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15 ottobre 2019

 

La versione di Bosch: il governo spagnolo si vorrebbe vendicare degli indipendentisti catalani

 

Il ministro degli Esteri della Generalitat, Alfred Bosch: «C’è stata un'azione repressiva spagnola per punire leader politici che rappresentavano un governo legale e legittimo. Madrid ci ignora»

 

Alfred Bosch ha scritto un romanzo sul processo a Cayetano Ripoll, l’ultimo condannato per eresia dall’inquisizione spagnola, ma non avrebbe mai immaginato un finale simile per i suoi colleghi di partito. La Corte Suprema di Madrid ha condannato nove leader catalani a pene dai nove ai 13 anni per aver tentato di rendere la Catalogna indipendente dalla Spagna nell’ottobre del 2017. È caduta l’accusa di ribellione, la più grave perché avrebbe comportato una pena di 25 anni. Per la Corte non c’è stata violenza nel dichiarare l’indipendenza da Madrid, ma rimangono tredici anni da scontare per “sedizione” all’ex presidente del breve governo catalano Oriol Junqueras, dodici per gli ex ministri Raul Romeva, Dolors Bassa e Jordi Turull, dieci e sei mesi per i loro colleghi Joaquim Forn e Josep Rull. E ora dopo due anni e due settimane esatti da quel referendum, la Corte ha riattivato anche il mandato di arresto europeo per il leader della rivolta Carles Puigdemont. Il ministro Bosch rimane così uno degli ultimi rappresentanti della generazione di politici che tentarono l'indipendenza ad aver evitato la prigione. Per tutto il giorno resta ncollato al telefono nel suo ufficio alla consellería de Exteriores di Barcellona per denunciare quanto accaduto a mezza Europa. Ha tempo anche per Linkiesta «È una vergogna per il regno di Spagna e per il mondo. Questa sentenza abbassa gli standard democratici dei diritti umani in tutta Europa. Si condannano delle persone innocenti che non hanno commesso alcun crimine. solo perché sono accusate di aver organizzarto un voto. Come può essere un reato?»

 

Beh, non sono accusati solo di aver organizzato un voto.

Non hanno ucciso e non hanno rubato. Qui c'è stata un'azione cosciente e repressiva del governo spagnolo per punire dei leader politici che rappresentavano un governo legale e legittimo. Tutto ciò che hanno fatto è stato attuare le norme per far svolgere un referendum, promettendo alle persone che li hanno sostenuti di poter votare per decidere del proprio futuro.

 

Lo considera un processo politico?

Certo, loro sono prigionieri politici e il governo spagnolo ha attuato una vendetta politica. La via del dialogo e la soluzione democratica sono stati respinti da Madrid nel momento in cui l'avvocato dello Stato era presente come accusa. La sentenza è la copia carbone di quanto chiesto dallo stato spagnolo. Madrid ha scelto di non usare alcun strumento democratico per risolvere la questione, come invece è stato fatto in Scozia o in Quebec in cui si è scelta la strada civile del confronto.

Cosa farete ora?

Questa mattina (ieri, ndr) il presidente della Generalitat catalana, Quim Torra, ha chiesto al premier, Pedro Sánchez, e al re di Spagna, Filippo VI, di avviare immediatamente il dialogo. Chiediamo ai leader europei di esercitare pressioni su Sánchez affinché accetti. Non vogliamo che accolga subito le nostre ragioni, ma che si adegui all'unica posizione possibile: parlare, sedersi a un tavolo, trovare un modo per uscire da questo vicolo cieco. Condannare nove persone a un totale di 100 anni di prigione non risolve la situazione, non la migliora. Se vogliamo che questa crisi di Stato non influisca sul futuro dell'intera Europa dobbiamo trovare una soluzione pacifica e democratica.

Sì, ma il 10 novembre ci saranno le quarte elezioni in quattro anni e potreste trovarvi con un premier diverso. Quali sono le vostre condizioni per trattare?

Per ora non vogliamo mettere condizioni ma almeno creare un dialogo. Parliamo del problema centrale sul tavolo: come risolviamo questa enorme richiesta di milioni di persone in Catalogna di votare sul loro futuro e di mettere tra le opzioni di voto la creazione di una repubblica catalana? Faremo una proposta per indire un altro referendum, come è stato fatto in Scozia o Quebec, in modo che le persone possano decidere. Perché alla fine sono le persone che devono decidere. Questa è la democrazia: governo del popolo, con il popolo, per il popolo.

E se il governo spagnolo vi proponesse una autonomia speciale in cambio della vostra permanenza nel regno?

 

Che venga al tavolo del negoziato e la presenti: ne discuteremo. Finora non si sono neanche seduti a parlare. Non hanno cercato il dialogo. Il problema qui è che il governo non ha progetti per la Spagna, figuriamoci per la Catalogna. Vogliono solo la punizione, la vendetta, la repressione. Solo noi finora abbiamo fatto una proposta chiara: votare per una repubblica catalana. Concordiamo sul come, quando e in base a quali regole. Ma attenzione, perché mentre stiamo parlando ci sono migliaia di persone per strada a Barcellona che occupano l'aeroporto. Loro lo stanno già chiedendo con forza di ripristinare la democrazia, non bisogna perdere tempo.

 

Chi deve sedersi al tavolo dei negoziati?

I prigionieri politici appena condannati hanno la massima autorità per farlo. Tra questi, Oriol Junqueras, che era il vicepresidente del governo, è un leader riconosciuto. Un cristiano convinto, una brava persona che non ha fatto mai del male a nessuno. È un'autorità e sarebbe sicuramente uno dei migliori interlocutori in grado di negoziare al tavolo. E cosa ha fatto il governo spagnolo? Lo ha messo per anni in detenzione preventiva come se fosse un terrorista in attesa della sentenza di oggi (ieri, ndr).

Il rischio però è che se non si abbasseranno i toni ci possano essere degli scontri con la polizia. Teme che possa ripetersi lo scontro tra Guardia civil e cittadini come il giorno del referendum?

 

No, né qui né per le strade di Barcellona c'è rabbia. Siamo gente ferma, determinata ma civica e pacifica come abbiamo dimostrato negli ultimi anni. Non cambieremo. Siamo un popolo mediterraneo, laborioso e la nostra società per fortuna è sempre più prospera, creativa e ha talento. Vuole solo essere libera. Non odiamo nessun Paese e soprattutto non odiamo la Spagna. Amiamo la Catalogna e soffriamo perché da Madrid c'è stata una intimidazione pronunciata verso le nostre ragioni.

 

Però il rischio è che la decisione della Corte Suprema di oggi sia un punto di non ritorno. La politica può fare poco una volta che la magistratura ha deciso.

Non è vero. Dopo la morte di Francisco Franco ci fu in Spagna un'amnistia per tutti i responsabili del regime. Una situazione, tra l'altro, molto diversa da quella che accadde in Italia dopo la morte di Mussolini. Qui è stato fatto per andare avanti. Se una decisione del genere è stata applicata per i leader di un regime che ha aiutato Hitler e per giunta è stato presa a metà anni Settanta, e mai possibile che il governo spagnolo escluda l'unica misura che potrebbe favorire il dialogo pacifico e porre fine alla più grande crisi di Stato degli ultimi quarant'anni? Chiediamo solo di dare voce a quanto ha già denunciato l'Onu sulla violazione dei diritti fondamentali, o le 300 personalità italiane che hanno firmato un manifesto per liberare i prigionieri politici catalani.

 

Avrebbe mai pensato che il suo romanzo sul processo all'ultimo condannato dell'inquisizione spagnola si sarebbe avvicinato così tanto alla realtà?

Cayetano Ripoll è stato giustiziato per ordine dell'Inquisizione perché era eretico nel 1826. Fortunatamente in quasi 200 anni le pene sono cambiate. Però è sorprendente notare come il potere spagnolo continui a pensare in termini di punizione, vendetta e annientamento. Su quello nulla è cambiato. Dopo due secoli ci aspetteremmo che la reazione dei poteri dello stato fosse civile. Lo trovo inaccettabile, ma continueremo a lottare.

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