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31 Ottobre 2019

 

Continueremo ad amarti Eugenio

di Cristina Formica

 

Il 29 ottobre si sono svolti i funerali di Eugenio Melandri. Sociologo, missionario, deputato ma prima di tutto pacifista e antirazzista. In tanti e tante nei movimenti, nella sinistra e nella Chiesa sono cresciuti insieme a grazie ad Eugenio. Ha ragione Cristina Formica, che lo ha affiancato per diversi anni nella straordinaria campagna Chiama l’Africa: per sapere chi è stato davvero Eugenio bisogna ricordare almeno tre cose, cucinava benissimo ed era di buon umore quando aveva gente per casa; aveva viaggiato in tutto il mondo; ciò di cui ha parlato pochi giorni fa nell’unica messa dopo la riammissione al sacerdozio…

 

Il 29 ottobre si sono svolti i funerali di Eugenio Melandri, morto a 71 anni dopo una dolorosa malattia vissuta con i Padri Saveriani di San Pietro in Vincoli, nella sua terra romagnola. Era nato il 21 settembre 1948 a Brisighella, frazione di Faenza, terra in cui amava sempre tornare.

Ho conosciuto Eugenio facendo volontariato con la Campagna Chiama l’Africa, di cui lui era ideatore e Coordinatore nazionale. Eugenio all’epoca era già stato missionario saveriano, giornalista e direttore di Missione Oggi, deputato europeo e italiano per Democrazia proletaria e Rifondazione comunista, pacifista, obiettore di coscienza, fondatore di una storica associazione antirazzista come Senzaconfine e promotore di tante altre lotte, boicottaggi, reti sociali…

 

Dicembre 1992: Eugenio a Sarajevo (alle sue spalle don Tonino Bello)

 

Chiama l’Africa è una campagna che promuove la conoscenza del continente africano, sostenendo le sue culture, informando attraverso la solidarietà e contro il razzismo e la xenofobia. Eugenio Melandri promuoveva a livello nazionale, e anche europeo, l’informazione sull’infinita guerra congolese, sullo sfruttamento capitalista della Repubblica Democratica del Congo, paese dove era stato molte volte insieme alla Comunità Mungaano di Parma. Chiama l’Africa informava sul coltan e le ricchezze naturali congolesi e africane, sfruttate dalle nazioni e dalle aziende occidentali. Informava sulle guerre dei bambini soldato della Sierra Leone, della Liberia. Eugenio parlava dei conflitti africani con conoscenza e testimonianze dirette di se stesso e dei suoi tanti amici, laici e religiosi, con i quale manteneva rapporti profondi da anni.

Durante i quasi dieci anni di attività che ho svolto con Chiama l’Africa a Roma, insieme a Eugenio, Paola, Andrea, Silvina, Gianluca, Annarita, Cristiano, e tante altre persone, abbiamo promosso moltissime cose: Eugenio era anche Direttore di Solidarietà Internazionale, del CIPSI, e spesso andava a parlare presso enti locali e nazionali, associazioni e reti territoriali, convegni nazionali e internazionali. Nella sua testa, e nel nostro lavoro, tutte le suggestioni che lui aveva si trasformavano in atti di rottura, in proposte di cambiamento spesso troppo avanti per l’epoca politica di allora. Eugenio è stato tra i promotori della Legge 185/1990, che ha limitato significativamente la vendita delle armi italiane, vincolandola in caso di acquisto da parte di paesi coinvolti in guerre. È stato promotore, e sempre ideatore, del premio Nobel per la pace alle donne africane, lui che era un pacifista e obiettore di coscienza alla guerra.

Nacquero i Convegni ad Ancona, L’Africa in piedi, che ogni anno svolgeva temi diversi, come L’Africa in piedi con volto di donna, L’Africa in piedi in aiuto all’occidente: Eugenio creava i titoli partendo dall’analisi socio-economica del continente africano, delle sue speranze, della sua povertà e della sua bellezza; con altri amici verificava i nomi, che sono stati ministri, rappresentanti di Università, associazioni, istituzioni. Venivano centinaia di persone da tutta Italia, di esperienze diversissime ma tutte amanti del continente africano. Fu invitato Joseph KiZerbo, grande storico maliano, che divenne amico di Eugenio e gli ha lasciato il suo archivio documentale in Burkina Faso. C’era Raffaella Chiodo, esperta di Mozambico e cooperazione non governativa, rappresentanti Saharawi, del Senegal, Camerun, Congo, Somalia, Mali, Mozambico, Nigeria, Sudafrica. Eugenio era amico di Alex Zanotelli (leggi anche Grazie Eugenio, amico degli ultimi), Tonio dall’Olio, Dino Frisullo, Giovanni Russo Spena, Luisa Morgantini, Rino Serri. Era amico dei responsabili di tutti gli istituti missionari italiani, sia maschili che femminili, di Flavio Lotti, di don Bizzotto dei Beati Costruttori di Pace, di Graziano Zoni di Emmaus, di tutte quelle persone con cui aveva condiviso militanza politica e sacerdotale.

In quegli anni promuovemmo a Roma degli incontri mensili principalmente sull’Africa, ma anche su tutto ciò che si muoveva nel mondo e che come movimento si muoveva anche in Italia: i Martedì dell’Africa attiravano anche un centinaio di persone, come quello bellissimo ed emozionante dedicato a Ilaria Alpi e Miran Hovratin nel decennale della loro morte, il 19 marzo 2004: con l’avvocato somalo Douglas Douale, difensore dell’uomo accusato degli omicidi dei due italiani; Luciano Pettinari di Famiglia Cristiana, che aveva scritto un libro inchiesta sugli assassini con Barbara Carazzolo ed Alberto Chiara, Ilaria Alpi: un omicidio al crocevia dei traffici. La libreria Odradek si riempi quella sera, che finì con la cena somala cucinata dalle donne della comunità, dirette da Lul Osman Mohamed, commerciante somala di riferimento politico nella capitale.

Chiama l’Africa, piccole associazioni e singoli cittadini promuovevano ovunque attività e incontri, favorendo anche la prima migrazione africana, che all’epoca era soprattutto presente dalle ex colonie italiane. Eugenio andava e veniva, parlando sempre di Congo, di diamanti, del conflitto tra Etiopia ed Eritrea, della letteratura africana, di medicina tradizionale, sempre di migranti e di povertà. Mi ricordo di quando fece amicizia con Serge Latouche, che intervistò per Solidarietà Internazionale: Latouche esprimeva attenzione per quelle economie africane che si mantenevano nonostante l’Occidente, ed Eugenio amava parlare delle culture africane di cui aveva avuto contatti diretti nei suoi tanti viaggi.

Eugenio raccontava volentieri di sé, delle sue esperienze, degli aneddoti politici che lo riguardavano, dei viaggi, delle persone che aveva conosciuto. Era una persona molto calda, energica, anche incazzato a volte. Aveva una risata aperta e cordiale, era generosissimo e disponibile, sempre delicato nel rapporto personale verso le persone. Ti invitava a cena ed aveva piacere di stare sempre con gli amici, cucinava benissimo e era di buon umore quando aveva gente per casa; magari bofonchiava insulti in romagnolo se non accettavi i suoi inviti, voleva sempre essere ospitale. Raccontava che aveva visitato quasi tutti i paesi del mondo, erano pochi i timbri che mancavano sui suoi passaporti. Era anche disordinato, perdeva di tutto, ma era sempre puntuale nelle sue molteplici scadenze. Scriveva spesso per riviste missionarie, quotidiani, anche grazie ai grandi incontri che aveva fatto nella sua vita: esistono foto di Eugenio con Yasser Arafat, Fidel Castro, fino a papa Francesco, che in un incontro un anno fa lo aveva consolato sulla sua scelta di candidarsi in Democrazia Proletaria, con la conseguente sospensione a divinis della chiesa cattolica: “Hai fatto bene!” gli ha detto il papa, e per Eugenio erano state proprio parole sante.

 

Bergoglio regala il suo zucchetto a Melandri (ottobre 2018)

 

Ma soprattutto i bambini africani, del Kivu o del Senegal, erano i compagni preferiti nelle foto di Eugenio: frotte di bambini seminudi che lo circondavano ed Eugenio era sempre a braccia aperte. I bambini ed i poveri, i soggetti sociali prioritari per lui che era sociologo, ma non per retorica o catechesi, la povertà era per Eugenio la molla del cambiamento, della rivoluzione giusta contro gli occidentali, le multinazionali, il potere cieco e sordo alle persone. La collera di Dio, attraverso di lui, si manifestava negli incontri, nei convegni ufficiali, dove Eugenio parlava sempre pane al pane, direttamente, senza usare le piaggerie che molti politici usano davanti ai potenti. dall’esperienza del Vangelo all’esperienza del comunismo, attraverso scelte personali e politiche di altissimo livello, senza sconti verso se stesso.

Eugenio aveva sempre sofferto per essere stato sospeso dallo stato sacerdotale: nella sua gioia di vivere rimaneva un’ombra. Con la malattia, Eugenio si è riavvicinato al mondo missionario che lo aveva visto nascere politicamente, decidendo di andare a curarsi a Ravenna, vicino all’amata Brisighella della sua infanzia, la famiglia, le tombe dei genitori.

Si era trasferito l’autunno dell’anno scorso presso la Casa dei Missionari Saveriani di San Pietro in Vincoli, a Ravenna. Lo avevo visto a settembre, era molto sofferente, non voleva pesare su nessuno nella sua malattia, e ragionava sul tornare al Nord. Nella casa saveriana Eugenio era stato accolto con amore. Aveva continuato a progettare, ideare, sognare anche da malato.

Il 15 settembre era stato riammesso al sacerdozio dal Arcivescovo Matteo Zuppi di Bologna, tenendo la sua seconda prima Messa il 20 ottobre nella casa saveriana. Si era sanata la frattura, Eugenio era ritornata nella sua amata Chiesa, quella che lottava contro la povertà e la guerra. Nella sua ultima Messa, il 20 ottobre, aveva parlato della bellezza, del senso profondo della parola compagno, proprio per quel suo significato latino (Errore. Riferimento a collegamento ipertestuale non valido.), condividere il pane, gesto semplice e partecipante, comunitario.

Dopo soli tre giorni, il 23 ottobre, Eugenio è peggiorato, il 27 ottobre 2019 è morto. Noi continuiamo ad amarlo. Grazie Eugenio, di tutto.

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Nel 2015 Eugenio Melandri aveva aderito alla campagna Facciamo Comune insieme con questo messaggio: “Cento euro per sostenere il lavoro favoloso che fate”.

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