Originale: The Rutherford Institute

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15 Ottobre 2019

 

JOHN LENNON CONTRO LO STATO PROFONDO

di John W. Whitehead

Traduzione di Giuseppe Volpe

 

“Ricordatevelo: il sistema è solo un nome per il male. Al mostro non importa se uccide tutti gli studenti o se c’è una rivoluzione. Non pensa in modo logico. E’ fuori controllo.” (John Lennon – 1969)

John Lennon, nato 79 anni fa il 9 ottobre 1940, è stato un genio musicale e un’icona culturale pop.

E’ stato anche un dichiarato dimostrante per la pace e attivista contro la guerra e un esempio di alto profilo di quanto in là si spingerà lo Stato Profondo nel perseguire quelli che osano sfidare la sua autorità.

Ben prima di Julian Assange, Edward Snowden e Chelsea Manning fossero puniti per aver rivelato i crimini di guerra del governo l’abuso dei poteri di sorveglianza da parte dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale, Lennon fu il primo a essere individuato per aver osato dire la verità al potere sulla bellicosità del governo, subendo il controllo delle sue telefonate e la raccolta illegale di dati sulle sue attività e amicizie.

Per un certo tempo, almeno, Lennon divenne il nemico numero uno agli occhi del governo statunitense.

Anni dopo l’assassinio di Lennon sarebbe stato rivelato che l’FBI aveva raccolto 281 pagine di documenti su di lui, tra cui testi di canzoni. J. Edgar Hoover, all’epoca capo dell’FBI, ordinò all’agenzia di spiare il musicista. Ci furono anche diversi ordini scritti che chiedevano ad agenti governativi di incastrare Lennon per festini a base di droga. “I documenti dell’FBI su Lennon… sembrano gli scritti di un santarellino paranoico”, ha osservato il giornalista Jonathan Curiel.

Come nota il New York Times: “I critici della sorveglianza interna di oggi si oppongono in larga misura per motivi di riservatezza. Si sono concentrati molto meno su quanto facilmente la sorveglianza governativa più diventare uno strumento per le persone al potere per mantenerlo. ‘Gli USA contro John Lennon’… è la storia non solo di un uomo molestato, ma di una democrazia minata”.

In verità tutte le molte rimostranze che abbiamo oggi nei confronti del governo – sorveglianza, militarismo, corruzione, molestie, incursioni di squadre d’assalto (SWAT), persecuzione politica, spionaggio, iper-criminalizzazione, eccetera – erano presenti ai tempi di Lennon e costituivano la base del suo appello alla giustizia sociale, alla pace e a una rivoluzione populista.

Per tutti questi motivi il governo statunitense era ossessionato da Lennon, che aveva imparato presto che la musica rock poteva servire un fine politico proclamando un messaggio radicale. Cosa più importante, Lennon credeva nel potere del popolo. Purtroppo, come Lennon riconosceva: “Il guaio con il governo così com’è, è che non rappresenta il popolo. Lo controlla”.

Tuttavia, come osserva Martin Lewis scrivendo per il Time: “John Lennon non era Dio. Ma si era guadagnato l’amore e l’ammirazione della sua generazione creando un grande corpo di lavoro che era di ispirazione e di guida. L’apprezzamento nei suoi confronti si era approfondito perché egli aveva allora deciso istintivamente di usare la sua celebrità come un fantastico pulpito per cause maggiori del suo arricchimento o esaltazione personali”.

Ad esempio, nel dicembre del 1971 a un concerto ad Ann Arbor, Michigan, Lennon salì sul palco e, nel suo usuale stile provocatorio, cantò a squarciagola “John Sinclair”, una canzone che aveva scritto a proposito di un uomo condannato a dieci anni di carcere per il possesso di due sigarette alla marijuana. Nel giro di giorni dalla chiamata di Lennon all’azione, la Corte Suprema del Michigan ordinò il rilascio di Sinclair.

Quello che all’epoca Lennon non sapeva era che agenti governativi andavano redigendo schede rigorose sull’ex Beatle cui si riferivano come a “Mr. Lennon”. Incredibilmente, agenti dell’FBI erano tra il pubblico al concerto di Ann Arbor “prendendo appunti su ogni cosa tra il pubblico (15.000) a proposito del valore artistico della sua nuova canzone”.

Il governo statunitense, immerso nella paranoia, stava spiando Lennon.

Arrivati al marzo del 1971, quando fu pubblicato il suo singolo “Power to the People”, era chiaro da che parte stava Lennon. Essendosi trasferito a New York City quello stesso anno, Lennon era pronto a partecipare all’attivismo politico contro il governo statunitense, il “mostro” che stava finanziando la guerra del Vietnam.

La pubblicazione dell’album di Lennon “Sometime in New York City”, che conteneva un messaggio antigovernativo radicale in virtualmente ogni canzone e sulla copertina dipingeva il presidente Richard Nixon e il presidente cinese Mao Tse-tung che ballavano nudi, non fece che alimentare le fiamme del conflitto a venire.

La guerra ufficiale degli Stati Uniti contro Lennon cominciò appieno nel 1972, dopo che erano emerse voci che Lennon aveva programmato di imbarcarsi in un tour di concerti negli Stati Uniti che avrebbe combinato musica rock con attività organizzative contro la guerra e per la registrazione degli elettori. Nixon, temendo l’influenza di Lennon su circa undici milioni di nuovi elettori (il 1972 fu il primo anno in cui i diciottenni poterono votare) fece notificare all’ex Beatle ordini di deportazione “in un tentativo di zittirlo come voce del movimento pacifista”.

Poi, di nuovo, l’FBI ha avuto una lunga storia di persecuzione, incriminazione e, in generale, di molestie nei confronti di attivisti, politici e figure culturali. Più notevolmente tra le ultime di ci sono nomi celebrati, quali il cantante folk Peter Seeger, il pittore Pablo Picasso, il comico e registra Charlie Chaplin, il comico Lenny Bruce e il poeta Allen Ginsberg.

Tra i tenuti sotto più stretta osservazione dall’FBI c’era Martin Luther King Jr., un uomo etichettato dall’FBI come “il leader negro più pericoloso ed efficace del paese”. Con intercettazioni e cimici elettroniche sistemate a casa sua e nel suo ufficio, King fu tenuto sotto costante sorveglianza dall’FBI con lo scopo di “neutralizzarlo”. Egli ricevette addirittura lettere scritte da agenti dell’FBI che lo invitavano a suicidarsi, oppure i dettagli della sua vita privata sarebbero stati rivelati al pubblico. L’FBI continuò la sua caccia a King fino a quando egli fu abbattuto da una pallottola punta cava alla testa nel 1968.

Anche se Lennon – per quanto ne sappiamo – non fu ricattato per indurlo al suicidio, egli fu soggetto a una campagna di sorveglianza e molestie durata quattro anni da parte del governo USA (capeggiata del direttore dell’FBI J. Edgar Hoover), un tentativo del presidente Richard Nixon di farlo “neutralizzare” e deportare. Come segnala Adam Cohen, del The New York Times: “La sorveglianza di Lennon da parte dell’FBI è un monito riguardo a quanto facilmente lo spionaggio nazionale possa diventare sganciato da qualsia proposito legittimo di mantenimento dell’ordine. Quello che è più sorprendente, e alla fine più inquietante, è il livello al quale la sorveglianza risulta essere stata intrecciata con la politica elettorale”.

Come mostra il dossier dell’FBI su Lennon, documenti e rapporti riguardanti la sorveglianza dell’FBI su attivisti contro la guerra andavano avanti e indietro tra Hoover, la Casa Bianca di Nixon, vari senatori, l’FBI e l’Ufficio Immigrazione degli Stati Uniti.

La caccia di Nixon a Lennon fu incessante e in larga parte basata sulla percezione errata che Lennon e i suoi compagni stessero programmando di bloccare la Convenzione Nazionale Repubblicana. La paranoia del governo, tuttavia, era mal riposta.

Attivisti di sinistra che erano sulla lista nera del governo e che condividevano un interesse a far cadere l’amministrazione Nixon si erano riuniti nell’appartamento di Lennon a New York. Ma quando rivelarono che stavano programmando di provocare una rivolta, Lennon si rifiutò. Come raccontò in un’intervista del 1980: “Dicemmo ‘non accetteremo questo’. Non attireremo bambini in una situazione per creare violenza in modo che voi possiate rovesciare che cosa? E sostituirlo con che cosa? … Era tutto basato su questa illusione, che si può creare violenza e rovesciare quel che c’è e ottenere il comunismo o qualche pazzo di destra o qualche pazzo di sinistra. Sono tutti pazzi”.

Nonostante il fatto che Lennon non facesse parte del piano dei “pazzi”, il governo persistette nei suoi tentativi di farlo deportare. Ugualmente deciso a resistere, Lennon si trincerò e contrattaccò. Ogni volta che gli era ordinato di lasciare il paese, i suoi avvocati ritardavano la procedura presentando un appello. Alla fine, nel 1976, Lennon vinse la battaglia per restare nel paese quando gli fu concessa una Carta Verde. Come disse in seguito: “Provo amore per questo paese… E’ qui che c’è l’azione. Penso che semplicemente andremo a casa, apriremo una busta di tè e ci guarderemo l’un l’altro”.

L’ora della tranquillità, tuttavia, non durò molto per Lennon. Nel 1980 era riemerso con un nuovo album e piani per ridiventare politicamente attivo.

Il vecchio radicale era di ritorno e pronto a causare guai. Nella sua intervista finale dell’8 dicembre 1980 Lennon rifletté: “L’intera mappa è mutata e stiamo entrando in un futuro ignoto, ma siamo ancora tutti qui e finché c’è vita, c’è speranza”.

Purtroppo lo Stato Profondo ha un modo per trattare i guastafeste. L’8 dicembre 1980 Mark David Chapman era in attesa nell’ombra quando Lennon tornò al suo edificio di appartamenti di New York. Quando Lennon scese dall’auto per salutare i sostenitori riuniti all’esterno, Chapman, in un’inquietante eco dell’appellativo dell’FBI per Lennon, chiamò: “Mr. Lennon!”

Lennon si voltò e incontrò uno sbarramento di proiettili, mentre Chapman – mettendosi in una posizione di combattimento a due mani – svuotava la sua pistola calibro 38 e sparava quattro pallottole a punta cava nella sua schiena e nel suo braccio sinistro. Lennon inciampò, barcollò in avanti e crollò a terra con il sangue che gli usciva dalla bocca e dal petto.

John Lennon fu dichiarato morto all’arrivo all’ospedale. Alla fine era stato “neutralizzato”.

Tuttavia dove si sbagliano quelli che hanno neutralizzato persone come John Lennon, Martin Luther King Jr., John F. Kennedy, Malcom X, Robert Kennedy e altri è nel credere che si possa uccidere un movimento con una pallottola e un folle.

Per fortuna l’eredità di Lennon continua a vivere nelle sue parole, nella sua musica e nei suoi sforzi di dire la verità al potere. Come Yoko Ono ha condiviso in una lettera del 2014 al comitato per la libertà condizionata incaricato di stabilire se Chapman dovesse essere rilasciato: “Un uomo di umili origini [John Lennon] ha portato luce e speranza al mondo intero con le sue parole e la sua musica. Ha tentato di essere una forza buona per il mondo, e lo è stato. Ha dato incoraggiamento, ispirazione e sogni alle persone, indipendentemente dalla loro razza, credo e genere”.

Purtroppo, non molto è cambiato in meglio da quanto Lennon era tra noi.

La pace resta fuori portata. Attivismo e rivelatori continuano a essere perseguiti per la loro sfida all’autorità del governo. Il militarismo è in ascesa, con la polizia locale che veste come l’esercito, al tempo stesso la macchina bellica del governo continua a seminare distruzione contro vite innocenti in tutto il globo. Giusto recentemente, ad esempio, le forze militari statunitensi hanno attuato attacchi con droni in Afghanistan che hanno ucciso trenta coltivatori di pinoli.

Per quelli di noi unitisi a John Lennon nell’immaginare un mondo di pace, sta diventando più difficile conciliare quel sogno con la realtà dello stato di polizia statunitense.

Contemporaneamente, come segnalo nel mio libro “Battlefield America: The War on the American People”, quelli che osano farsi sentire sono etichettati dissidenti, piantagrane, terroristi, pazzi o mentalmente malati e fatti oggetto di sorveglianza, censura, detenzione involontaria o, peggio, persino uccisi nelle loro case da polizia militarizzata.

Come Lennon condivise in un’intervista del 1968:

“Penso che tutta la nostra società sia governata da persone folli per obiettivi folli… Penso che siamo governati da maniaci per mezzi maniaci. Se qualcuno potesse mettere su carta quello che il nostro governo e il governo statunitense e i russi… i cinesi… quello che stanno realmente cercando di fare, e ciò che pensano di star facendo, sarei molto contento di sapere che cosa pensano di star facendo. Penso siano tutti pazzi. Ma io sono suscettibile di essere messo da parte come pazzo per aver espresso questo. E questo è che folle al riguardo”.

Dunque qual è la risposta?

Lennon aveva una moltitudine di suggerimenti.

“Se tutti chiedessero la pace invece di un altro apparecchio televisivo, allora la pace ci sarebbe”.

“La guerra è finita se lo si vuole”.

“Producete il vostro sogno… E’ del tutto possibile fare qualsiasi cosa, ma non chiedetelo ai leader… Dovete farlo da voi. E’ questo che i grandi maestri e maestre sono andati dicendo dalla notte dei tempi. Possono indicare la via, lasciare cartelli indicatori e qualche istruzione in vari libri che ora sono chiamati sacri e venerati per la copertina e non per quello che dicono, ma le istruzioni ci sono, visibili a tutti, ci sono sempre state e sempre lo saranno. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Tutte le strade portano a Roma. E gli altri non possono provvedere per te. Io non posso risvegliarti. Sei tu che ti puoi svegliare. Io non posso curarti. Puoi curarti da te”.

“La pace non è qualcosa da desiderare; è qualcosa da realizzare. Qualcosa che fai. Qualcosa che sei. E qualcosa che regali”.

“Se vuoi la pace, non la otterrai con la violenza”.

E il consiglio da me preferito tra tutti: “Dici di volere una rivoluzione/è meglio che ci diamo subito da fare/dunque mettiti in piedi/e fuori in strada/a scandire ‘Potere al Popolo’”.


Il costituzionalista e autore John W. Whitehead è fondatore e presidente del The Rutheford Institute. Il suo nuovo libro ‘Battlefield America: The War on the American People’ è disponibile presso www.amazon.com. Whitehead può essere contattato all’indirizzo john@rutherford.org. 


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte:  https://zcomm.org/znetarticle/john-lennon-vs-the-deep-state/

 

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