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26/05/2019

 

Sovranità popolare o nazionale?

di Renato Caputo

 

L’illusorietà della sovranità popolare nei regimi liberaldemocratici, in assenza della prospettiva di una sovranità consigliare, favorisce il risorgere di una altrettanto mistificatoria sovranità nazionale.

 

Sempre più spesso assistiamo, in particolare nei paesi a capitalismo avanzato, al tragico spettacolo di masse umiliate e offese pronte “spontaneamente” a farsi valere non contro le ingiustizie che sempre più pesantemente subiscono da parte della classe dominante degli sfruttatori, ma contro ogni forma di assistenzialismo nei confronti di chi vive in condizioni di sfruttamento e oppressione ancora più drammatiche. Certo le lotte spontanee, prive come sono generalmente oggigiorno di direzione consapevole, non sono in grado di andare al di là di rivendicazioni particolari, in un’ottica riformista e tradeunionista. D’altra parte, nel caso attuale, le rivendicazioni corporative dei subalterni non si rivolgono come avveniva ancora non molto tempo fa, quando ancora resisteva un minimo di coscienza di classe, contro le classi dominanti e sfruttatrici, ma si risolvono in una fratricida guerra fra poveri, volta a dare sfogo alla frustrazione socio-politica delle classi popolari su chi vive in condizioni ancora più misere e precarie.

 

D’altra parte, dietro questo cattivo spontaneismo, ovvero alla sua origine, vi è il prevalere sempre più incontrastato dell’ideologia dominante, espressione della classe dominante, che porta i subalterni ormai generalmente privi di un’ideologia autonoma e antagonista, a marciare in modo più o meno compatto dietro il nemico di classe che è in grado, demagogicamente, di porsi sempre alla loro testa.

Così, dopo secoli di lavaggio del cervello da parte delle classi dominanti, sempre intente a spostare l’attenzione dal conflitto sociale al conflitto contro lo straniero, la debolezza del marxismo ha finito con il lasciare campo libero alla xenofobia. Per cui deprivati di ogni supporto dal punto di vista strutturale, con il progressivo sostituirsi del toyotismo al taylorismo, e sovrastrutturale con l’altrettanto progressivo indebolimento del materialismo storico, i subalterni hanno finito con lo smarrire sempre più l’identità di classe, reale e materialistica, e sono stati spinti dall’ideologia dominante a sostituirla con l’identità nazionale o razziale, fittizia e idealistica.

 

Cosa ancora più grave – visto che le masse popolari sono il più delle volte, per le misere condizioni in cui sono costrette a sopravvivere e a riprodursi, incapaci di ragionare in modo realmente autonomo, rispetto agli intellettuali in cui ripongono la loro fiducia – gli intellettuali di riferimento del movimento dei lavoratori hanno generalmente finito con il subire sempre più l’egemonia dell’ideologia dominante, avendo dato credito al suo strumento ideologico più micidiale, costituito nel dare a intendere che il marxismo sia ormai superato dallo stesso sviluppo sociale, politico, economico e culturale.

 

Dunque le masse popolari, essendo prive di direzione consapevole, finiscono con il rimanere totalmente in balia del pensiero unico. In tal modo vengono deprivate anche di quel residuo di coscienza di classe che avevano accumulato in particolare negli anni sessanta e divengono, quindi, incapaci di riequilibrare i rapporti di forza a loro decisamente sfavorevoli a livello nazionale e internazionale. Così non possono che constatare di avere “successo” solo quando finiscono per cedere all’ideologia dominante dando vita alla guerra fra poveri, ovvero scaricando la propria rabbia sociale su chi vive in condizioni ancora più disperate, è isolato e non è in grado di reagire.

In effetti, sulla base dell’esperienza vissuta e dell’ideologia dominante subita, le masse popolari non possono che essere convinte del fatto che se mettono in questione i fondamenti dell’attuale società, a partire dai rapporti di produzione, vanno incontro a una repressione materiale e ideologica potentissima alla quale non sono in grado di resistere, visti gli attuali rapporti di forza. Anche nel caso in cui portino avanti una lotta particolarista, tradeunionistica e in ultima istanza corporativa hanno fatto generalmente l’esperienza non solo di non aver conseguito gli obiettivi che si sono date, ma non hanno ricevuto nessun incoraggiamento o attenzione da parte dell’opinione pubblica, a meno di non cadere in una qualche provocazione su cui hanno speculato i mezzi di informazione.

Al contrario, nel momento in cui hanno dato sfogo alla loro costante oppressione sui più poveri e i più deboli, per quanto si trattasse di lotte del tutto particolaristiche e corporative, si sono subito conquistate il massimo di attenzione da parte dei media e della stessa opinione pubblica, senza contare che in termini immediati la guerra fra poveri, dei penultimi contro gli ultimi, sembra pagare quasi sempre. In tal caso persino gli organi repressivi dello Stato, in altri casi sempre pronti a mostrare la loro faccia più feroce verso i subalterni, seguendo media e opinione pubblica, egemonizzati dall’ideologia dominante, finiscono per divenire tolleranti, spesso solidarizzando, anche se generalmente non in modo aperto, con i contestatori. Improvvisamente anche le forze di opposizioni, di sinistra, che ne dovrebbero rappresentare gli interessi reali, si materializzano in quelle estreme periferie che hanno ormai da decenni abbandonato, da quando si sono fatte convincere dall’ideologia dominante della necessità di superare la forma partito o di dargli una struttura il più possibile leggera, evanescente in termini di radicamento sociale.

In tali casi finiscono spesso per essere più riconosciute e apprezzate le organizzazioni di estrema destra, che sembrano porsi al servizio dell’esasperazione sociale dei penultimi, sostenendoli nella lotta contro gli ultimi, piuttosto che le forze di sinistra che solo dopo il risalto mediatico ricevuto dalla guerra fra poveri si materializzano improvvisamente nei quartieri popolari con manifestazioni antirazziste e antifasciste, che hanno al contrario scarsissima copertura mediatica, finendo generalmente per sparire di nuovo appena i riflettori si spengono.

 

Allo stesso modo dinanzi a una sinistra che ha generalmente rinunciato a cercare di dare un’identità di classe agli oppressi e sfruttati e di indicare a essi un’alternativa credibile e praticabile allo stato di cose esistente, sempre più intollerabile per le masse popolari, è chiaro che finiscano per apparire più credibili i populisti e demagoghi, che offrono un’identità nazionale e razziale e indicano delle alternative che, per quanto reazionarie e distopiche possano essere, appaiono decisamente più credibile e praticabili, non fosse altro per il costante risalto che trovano nei mezzi di comunicazione di massa che, anche quelli più di “sinistra”, gli fanno sempre più da cassa di risonanza.

 

Gli stessi princìpi democratici a cui generalmente si appellano le forze di sinistra – che si contrappongono alle forze della destra radicale le quali si appellano, di contro, al nazionalismo più o meno sovranista o xenofobo – finiscono con l’apparire alle masse subalterne delle armi del tutto inefficaci ed evanescenti, come rischiano di esserlo i richiami alla Costituzione del 1948, prodotto di un’epoca storica e di rapporti di forza completamente diversi da quelli attuali. Tanto più che non solo l’ideologia dominante, ma spesso le stesse forze di “sinistra” riducono in senso liberale la democrazia a un sistema di governo in cui il potere legislativo è demandato principalmente ad assemblee legislative elette di tanto in tanto. Del resto, con il venir meno di un partito comunista radicato fra le masse, queste ultime non hanno più fatto esperienza della reale democrazia partecipativa, quale potere delle masse popolari di contro al governo degli oligarchi, e hanno finito col convincersi, di quanto per altro non fa che ripetere il pensiero unico, ovvero che democrazia significhi delegare immediatamente la sovranità popolare a rappresentanti di coalizioni sempre più omologate, tanto da apparire mere fazioni del partito dell’ordine costituito, del quale condividono tutti i principali presupposti ideologici.

In tal modo, ad apparire realmente alternativi alle masse popolari prive di coscienza di classe sembrano unicamente i partiti populisti e demagogici, generalmente xenofobi e, dunque, di fatto espressioni della destra più o meno radicale. Tanto più che le stesse masse popolari in questa situazione tendono a subire anch’esse una inevitabile metamorfosi, da proletariato moderno, da classe potenzialmente universale e rivoluzionaria, alla vecchia plebe sempre all’opra china senza ideali in cui sperar. Anche perché le masse popolari sono potenzialmente rivoluzionarie solo se non hanno altro da perdere, nell’attuale società, che le loro catene, mentre se si riproduce una classe di nuovi schiavi sono destinate a essere retrocesse alle antiche plebi che, per quanto subalterne, vivevano in una condizione privilegiata nei confronti degli schiavi.

 

Tali nuove plebi, che hanno perso speranza nella democrazia, per come è stata ridotta dai liberali a strumento di egemonia per nuove aristocrazie – esemplare da questo punto di vista il parlamento europeo eletto a suffragio universale, ma privo di qualsiasi reale potere –, prive al contempo di spirito d’utopia e di principio speranza in una società più giusta e razionale dell’esistente, come la socialista, a cui gli intellettuali di “sinistra” per primi non credono più da un pezzo, divengono facili prede di demagoghi che rivendicano la possibilità di riconquistare la sovranità perduta, anche se secondo modalità per lo più illusorie, in quanto anche dal punto di vista storico decisamente residuali.

In altri termini nel momento in cui la “sinistra” rivendica di voler difendere una sovranità popolare nei fatti inevitabilmente smentita dalla natura non solo classista, ma anche oligarchica della società liberale, finisce per apparire ben più credibile e realizzabile la restaurazione di una presunta sovranità nazionale. Quest’ultima è senza dubbio una prospettiva mistificante e illusoria, in quanto dà a intendere che possa esistere una reale sovranità nazionale in una società non solo divisa in classi, ma che tende inevitabilmente ad accentuare tale divaricazione. Del resto, basterebbe un minimo di reale memoria storica per ricordare che su tale mistificazione demagogica si basava il consenso popolare che ha permesso – al di là dei finanziamenti delle classi dominanti e del sostegno ricevuto in primis dagli apparati repressivi dello Stati – al nazionalsocialismo e più in generale ai fascismi di conquistare il potere.

 

In effetti, non bisogna mai dimenticare che il nazismo si è presentato e ha costruito il proprio consenso richiamandosi sin dal nome a un socialismo rifondato su basi nazionali per gli operai e, più in generale, per i lavoratori che avevano sperimentato quanto fosse mistificante la promessa della liberaldemocrazia e della stessa socialdemocrazia di realizzare un reale sovranità popolare. Del resto, viste le difficoltà apparentemente insormontabili di conquistare un effettivo potere lottando contro le classi dominanti, non poteva e non può che apparire più credibile e praticabile l’obiettivo di riconquistare un minimo di potere alleandosi con esse di contro ai più deboli, alle minoranze, agli stranieri e ai paesi stranieri più deboli e arretrati.

 

Presupposto del successo di tali forze demagogiche è la sconfitta storica dei comunisti, a opera di liberaldemocratici e socialdemocratici, che ha reso poco credibili e praticabili agli occhi delle masse popolari le parole d’ordine dei primi, la cui debolezza ha inoltre fatto emergere, anche al bassissimo livello della coscienza comune, che la sovranità popolare promessa dai vincitori era una pura illusione mistificatoria.

 


Credits: https://www.conoscenzealconfine.it/meno-stato-uguale-meno-sovranita-e-quindi-meno-democrazia/

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