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23 dicembre 2019

Hong Kong si allea con gli uiguri

di Emanuel Pietrobon

                      

Ad Hong Kong è stato un altro fine settimana all’insegna degli scontri e delle violenze ma, questa volta, i manifestanti non sono scesi in piazza per protestare contro la politica centralizzatrice di Pechino sulla città ma per una causa inaspettata: mostrare supporto e vicinanza agli uiguri.

 

Gli eventi

Domenica centinaia di persone si sono riversate per le strade di Hong Kong sventolando bandiere del Turkestan orientale, uno dei simboli più importanti utilizzati dagli uiguri che combattono per uno Xinjang indipendente. La marcia, partita da piazza Edimburgo, è stata caratterizzata dall’intonazione di cori e slogan pro-uiguri, ma anche pro-Tibet e pro-Taiwan, ed è degenerata quando un gruppo di manifestanti ha tentato di bruciare una bandiera cinese nei pressi del municipio.

 

Il gesto, che non è passato inosservato alle forze dell’ordine, è stato la causa scatenante degli scontri. Secondo la versione delle autorità, i poliziotti avrebbero tentato di fermare il rogo e arrestare i colpevoli, ma l’intervento avrebbe suscitato una reazione violenta da parte dei manifestanti, che avrebbero anche tentato di rubare una pistola d’ordinanza nel corso della schermaglia.

 

Il bilancio finale, tuttavia, è stato abbastanza leggero se comparato ai bollettini di guerra delle scorse settimane: 2 arresti, incerto il numero dei feriti.

 

Sebbene il ricorso a slogan pro-uiguri sia stato una costante fra i manifestanti hongkongesi, è la prima volta che viene indetta una marcia con l’obiettivo esplicito di mostrare solidarietà alla causa dello Xinjang, che gli organizzatori ritengono sia inestricabilmente legata a quella del Tibet, di Taiwan e di Hong Kong.

 

Xinjang-Hong Kong Connection

Da Hong Kong all’instabile Xinjang il filo conduttore è uno: esercitare massima pressione su Xi Jinping, spingendolo a commettere un passo falso che rovini l’immagine del paese a livello internazionale, portando alla fuga degli investitori e al boicottaggio della Belt and Road Initiative da parte dei paesi a maggioranza islamica.

 

Nei mesi recenti gli Stati Uniti hanno aperto un nuovo fronte nello scontro a distanza con la Cina: la causa uigura. L’amministrazione Trump ha lanciato una campagna di sensibilizzazione, portata anche in sede di Nazioni Unite e di Unione Europea, denunciando i presunti crimini contro i diritti umani commessi dal Partito Comunista Cinese nei confronti della minoranza turca che vive nella regione dalle voglie separatiste.

 

Secondo le accuse occidentali, oltre un milione di persone sarebbero attualmente detenute in campi di rieducazione modellati secondo i gulag di staliniana memoria, dove sarebbero torturate, uccise e costrette ai lavori forzati; la Cina ha sempre negato ogni addebito, sostenendo che nei campi in questione si implementino semplicemente percorsi di reintegrazione sociale e de-radicalizzazione.

 

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