulmani bosniaci (bosgnacchi) hanno il maggior numero di morti. (…) I musulmani diventavano vittime dei serbi, diventavano e diventano tuttora vittime dei croati e degli stessi musulmani (a causa dei conflitti intestini). Tra i serbi della Bosnia, almeno in ventimila sono morti in uniforme ed almeno 40mila civili; essi diventavano e sono tuttora vittime dei musulmani e dei croati. I croati morti in Bosnia-Erzegovina sono stati circa 15 mila, molti di più quelli morti contro i musulmani che contro i serbi”.

 

Nella guerra civile intervenne anche la NATO, che nell’ambito dell’Operazione Deliberate Force bombardò esclusivamente il territorio della Repubblica Serba. La guerra terminò nel 1995, con la siglatura degli accordi di Dayton.

 

Il 21 Novembre 1995 a Dayton, nell’Ohio (USA), i capi di stato bosniaco Alija Izetbegovic, serbo Slobodan Milosevic e croato Franjo Tudman siglarono l’accordo di pace, che trasformò la Bosnia-Erzegovina in una repubblica federale assegnandone il 51% del territorio alla Federazione di Bosnia ed Erzegovina e il restante 49% alla Repubblica Serba. La versione definitiva del trattato fu firmata a Parigi il 14 dicembre dello stesso anno.

 

Dalla fine della guerra, la Repubblica Serba ha subito molte trasformazioni. Molti dei suoi leader in tempo di guerra sono stati arrestati o sono latitanti a seguito delle accuse di crimini di guerra loro rivolte, anche se Radovan Karadži? ha continuato per alcuni anni dopo la fine della guerra ad esercitare un certo grado di influenza sulla politica interna della repubblica. Alcuni dei non-serbi espulsi hanno fatto ritorno alle loro case, la popolazione non-serba è tornata ad essere circa il 10% del totale. Tuttavia, come altre nazioni post-comuniste avviate verso l’economia di mercato, anche le due entità della Bosnia-Erzegovina attraversano un periodo di profonda crisi economica e diffusa corruzione.

 

Secondo un copione da manuale, le varie campagne di disinformazione orchestrate dai media occidentali, comprendevano sempre riferimenti a stupri di massa, a sfondo etnico.

Fra l’autunno del 1992 e la primavera del 1993 resoconti giornalistici sensazionalistici sostennero che almeno ventimila, e forse fino a centomila, donne musulmane erano state violentate da unità dell’esercito serbo-bosniaco.

 

La prima rivelazione giornalistica sugli stupri etnici commessi dai serbi in Bosnia data dell’autunno del 1992. Le vittime, si disse, erano donne croate e musulmane. Il “New York Times” riporta nell’edizione del 13 dicembre 1992 che cinquantamila donne croate e musulmane furono violentate e che questa era la politica ufficiale dei serbi.

 

Chiunque, con un minimo di buon senso, si sarebbe chiesto che fondamento poteva avere una notizia del genere. Ma non i media né le associazioni per i diritti umani. L’hanno bevuta e, credendo alle loro stesse bugie, hanno inviato giornalisti in Bosnia a intervistare le vittime.

 

Un imbarazzato giornalista francese, Jerome Bony, rilasciò questa spiegazione: “Quando arrivai a cinquanta chilometri da Tuzla, mi dissero, ‘vai alla scuola di Tuzla, ci sono quattromila donne stuprate’. Quando arrivai a venti chilometri da Tuzla, il numero era sceso a quattrocento. A dieci chilometri di distanza ne erano rimaste solo quaranta. Una volta sul posto, trovai solo quattro donne disposte a confermare di essere state stuprate”.

 

L’anno successivo, una campagna in grande stile contro i serbi “stupratori etnici” fu portata avanti dal Ministro degli Esteri bosniaco-musulmano Haris Silajdzic che alla Conferenza di Ginevra del 1993 parlò di “decine di migliaia di donne musulmane fatte oggetto di violenza sessuale a scopo di pulizia etnica”, “notizia” poi ripresa a pappagallo da tutti i mezzi di informazione di tutti i paesi occidentali, compresi (manco a dirlo) quelli governati dalla sinistra che, vale sottolinearlo, in moltissime occasioni, provvedevano anche ad aggravare le scandalose valutazioni espresse a mezzo stampa, per creare ulteriore indignazione e fomentare sentimenti antiserbi. Questo consolidò nell’opinione pubblica l’idea che i serbi fossero gli aggressori e i musulmani le vittime.

 

Nell’ambito del piano di criminalizzazione dei serbo-bosniaci in relazione alla questione degli stupri etnici “si racconta” di un comandante serbo-bosniaco che avrebbe dato alle sue truppe le seguenti indicazioni: “Avanzate e violentate”. Come in tanti altri casi, anche in questa occasione la fonte della vicenda non è mai stata accertata né è mai stato esibito il nome di questo comandante. Tutto dunque nel più perfetto stile della disinformazione yankee. Finora nessuna fonte seria è venuta in soccorso di simili accuse. Parenti scrive che: “Per quel che ne sappiamo, una tale espressione non è mai stata pronunciata”. Da parte sua il “New York Times” ha, se pure tardivamente, concesso una blanda ritrattazione, ammettendo timidamente che “l’esistenza di una ‘sistematica politica di stupro’ da parte dei serbi rimane tutta da provare”.3

 

Le menzogne poste in essere dalle fonti “interessate”, fanno a pugni anche con la statistica: le forze serbo-bosniache avrebbero, secondo le accuse, violentato in ogni dove da 25 mila a 100 mila donne musulmane. Su questo punto, infatti, le varie versioni sono molto discordanti; l’esercito serbo-bosniaco ammontava a non più di 30 mila unità e molte erano impegnate nell’espletamento delle più disparate attività militari. Ad ogni modo, come riferisce Parenti, “un rappresentante dell’Osservatorio di Helsinki ha evidenziato che le storie relative alle violenze di massa serbe avevano avuto origine in seno ai governi croato e bosniaco-musulmano e non presentavano alcuna credibile prova a sostegno”.

 

Così come può dirsi per tutte le altre questioni, anche con riferimento agli “stupri”, l’atteggiamento statunitense risulta oltremodo ipocrita: il numero di stupri che sarebbero avvenuti durante tutto il conflitto in Bosnia (quindi nell’arco di almeno due anni), si verificano in un solo mese e solo nella città di Washington.

Barry Lituchy notò che in una occasione il “New York Times” aveva pubblicato una fotografia che dava ad intendere la presenza di croati afflitti dalle atrocità dei serbi, mentre di fatto le uccisioni erano state commesse dai bosniaco-musulmani; il “New York Times” la settimana seguente pubblicò una vaga smentita.4

La questione degli stupri etnici venne messa in dubbio per la prima volta in Occidente, nel 1994, nell’articolo “Notizie dalla Jugoslavia: ‘la stampa di parte’ “, di Peter Brock.5

 

Analisi popolazione Bosnia 1991-2006

 

note

1) Ampi stralci del Memorandum vennero pubblicati sul primo numero di Limes nel 1993

2) Limes-n. 3/95-p.60

3) David Owen, Balkan Odissey, Harcourt, 1996, p. 262.

4) “Correction”: Report on Rape in Bosnia”, New York Times, 23 ottobre 1993.

5) Il “New York Times” successivamente ha pubblicato la smentita. Cfr. “I media e la guerra civile jugoslava” di Barry Lituchy – pubblicato in: IAC – op. cit. – p. 70

6) Pubblicato in italiano su “L’Internazionale” del 26 febbraio 1994, pag. 11. In precedenza erano apparse le versioni inglese su “Foreign Policy” n. 93, inverno 1993/94 e in tedesco prima su “Die Weltwoche” (CH) e “Foreigni Policy” (RFT).

 

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