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sabato 12 gennaio 2019

 

Le “vacanze” forzate dei dissidenti cinesi

 

Sono organizzate e pagate dal Partito comunista per tenere lontani i suoi critici durante gli eventi che contano

 

All’inizio di settembre il dissidente cinese Zha Jianguo, attivista per la democrazia e da molti anni sotto la sorveglianza del Partito comunista, fu portato in “vacanza forzata” alla diga delle Tre Gole, la diga più grande del mondo, costruita nel 2006 sul Fiume Azzurro, nella provincia cinese di Hubei. In quei giorni a Pechino si stava tenendo l’importante Forum sulla cooperazione tra Cina e Africa, e il governo cinese voleva assicurarsi che niente turbasse lo svolgimento dell’incontro. Zha Jianguo era considerato un potenziale pericolo, a causa delle sue denunce online contro il Partito comunista e a favore della democrazia: trascorse nove giorni lontano da Pechino insieme a tre uomini del Partito, senza possibilità di pubblicare post critici e polemici, tutto pagato dal ministero cinese della Sicurezza pubblica.

L’esperienza di Zha Jianguo, che è stata raccontata in un articolo sul New Yorker da suo fratello, Zha Jianyiang, non è un caso isolato. Da diversi anni, infatti, il Partito comunista cinese manda pochi e selezionati dissidenti a fare “vacanze forzate” durante importanti eventi di politica interna o estera, accompagnati – o per meglio dire sorvegliati – da uomini del Partito. Non esiste un riconoscimento ufficiale di questa pratica da parte del governo della Cina, e i dettagli e le testimonianze sono poche.

La pratica delle “vacanze forzate”, una specie di alternativa alla sorveglianza stretta e al carcere, viene indicata con l’espressione cinese “bei lüyou” (traducibile con molta libertà in italiano come “essere turistificato”), dove il prefisso bei implica che quell’azione è avvenuta perché la polizia ha forzato la persona che l’ha compiuta, o l’ha incastrata in un modo che sia lei alla fine a risultare responsabile dell’atto (altri esempi: bei zisha, “è stato suicidato”; bei loushui, “gli hanno evaso le tasse”; bei piaochang, “è stato incastrato perché fatto trovare in compagnia di prostitute”). Negli ultimi anni, ha scritto Zha, la lista dei bei è diventata sempre più lunga, e le azioni attribuite ai dissidenti, o che i dissidenti sono stati costretti a compiere, sono diventate sempre più varie e particolari. Tra tutte, quella di “essere turistificati”, cioè di essere costretti ad andare in vacanza per mancare a importanti eventi politici, è probabilmente la meno spiacevole. A Pechino, ha scritto Zha, questa pratica riguarda poco più di una decina di dissidenti ogni anno, solitamente quelli che sono conosciuti dalle ong e dai media occidentali.

Nel marzo 2018, per esempio, una troupe di BBC filmò il dissidente cinese Hu Jian pochi minuti prima della sua partenza per una “vacanza forzata” organizzata dal governo. Hu era appena uscito dal portone del suo condominio, a Pechino, e si fermò qualche secondo a parlare con i giornalisti. Disse che era diretto a Shenzhen, nella provincia del Guangdong, dove si sarebbe fermato per una ventina di giorni, periodo durante il quale a Pechino si sarebbe tenuta la riunione annuale dell’Assemblea nazionale del popolo, il Parlamento cinese. Quando arrivarono i due accompagnatori-poliziotti, uno dei due prese la valigia di Hu per portarla in macchina, mentre l’altro interruppe la conversazione con BBC.

La pratica del “bei lüyou” è piuttosto strana e spesso poco comprensibile, se vista da fuori. Il New Yorker ha raccontato che i tre poliziotti-accompagnatori di Zha Jianguo durante la “vacanza forzata” alla diga delle Tre Gole si comportarono per lo più come suoi assistenti: si preoccuparono di comprare i biglietti d’ingresso ai siti turistici, di fare il check-in e il check-out negli hotel, di scattare foto nei punti più panoramici. In diverse occasioni il gruppo fece escursioni organizzate da una vera agenzia con veri turisti, provocando la curiosità degli altri partecipanti, che chiedevano che tipo di relazione ci fosse tra Zha e i suoi accompagnatori.

Nel 2017 il giornalista Christian Shepherd di Reuters scrisse che alcuni attivisti pensavano che il governo privilegiasse le “vacanze forzate” per rendere i dissidenti meno accessibili ai giornalisti stranieri, attirando il meno possibile la loro attenzione. Zha ha scritto sul New Yorker che l’obiettivo delle “vacanze forzate” sembra essere ammorbidire le posizioni dei dissidenti più conosciuti e “irriducibili”, adottando pratiche meno punitive rispetto al carcere e favorendo la nascita di rapporti personali con gli accompagnatori-poliziotti, come successe per esempio nel caso di suo fratello Jianguo. Potrebbe però esserci anche un’altra ragione. Le “vacanze forzate” potrebbero servire come una specie di “stimolo morale” tra gli agenti delle forze di sicurezza cinesi, che hanno così la possibilità di viaggiare completamente gratis in posti che non avevano mai visto prima. In cinese c’è un termine che indica questo concetto, cioè un “dovere bello da compiere”: meichai. 

In occasione del Forum sulla cooperazione tra Cina e Africa che si è tenuto a Pechino a inizio settembre, Jianguo non fu l’unico dissidente a essere allontanato dalla capitale in una “vacanza forzata” organizzata dal governo. Pu Zhiqiang, avvocato per i diritti civili specializzato nella libertà di espressione, fu mandato nella provincia dello Sichuan; Hu Jia, l’attivista intervistato da BBC, nella città portuale di Tianjin; He Depu, dissidente e sostenitore del Partito democratico cinese, cioè una forza di opposizione al Partito comunista, nelle praterie della Mongolia Interna; e Zhang Baocheng, attivista per i diritti umani, in un resort sulla spiaggia dell’isola di Hainan.

 

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