Fonte: Accademia nuova Italia

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/

24/05/2019

 

Liberarsi dal grande inganno e dal grande ricatto

di Francesco Lamendola

 

Gli europei, e specialmente gli italiani e i tedeschi delle ultime tre generazioni, quelli nati dopo la fine della Seconda guerra mondiale, sono stati ingannati quasi su ogni aspetto del loro passato e sono stati sottoposti a un tremendo lavaggio del cervello, avente come fine la creazione, in essi, di un senso di colpa inestinguibile e di un permanente disprezzo di sé. Visto il successo ottenuto da questo piano strategico, attuato con l’azione convergente della scuola, dell’università, della stampa, dell’editoria, del cinema e della televisione, nonché, ovviamente, con la volonterosa collaborazione degli uomini politici e degli eterni parassiti e prostituti di professione, i cosiddetti intellettuali, la regia occulta di questa operazione, che fa capo al grande potere finanziario internazionale, è passata alla seconda fase, quella della cancellazione pura e semplice del passato e alla distruzione definitiva della memoria. In altre parole, dopo aver indottrinato le nuove generazioni come si fa con i pappagalli o con le scimmie ammaestrate, si è svuotato dal loro bagaglio di conoscenze, e perfino dalla loro curiosità, il ricordo di ciò che l’Europa delle nazioni è stata prima del 1945; si è fatto il vuoto, una grande tabula rasa, e lo si è riempito surrettiziamente coi materiali scadentissimi, sovente escrementizi, della tarda modernità: scuola di massa per cervelli all’ammasso, morale buonista, pedagogia inesistente, psicologia fiancheggiatrice di tutte le derive e di tutte le aberrazioni esistenziali, musica demenziale, arte brutta, antiromanzo, antipoesia, antifilosofia, antiteologia, cattolicesimo taroccato secondo le direttive massoniche del Vaticano II, così che i giovani non arrivino neanche a immaginare come realmente si viveva, cosa si pensava, quali sentimenti avevano i loro nonni e bisnonni fino al 1945, oppure, meglio di tutto, che in loro non sorga mai la benché minima curiosità di saperlo, accontentandosi del qui e ora, inteso come felice pascolare e brucare l’immondizia che viene loro offerta dalla società dei consumi. L’unica cosa che essi devono sapere, se proprio è necessario parlare di quell’epoca oscura che è stata etichettata sotto il nome di età del nazionalismo, dell’imperialismo e dei totalitarismi (come se oggi il totalitarismo non esistesse più…), è che, fra il 1943 e il 1945, l’Europa è stata liberata dai gloriosi vincitori della Seconda guerra mondiale, dai mostri che la angariavano e la terrorizzavano, liberatori che si sono generosamente sacrificati sulle spiagge della Sicilia e su quelle della Normandia, oltre che sulle sconfinate pianure russe, per restituire ai popoli europei libertà, dignità e democrazia, per liberare Auschwitz e gli altri campi dell’orrore (quelli nazisti; silenzio quasi totale su quelli sovietici, almeno fino a pochi anni fa), con la partecipazione dei combattenti, anch’essi gloriosi, delle varie resistenze antifasciste, tutti circonfusi da un alone di gloria perché tutti, pur nella diversità delle loro storie e delle loro prospettive, impegnati in una lotta eroica per tagliare, una dopo l’atra, tutte le teste della velenosa idra nazifascista, ovviamente sorvolando sulle atrocità da loro commesse, e specie dai comunisti, sulle foibe, gli stupri, gli assassinii, i triangoli della morte, e, soprattutto, tacendo sul fatto che le resistenze altro non furono che altrettante guerre civili, di europei contro europei, di italiani contro italiani, di francesi contro francesi, di croati contro croati, di polacchi contro polacchi, di russi contro russi, eccetera.

 

In un certo senso, la condizione dei giovani europei, e anche dei meno giovani, visto che l’inganno e il lavaggio del cervello sono all’opera da oltre settant’anni e che dipendono dall’esito politico, militare, economico e finanziario della Seconda guerra mondiale, è paragonabile a quella di un figlio il cui padre è partito, o è stato rapito, o è stato ucciso, quando lui era ancora molto piccolo, e che è cresciuto con la madre e coi parenti di lei, nonni, zii, i quali tutti, ma la madre specialmente, non hanno fatto altro che ripetergli quanto quell’uomo, che fortunatamente ha liberato la famiglia della sua presenza, fosse cattivo, violento, incivile, e come si sia meritata la sua sventura; per poi sentirsi dire, ogni volta che contraddice la volontà di sua madre, che somiglia tutto a quella canaglia del padre, in modo da alimentare in lui un divorante senso di colpa. Il padre che non c’è più (e questa similitudine calza alla lettera, visto come si è denigrata e resa insignificante la figura paterna, da Freud in poi, nella cultura odierna, a tutto vantaggio di un neomatriarcato femminista tanto più feroce, quanto più ipocritamente mascherato) non è assolutamente Hitler o Mussolini, non è il fascismo o il nazismo, non è l’imperialismo o il nazionalismo esasperato che ha concorso allo scoppio delle due guerre mondiali, cioè al suicidio d’Europa. Niente affatto: non intendiamo riabilitare il fascismo, né, meno che mai, il nazismo; non è una discutibile nostalgia di quei regimi politici che ci spinge alla presente riflessione. Il padre negato, vilipeso, disprezzato, insultato, calunniato, è l’Europa stessa: l’Europa tutta quanta, a eccezione della Gran  Bretagna, che fece la scelta “giusta” e che anzi fu il motore della liberazione dei popoli; e dei piccoli Paesi neutrali, i quali, se non altro, non si resero complici dell’infamia nazifascista. Il padre calunniato e disprezzato è la nostra stessa civiltà, gettata nel cestino dell’immondizia per la sola ragione che, fra il 1914 e il 1945, provocò le guerre mondiali (cosa non del tutto vera, perché ignora il regista occulto di quegli eventi, cioè la grande finanza internazionale), e che, per non essere tentata di ripetere gli errori e i crimini del passato, deve accettare la gabbia d’una Unione Europea che altro non è se non il campo di concentramento deciso per i popoli europei da quella stessa grande finanza che, dopo aver attizzato le due guerre mondiali, ora vuole divorare in santa pace le sue vittime, spolpandole di ogni ricchezza, partendo dal debito pubblico e giungendo a impossessarsi del risparmio privato, come già ha fatto con i greci e come conta di fare con gli italiani e, uno dopo l’altro, con tutti gli altri prigionieri, cioè, volevamo dire, con tutti gli altri membri.

 

Speriamo di esserci spiegati abbastanza da scongiurare possibili equivoci e deliberate alterazioni del nostro pensiero. Non stiamo facendo alcuna apologia, implicita o esplicita, delle dittature del passato, dell’imperialismo e del fascismo; stiamo affermando che si è voluto gettar via il bambino insieme ai pannolini sporchi, e che la civiltà dell’Europa, la sua tradizione, la sua cultura, non meritavano di essere criminalizzate come si è fatto per settanta anni, a eccezione, beninteso, di quelli che, allora, scelsero di schierarsi dalla parte giusta, che fu, alla resa dei conti, la parte vincitrice, i comunisti in primissima fila. Proprio loro, che avrebbero voluto costruire un’Europa ancor più orribile di quella che aveva in mente Hitler; proprio loro, che con le guerre civili europee – dalla Spagna alla Jugoslavia, dall’Italia alla Francia - hanno dato un piccolo saggio di quel che avrebbero fatto se fossero giunti al potere, assassinando, a guerra ormai finita, nel 1945, decine di migliaia di persone e liquidando, insieme ai fascisti e a delle vittime non politiche, assassinate per motivi di vendetta, di furto o per motivi ancor più sordidi, come quello di coprire con la morte le violenze sessuali perpetrate, anche molti capi dei movimenti partigiani che avevano il grave torto di non essere comunisti. Chi si prende la briga di studiare gli ultimi giorni della gloriosa resistenza italiana, ad esempio, e specie le giornate di aprile e maggio 1945 nell’Italia settentrionale, si imbatte in una serie di fatti strani: capi prestigiosi delle brigate azioniste, o cattoliche, o monarchiche, persero la vita negli ultimi giorni di lotta, perfino nelle ultimissime ore, in circostanze insolite, uccisi da raffiche di mitra che vengono puntualmente attribuite agli ultimi reparti tedeschi o fascisti in ritirata, ma che vi sono molte ragioni per pensare siano partite, invece, dai “compagni” comunisti, i quali fiutavano l’aria di una resa dei conti generale e si accingevano a decapitare le bande non comuniste, privandole dei loro capi, così come Stalin aveva decapitato il popolo polacco della sua élite politica e militare, ordinando la soppressione fisica di molte migliaia di ufficiali presi prigionieri, e scaricando poi il crimine sul conto dei tedeschi. Per i partigiani comunisti, infatti, tutti i non comunisti erano, a pieno titolo o potenzialmente, dei “fascisti”, socialisti compresi; erano tutti dei borghesi reazionari e nemici del proletariato, che avevano flirtato col fascismo e che adesso andavano eliminati, per non intralciare il loro assalto finale per la conquista del potere, nello stile bolscevico del 1917. Dunque, lo ripetiamo: nessuna sterile nostalgia, tanto meno nostalgia dei totalitarismi; ma una certa qual nostalgia della vecchia Europa, della sua anima, non ancora omologata e banalizzata dal rullo compressore dell’american way of life, e soprattutto un desiderio di riprendere un filo interrotto, il filo della nostra civiltà e della nostra tradizione: quello sì. Senza le nostre radici, senza la nostra identità, senza la nostra anima, siamo nulla: carne all’ammasso. E infatti, proprio questo è il progetto: ridurci a nulla, mediante l’ignoranza di noi stessi e il disprezzo di ciò che eravamo, onde facilitare la fase successiva del piano globalista: la nostra sostituzione fisica con immigrati africani e asiatici di fede islamica, il cui tasso d’incremento demografico moltiplicherà in progressione geometrica gli effetti delle prime ondate già arrivate in Europa, sotto l’inganno trasparente dell’accoglienza umanitaria. Inganno cui si sta prestando, con particolare zelo, quella Chiesa cattolica (ma dovremmo piuttosto dire: quella contro-chiesa conciliare) che, in teoria, era l’ultimo bastione della nostra identità e della nostra civiltà.

 

È una strana sensazione che si prova, quando si sfoglia una antologia scolastica pubblicata negli anni ’20, o ’30, o nei primi anni ’40; ed è una strana sensazione che si prova quando si considerano le opere filosofiche, letterarie, artistiche, musicali, di quegli stessi anni. Non le avanguardie, che erano, quasi sempre, l’espressione di piccolissime élite velleitarie, totalmente avulse dal clima spirituale della società europea e sedotte dal mito della rivoluzione comunista o incretinite dall’altro mito, ancor più esiziale, della modernizzazione in stile americano, oppure ancora che erano espressione della malattia europea, della nevrosi europea, della nausea di sé europea, del senso di colpa europeo, sfogati nelle forme scomposte di un vitalismo superficiale, dietro il quale stava una tetra attrazione per la morte. No: ma i pensatori, gli scrittori, gli artisti e i musicisti che si richiamavano, in un modo o nell’altro, alla vera tradizione europea, che esprimevano l’universo culturale e affettivo dei popoli europei, che cercavano di preservare l’immenso patrimonio della civiltà europea. Come quei pittori novecenteschi che si rifacevano a Giotto, a Masaccio, a Duccio di Buoninsegna, alla tradizione medievale; come quegli scrittori che facevano appello alle tradizioni contadine, al ruralismo, al legame fra l’uomo e la terra, e descrivevano la famiglia, sia pur nelle sue difficoltà e contraddizioni, come un luogo di valori autentici, e non come quel nido di vipere e quel covo d’ipocrisia borghese che, poi, sarebbe venuto di moda dipingere; e come quei filosofi e quei teologi che si richiamavano alla imperitura lezione di Aristotele e di san Tommaso d’Aquino, e che si sforzavano di tendere al fine naturale della speculazione, che è la verità, invece d’indulgere nella auto-denigrazione del pensiero e nella negazione di qualunque discorso sulla verità, come poi sarebbe venuto di gran moda e come oggi è praticamente d’obbligo, al punto che neanche ci rendiamo conto di quanto sia malata, aberrante, delirante quasi tutta la nostra filosofia, la nostra teologia, la nostra poesia, la nostra letteratura, la nostra pittura, la nostra scultura, la nostra architettura, la nostra urbanistica e la nostra musica – per non parlare del cinema. Perché oggi è proprio questo il problema: che a forza di vivere in una società impazzita, e sia pure lucidamente condotta alla follia; in una società dove le cose sono più importanti delle persone, i beni di consumo sono più importanti dei sentimenti, e le emozioni contano più del pensiero; a forza di coltivare l’odio e il disprezzo di noi stessi, della famiglia, della fede religiosa, della patria, e di esaltare tutto ciò che va nella direzione opposta, non siamo neanche più capaci di riconoscere quello che è bello, che è giusto, che è vero e che è buono, ma siamo inclini a identificare come bello, buono, vero e giusto quel che ci passa il convento, cioè l’indottrinamento feroce attuato senza sosta dalla scuola, dall’università, dai mass media, dai politici (prezzolati e traditori) e da una genia di pseudo intellettuali moralmente spregevoli, egoisti, narcisisti, avidi, superbi, vanitosi, corrotti o facilmente corruttibili, sessualmente invertiti, mentalmente aberranti: tutti sul libro paga del potere finanziario o, comunque, tutti desiderosi di abbeverarsi quanto prima alla sua greppia; tutti disposti a qualsiasi bassezza pur di strappare un po’ di popolarità, ripetendo come pappagalli ammaestrati le solite menzogne e le pie banalità del politicamente corretto, a genuflettersi davanti ai suoi idoli: la Religione dei Sei Milioni, prima di tutto; l’accoglienza, la solidarietà e l’inclusione, usate come copertura per il suicidio dell’Europa e la sua auto-invasione mediante lo stanziamento di milioni di stranieri ai quali nulla importa della civiltà europea, che anzi la odiano e la disprezzano caldamente; la tolleranza, il rispetto, l’accettazione della diversità, laddove la sola diversità che ormai è d’obbligo accettare è la degenerazione sessuale, mentre la diversità intesa come autentica libertà del pensiero fra poco sarà considerata un crimine punibile per legge – e già vi sono indizi allarmanti in tal senso. Bisogna mettersi in testa che al potere finanziario globale non piacciono le persone che hanno il vizio di pensare con il loro cervello: sono dei potenziali sovversivi. Giunti a questo punto, come non rivalutare l’ultima generazione di europei che tennero alta la bandiera della nostra civiltà?

 

top