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21 maggio 2018

 

Quello che devi sapere se vuoi cambiare genere in Italia

di Elena Viale

 

Una guida il più facile possibile realizzata insieme a Paolo Valerio, presidente dell'Osservatorio Nazionale sull'Identità di Genere.

 

Questo post fa parte della nostra settimana della salute femminile una serie di contenuti sulla salute delle donne e sull'importanza della libertà e l'autodeterminazione di ognuna nel governarla.

C'è solo una certezza quando decidi di dedicare una settimana di programmazione editoriale alla salute femminile: qualche uomo in qualche commento ti accuserà di fare discriminazione nei suoi confronti. La risposta semplice a questa accusa è che il razzismo al contrario non esiste, in nessun ambito. Volevamo invece che questo focus-salute riguardasse tutte le donne, comprese quelle transgender.

Per questo abbiamo contattato il professor Paolo Valerio, professore ordinario di Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, presidente dell'Osservatorio Nazionale sull'Identità di Genere [ONIG], e curatore dell'edizione italiana delle Linee guida per la pratica psicologica con persone transgender e gender noncomforming  dell'American Psychological Association. Valerio ci ha guidato attraverso il processo di transizione in Italia, ci ha spiegato che quello che succede de facto è molto più avanti di quello che la legge prevede, e ha formulato qualche speranza per il futuro.

Una premessa è che oggi si parla di "disforia di genere" come espressione dell'identità di genere, nel tentativo di allontanarsi dall'ottica patologica che la dicitura "disturbo" presente fino al DSM IV portava con sé. L'aggettivo "transgender" è poi da preferire a "transessuale", perché include sia le persone che sentono il bisogno di conformarsi totalmente agli aspetti esteriori e anagrafici del genere opposto, che quelle che si sottopongono solo ad alcuni interventi, che quelle che non si identificano né come uomini né come donne. 

A CHI POSSO RIVOLGERMI SE VOGLIO CAMBIARE GENERE?

Ci sono diverse associazioni e servizi, in Italia: dagli sportelli ALA, ai consultori del Movimento Italiano Transessuale, al centro ONIG più vicino a te, ai servizi ospedalieri di riferimento (si trovano alla fine di queste slide). "[L'ONIG] è nato nel 1998 su iniziativa di attivisti—tra cui Marcella di Folco —psicologi, chirurghi plastici, urandrologi ed endocrinologi che si interessavano al mondo che all’epoca veniva chiamato del 'transessualismo'," spiega Valerio. "All’interno dell’ONIG non ci sono solo professionisti ma anche associazioni, e il fine è garantire alle persone transgender una parità nell'accesso ai servizi."

I principali centri ONIG si trovano a Napoli, Torino, Trieste, Firenze, Bari, Roma e Bologna, ma attraverso centri minori e la distribuzione capillare delle associazioni afferenti persone in tutta Italia possono usufruire di servizi di qualità e dell'aiuto di operatori esperti. Napoli, Firenze e Torino sono poi i principali sportelli specifici per bambini e adolescenti (nel caso di questi ultimi è tutta un'altra lunghissima storia; in proposito, il prossimo 5 giugno si terrà un Convegno dell'Istituto Superiore della Sanità

QUANDO È POSSIBILE CHIEDERE LA RIASSEGNAZIONE DEL GENERE ALL'ANAGRAFE?

Secondo l'interpretazione più diffusa finora della legge italiana, una persona può chiedere la riassegnazione all'anagrafe (ovvero: ottenere il cambio del genere sui documenti) solo nel momento in cui abbia completato la 'rettificazione chirurgica' del sesso. In teoria, dunque, prima di arrivare al riconoscimento legale della propria identità percepita bisognerebbe presentarsi due volte in tribunale: la prima per chiedere l'autorizzazione all'intervento chirurgico demolitivo— che nel caso degli FtM è composto in realtà da due interventi, mastectomia e isterectomia—e la seconda in seguito all'intervento per richiedere le modifiche anagrafiche.

Questa interpretazione della legge segue un'ottica binaria e molto—come dire—'genitale', e perciò è al centro di polemiche ed è stata superata poi nei fatti. "Per fortuna ci sono state due sentenze della Corte di Cassazione e una della Corte Costituzionale che spero porteranno all'evoluzione della giurisprudenza in senso più ampio, complesso e articolato," racconta Valerio. Oggi, indipendentemente dall’intervento chirurgico "in gran parte dei tribunali italiani, anzi direi quasi in tutti, spesso i giudici chiedono solo che la richiesta di vedersi riconosciuto anche sul piano anagrafico il genere percepito sia accompagnata dal parere di un esperto, uno psicologo che faccia parte di un servizio pubblico—e dico psicologo e non psichiatra proprio per aprire la finestra della depatologizzazione."

Questo passaggio è importante da un lato per superare il binarismo maschio-femmina e iniziare a considerare il genere su uno spettro più ampio, dall'altro per permettere a tutti di vivere in accordo con il proprio genere percepito. "Ci sono varie situazioni: certo anche le persone giovani, ma soprattutto persone di 60-70 anni che chiedono il cambio anagrafico non intendono magari a sottoporsi a interventi," spiega Valerio. 

QUANTO TEMPO CI VUOLE?

L'ONIG ha elaborato il protocollo seguito da quasi tutte le strutture in Italia. Esiste un altro protocollo, il WPATH [World Professional Association for Transgender Health], seguito in ambito internazionale—in Italia, attualmente solo dalla D.A.I. Clinica Medica e Farmacologia Clinica dell'Università di Messina e dall'ex DiSEM di Genova.

Non esiste una durata obbligata del percorso dal momento che a) entra in gioco la burocrazia, notoriamente imprevedibile, e b) tutto, dai dosaggi ormonali alle operazioni chirurgiche è modellato sulle esigenze dell'individuo. Inoltre, come si è visto, auspicabilmente stiamo andando nella direzione per cui non sarà più necessario 'portare a termine' alcunché. Quello che l'ONIG consiglia, comunque, è di affidarsi a un sostegno psicologico competente per non meno di sei mesi (vista la dimensione estremamente personale della questione ogni generalizzazione è fallace, tiene a precisare il professor Valerio, e solo un esperto qualificato potrà fare valutazioni sul singolo caso).

Nota bene: la terapia ormonale continua per tutta la vita.

A COSA SERVE IL 'TEST DI VITA REALE'?

Diciamo che hai preso consapevolezza di percepirti non conforme al genere che ti è stato assegnato alla nascita e hai iniziato la terapia ormonale. Ma nella nostra società il genere implica anche stereotipi e ruoli. Il test di vita reale è un periodo (anche qui, di durata variabile fino ai due anni) in cui una persona fa l'esperienza della vita quotidiana secondo le varie situazioni le nel genere con cui si identifica e percepisce, e capisce quanto è pronta a portarsi a spasso tutto quello che esso comporta. 

"L’universo del genere è un universo complesso e articolato," spiega Valerio. "Una persona che vive il genere percepito senza troppi problemi ha già fatto il più, mentre ci sono persone che non hanno ancora vissuto liberamente a causa di pregiudizi e stigma. Per loro può essere utile provare a vivere in abiti femminili se sono persone MtF, o maschili se son persone FtM. È come dire, 'Hai provato a vivere in questa posizione? Ti senti a tuo agio? Sei preparato/a?' Purtroppo siamo in una società che fa sì che molti di noi si vergognino—magari non l’hanno detto ai genitori, alle persone più care—e in questo periodo la persona potrà capire se si sente in sintonia col genere percepito, affrontare più serenamente tutte le complessità che vengono con il cambio anagrafico, e anche rendersi conto che è un passo importante."

CHE COSA PASSA IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE?

Una delle questioni più dibattute è il costo della transizione, al cui riguardo da anni vengono proposti disegni di legge più inclusivi. Gli ormoni, con alcune eccezioni, sono a carico del SSN se ci si rivolge a una struttura convenzionata, così come la salute pubblica copre gli interventi chirurgici necessari alla riassegnazione del genere agli occhi della legge—che comunque possono anche essere svolti in regime privato. Tutti gli ulteriori interventi chirurgici, compresi quelli estetici, sono a carico di chi vi si sottopone. 

A CHE PUNTO SIAMO IN ITALIA CON LA COSCIENZA SOCIALE SU QUESTI TEMI? 

"C’è molto ancora da fare nella società, partendo da un'operazione culturale di apertura," commenta Valerio. "Il vero tabù, nel mondo in cui viviamo, è la femminilizzazione del maschio." L'altro stereotipo ancora da combattere è quello che lega transgenderismo e sex work. "I genitori di giovani transgender si preoccupano perché c’è ancora lo stereotipo di persona trans* uguale prostituta," continua Valerio. "Ovviamente ci sono persone transgender che fanno sex work, ma lo fanno anche perché la società civile non offre loro opportunità lavorative." 

E per cambiare la percezione è importante cominciare dal sistema educativo, a partire dalle scuole dell'infanzia. D'altra parte, alcune università, tra cui proprio la Federico II di Napoli, hanno aperto servizi come AntiDiscriminazione e Cultura delle Differenze del Centro Sinapsi (Servizi per l’Inclusione Attiva e Partecipata degli Studenti, diretto proprio dal professor Valerio) e attivato una buona pratica per cui una persona transgender può richiedere all’università di vedere riconosciuto il genere percepito e ottenere una identità alias anche se non ha ancora portato a termine l'iter legale (due atenei in Italia hanno aperto questa possibilità anche al personale). Ora questa procedura è disponibile in diverse strutture universitarie, da Torino a Catania.

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