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8 aug, 2019

 

A Hong Kong le cose vanno sempre peggio

di Giulia Giacobini

 

È stata definita la peggiore crisi che ha colpito la città-stato dal 1997, anno di inizio della sovranità cinese. Le proteste vanno avanti da nove settimane, e Pechino potrebbe decidere per l'intervento armato

 

Il responsabile cinese per gli affari di Hong Kong Zhang Xiaoming ha detto che la città sta vivendo la peggiore crisi politica da quando è passata sotto la sovranità cinese, nel 1997. Il suo pensiero è condiviso da molti analisti e da diversi governi che hanno invitato i loro cittadini a prestare particolare attenzione nel caso in cui abbiano in programma un viaggio in quella zona. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato il Dipartimento australiano per gli Affari esteri e il commercio. “C’è il rischio di scontri violenti tra manifestanti e polizia, o persone legate alla malavita, specialmente nelle proteste non autorizzate”, ha fatto sapere con una nota.

Solo negli ultimi quattro giorni, la polizia si è scontrata più volte – e spesso in maniera violenta – coi manifestanti; ha fermato il leader di un’organizzazione studentesca con l’accusa di portare con sé un’arma (aveva un puntatore laser) e arrestato almeno altre 80 persone; i cittadini hanno organizzato uno sciopero che ha portato alla cancellazione di più di 200 voli e al blocco di diversi mezzi di trasporto nell’ora di punta; diversi negozianti hanno chiuso le loro attività per paura di ritorsioni e attacchi da parte di Pechino come quello avvenuto a fine luglio. Nel frattempo, su Twitter è stato mostrato il possibile effetto dei laser in dotazione della polizia.

 

Perché si protesta

Le manifestazioni a Hong Kong vanno avanti da nove settimane. Inizialmente i cittadini protestavano perché volevano che l’esecutivo ritirasse una controversa legge sull’estradizione. Ora chiedono più democrazia e più libertà dalla Cina – di cui la città-stato fa parte, pur essendo formalmente autonoma. I manifestanti vogliono poi le dimissioni della leader Carrie Lam, accusata di essere troppo vicina a Pechino, oltre a un’inchiesta indipendente sull’uso eccessivo della forza che la polizia avrebbe usato contro i manifestanti e al ritiro di tutte le accuse a carico di 44 attivisti (che rischiano fino a dieci anni di carcere per insurrezione). Nessuna di queste richieste è stata ascoltata né lo sarà in futuro.

Lam ha detto che le proteste stanno danneggiando l’equilibrio che era stato trovato con il governo centrale cinese e che si basava sul famoso principio di un paese e due sistemi. Secondo il capo dell’esecutivo hongkonghese, il vero obiettivo dei manifestanti è distruggere la città che si trova sull’orlo di una situazione molto pericolosa.

Pechino, d’altro canto, ha invitato più volte gli attivisti a non “scherzare con il fuoco” e a non prendere la decisione dei cinesi non intervenire – per lo meno non ufficialmente – per un segnale di debolezza. Ha quindi accusato alcune potenze occidentali, come gli Stati Uniti, di fomentare la rivolta o di esserne addirittura all’origine nonostante siano arrivate smentite da più parti.

È difficile capire come evolverà la situazione. Un’ipotesi è che Pechino decida di intervenire con l’esercito e di applicare la legge marziale, attuando una dura repressione. Secondo un editoriale pubblicato su Xinhua, l’agenzia di stato della Terra di mezzo, in ogni caso “il governo centrale non resterà con le mani in mano e non permetterà a questa situazione di continuare”.

 

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