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25 Settembre 2019

 

Il mito della fondazione

di Niccolò Barca

 

La risoluzione votata dal parlamento europeo che associa nazismo e comunismo dimostra che riscrivere il passato serve a disegnare il presente, fossilizzando un'Europa neoliberista e in tensione con i paesi dell'est

 

Il 19 settembre il parlamento europeo ha votato una risoluzione intitolata «Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa». Nel testo, votato da un’ampia maggioranza, si corona un lungo processo di revisionismo storico volto a equiparare il nazismo al comunismo, attribuendo alla Germania e all’Unione Sovietica una colpa condivisa per il massacro barbarico che fu la Seconda guerra mondiale. Questa semplificazione manichea ha lo scopo implicito di porre l’Unione Europea e la Nato, che il testo non a caso sposa nel concetto di «famiglia europea», dalla parte di chi si è sempre sacrificato e sempre si sacrificherà in difesa «della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza». 

Questa rinnovata missione civilizzatrice, come ogni progetto politico-sociale, necessita di un mito di fondazione, ed è in questa chiave che bisogna leggere il tentativo odierno di riscrivere la storia. Non è un caso se nel testo si legge che «l’Unione Europea ha una responsabilità particolare nel promuovere e salvaguardare la democrazia e il rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto, sia all’interno che all’esterno del suo territorio». Predestinazione cristiana e universalismo illuminista, elementi fondanti del colonialismo europeo, tornano così a giustificare le azioni più brutali della storia contemporanea dell’Ue e dei suoi membri: le bombe, i campi di concentramento, il neo-colonialismo. 

Distorcendo la memoria, inevitabilmente si finisce per distorcere il presente. Questo non avviene necessariamente con un disegno ben preciso, ma come risultato di una profonda ignoranza storica e un viscerale odio verso tutto ciò che è ideologico. Equiparando il nazismo al comunismo, questa risoluzione dipinge l’attuale assetto liberale e liberista dell’Ue come una necessità storica, negando non solo il ruolo che il comunismo ha avuto nella liberazione dal dominio nazi-fascista ma la complicità delle classi dirigenti europee nella sua presa di potere. 

Con la consueta sfacciataggine degli ignoranti, la risoluzione promette di «mantenere vivo il ricordo del tragico passato dell’Europa, onde onorare le vittime, condannare i colpevoli e gettare le basi per una riconciliazione fondata sulla verità e la memoria». La dicotomia tra vittime e colpevoli, che a Norimberga ebbe la sua più completa manifestazione, è da sempre una mistificazione di una storia ben più complicata. Ma annoverare l’Unione Sovietica tra i colpevoli non è mistificazione, è una vergognosa falsità storica. Affermare che la Seconda guerra mondiale è una «conseguenza immediata» del patto Molotov-Ribbentrop nasconde il fatto che nei due anni precedenti le potenze democratiche avevano rifiutato ogni tentativo da parte dei Sovietici di mettere in piedi un’alleanza in funzione anti-nazista. Non solo, ma il fervente anti-comunismo delle classi dirigenti Francesi e Britanniche permeava la strategia di appeasement grazie alla quale Hitler aveva conquistato mezza europa e ricostruito un esercito distruttivo prima ancora che la guerra fosse cominciata. Hitler, nonostante i campi di concentramento per oppositori politici, le annessioni centro-europee, le leggi razziali contro minoranze religiose ed etniche di cui tutti erano a conoscenza, rimaneva un baluardo contro il bolscevismo. 

Il patto Molotov-Ribbentrop resta una testimonianza esemplare di cinismo geo-politico, ma fu sempre immaginato solamente come una tregua momentanea: i Sovietici erano ben consci che prima o poi Hitler avrebbe rivolto le sue truppe verso est. Quando ciò accadde, due anni dopo, sul confine orientale morirono metà di tutti i 70 milioni di caduti della Seconda guerra mondiale, ponendo fine alle conquiste naziste e cambiando le sorti della guerra. Di questo sacrificio, in un testo che sottolinea l’importanza del ricordo del nostro «tragico passato», non vi è traccia. È cosí che si riscrive la storia: il paese che ha perso il 14% della sua popolazione combattendo la brutalità nazista viene trasformato in causa del suo male. E che piangano se stessi. 

La falsificazione del passato è uno dei tratti distintivi dei totalitarismi contro i quali si scagliano questi tutori della verità, e ha sempre servito lo scopo di descrivere lo status-quo come una circostanza naturale e immutabile. Questa risoluzione, firmata da una classe dirigente in fase di riassestamento e in cerca di un’identità collettiva, ha precisamente questo risultato: denigrare il ruolo dell’ideologia comunista nella storia dell’ultimo secolo, ergendo cosí il sistema liberal-capitalista, qui identificato nell’Ue e nella Nato, a paladino mondiale dei valori di eguaglianza, libertà e democrazia. 

È in nome di questi valori che la risoluzione invita implicitamente a proseguire la censura anti-comunista ormai nota in molti paesi dell’ex-blocco sovietico e non solo, gli stessi nei quali si onorano i soldati morti a fianco dei nazisti o in cui i partiti di governo (gli stessi che hanno votato questo testo) si macchiano di anti-semitismo. Ma la missione non finisce qui. Dopotutto, la promozione dei valori democratici che contraddistinguono l’Ue non si limita ai propri confini, ma va perseguita anche «all’esterno del suo territorio». In particolare, il testo invita «la società russa a confrontarsi con il suo tragico passato», affermando che uno stato democratico non potrà nascere finchè ciò non accada. 

Questa frase, parte di una condanna complessiva della Russia contemporanea, rientra pienamente nella crescente ostilità dell’Ue verso il suo vicino orientale. Basti pensare che la nuova presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, viene da sei anni come ministra della difesa tedesca, dove ha presieduto un riarmamento massiccio e incoraggiato la formazione di una cooperazione militare a livello europeo e un rafforzamento del ruolo della Nato, entrambe in chiave anti-russa. 

Ma non è e non sarà la Russia l’unico destinatario della missione civilizzatrice che questo testo radica nella storia del progetto europeo. Se c’è una verità da salvare nella risoluzione approvata, è che la memoria è fondamentale per una comprensione della nostra società e del futuro verso il quale si può dirigere. Cancellando il valore emancipatorio, internazionalista ed egalitario che l’ideologia comunista – che è cosa ben diversa dallo stalinismo – ha impresso sulla costruzione e l’evoluzione della comunità europea, il Parlamento ha diminuito le già scarse possibilità che questi principi siano al centro di un progetto condiviso per il futuro. Dall’altra parte, rifiutandosi di confrontare onestamente il proprio «tragico passato» – quello coloniale e imperialista, quello della soppressione dei diritti sociali e del lavoro – l’Ue si condanna a ripetere i soprusi del passato. 

 


Niccoló Barca è un giornalista freelance. Studia nel dipartimento di Media e comunicazione dell’Università di Goldsmiths, Londra. Si occupa di movimenti sociali e partecipazione politica.

 

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