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19 gennaio 2019

 

Il vero rompicapo della Brexit si chiama Irlanda del Nord (e provateci voi a risolverlo) 

di Andrea Fioravanti

 

L’area di libero scambio tra Dublino e Belfast si attiverà in ogni caso. Ecco il problema che angoscia Theresa May: le dogane riaprirebbero la stagione di terrorismo, i pro Brexit temono di rimanere per sempre nel mercato unico, i nordirlandesi unionisti non vogliono favoritismi

 

Theresa May è caduta in piedi ma ora non sa più dove andare. Il 15 gennaio la Camera dei comuni ha bocciato il suo accordo per uscire dall’Unione europea (432 no, 232 sì) e per soli 20 voti è sopravvissuta alla mozione di sfiducia presentata dall’opposizione laburista per rimuoverla dall’incarico. La premier del Regno Unito è ancora alla guida del governo, ma sulla Brexit è costretta a ricominciare tutto da capo. La peggior sconfitta di sempre nella storia del Parlamento inglese ha chiarito tre cose: l’accordo siglato con Bruxelles non ha (e non avrà) una maggioranza, tutti vogliono evitare il no-deal, nessuno ha un’alternativa concreta. In questi giorni la premier ha fissato incontri con i laburisti e gli altri piccoli partiti della Camera dei comuni per trovare una soluzione. In attesa del nuovo voto del 29 gennaio l’Europa e il resto del mondo guardano con preoccupazione questo gioco al massacro di veti incrociati. La Brexit è diventata uno stallo alla messicana: ma tutti hanno la pistola scarica. E il 29 marzo Londra rischia di lasciare l’Unione europea senza nessun tipo di accordo. Tra voti e veti sul negoziato, sfiducie e isterie collettive in salsa british, si è perso nel dibattito pubblico europeo il segreto di pulcinella della Brexit, l’unico e vero rompicapo irrisolvibile: il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord.

 

La parolaccia che nessuno vuole pronunciare ad alta voce, ma tutti conoscono è “backstop”, ovvero un accordo stipulato da Londra e Bruxelles nella prima fase dei negoziati, nel dicembre 2017. Il testo garantisce un’unione doganale di emergenza tra Irlanda e Irlanda del Nord in caso di un mancato accordo formale tra Unione europea e Regno Unito dopo il 29 marzo. Tradotto: in caso di no deal non ci saranno dogane alla frontiera con l'Irlanda, ma saranno controllate solo le merci dirette in Scozia, Galles e Inghilterra e viceversa. Di fatto è come se l'Irlanda fosse unita e il confine inglese si fosse spostato sul mare, e per ritirarsi da questa unione doganale speciale serve il consenso di entrambe le parti. Questo è l’unico vero problema politico: i pro Brexit non vogliono una zona grigia per paura di rimanere per sempre nell’area doganale europea e non accettano di rispettare i regolamenti Ue, così da poter stringere accordi commerciali con gli altri Paesi del mondo a mani libere, senza dover far attenzione ai lacci e lacciuoli burocratici che la legano ancora a Bruxelles. La spiegazione delle tensioni degli ultimi mesi sta tutta qui.

 

L’obiettivo generale del backstop è evitare il ritorno di dogane e posti di blocco nei 499km di confine nordirlandese, anche per non riaprire nuova stagione di terrorismo che ha provocato oltre tremila morti dal 1960 al 1990

 

Durante il negoziato l'Irlanda ha voluto il backstop per evitare il ritorno di dogane e posti di blocco nei 499km di confine con il Regno Unito anche per non riaprire una nuova stagione di terrorismo che ha provocato oltre tremila morti dal 1960 al 1990, 14 solo il 30 gennaio 1972, soprannominato per questo il “Bloody Sunday”. Dal 1998 esiste un accordo, il Good friday agreement, voluto da Londra e sostenuto da Bruxelles per rassicurare quella parte consistente di cattolici nordirlandesi che a differenza dei loro concittadini protestanti non vuole rimanere nel Regno Unito e sogna di tornare nella Repubblica d’Irlanda. 

 

Nell’Unione europea senza confini, si era detto, non ha senso continuare a farsi del male. Se ci pensiamo, non è una logica così diversa da quella usata per convincere gli independentisti altoatesini: infatti il Trentino Alto Adige grazie al progetto Euregio e i fondi europei intrattiene più rapporti economici con l’Austria rispetto al resto d’Italia.

Ricapitolando: se non si troverà un accordo, si attiverà il backstop, se verrà votato l’accordo di May per due anni l’Irlanda del Nord rimarrà comunque in questa zona grigia. I nordirlandesi indipendentisti non vogliono confini e dogane con Dublino per evitare una nuova stagione di terrorismo (come ha ricordato l’ex premier irlandese John Bruton), i conservatori inglesi hanno paura che questa zona di libero scambio tra le due irlande farà tornare tutto come prima annullando di fatto l'esito del referendum del 2016. Mentre il Partito unionista irlandese (Dup), strategico per la sopravvivenza del governo May, non vuole favoritismi e status di mercato diversi rispetto a Galles, Scozia e Inghilterra, le altre quattro nazioni costitutive del Regno Unito. E in tutto questo il partito nazionalista scozzese (Snp) ha minacciato un nuovo referendum se avrà un trattamento doganale diverso rispetto all’Irlanda del Nord. Avete il mal di testa? Figuratevi Theresa May che ha chiesto un incontro con il laburista Jeremy Corbyn. Il leader dell’opposizione ha rifiutato qualsiasi dialogo se prima la premier non toglierà dal tavolo l’opzione di no deal, ma May ha risposto che è impossibile.

 

Ci sono tre opzioni: no deal, ma questo danneggerebbe soprattutto i britannici. Secondo, cercheranno un accordo migliore per rivotarlo in Parlamento, ma non c’è margine e noi difenderemo gli interessi europei. Terzo chiederanno che si sposti la data di uscita per rinegoziare dopo le elezioni europee - Emmanuel Macron

 

Un indizio su come potrebbe andare a finire l’ha dato il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron il 16 gennaio, durante un incontro con seicento sindaci in Normandia, nel giorno in cui ha varato il suo Grande Dibattito nazionale. “Ci sono tre opzioni: no deal, ma questo danneggerebbe soprattutto i britannici. Secondo, cercheranno un accordo migliore per rivotarlo in Parlamento, ma non c’è margine e noi difenderemo gli interessi europei. Terzo chiederanno che si sposti la data di uscita per rinegoziare dopo le elezioni europee”. Ottenere più tempo sfruttando una nuova maggioranza in Europa con cui trattare sembra l'unica strategia possibile, ma è l’unica cosa su cui i brexiters più intransigenti e gli eurofili non sono d’accordo. L'eurodeputato capogruppo dell'ALDE (liberali) e coordinatore del Parlamento Europeo sulla Brexit, Guy Verhofstadt, ha twittato: “Per noi è impensabile che l'articolo 50 sia prolungato oltre le elezioni europee”. Anche l’ex ministro degli Esteri Boris Johnson ha detto ieri che sarebbe “vergognoso” un periodo ulteriore di transizione: “Il 29 marzo è una "data totemica" per la Brexit ed è l'unico fatto a cui il pubblico è stato in grado di appigliarsi". Come si fa ad accontentare tutti? In attesa del voto alla Camera del 29 gennaio May cercherà una soluzione politica a questo rompicapo. Anche se finora è servita a molto la sua laurea in Geografia.

 

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