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9 febbraio 2019 

 

L’altezza della sfida

di Sergio Cararo

 

Magari non diventeremo più popolari e simpatici per molti, ma le cose che vanno dette… vanno dette.

 

Rimaniamo spesso basiti dalla distanza stellare tra le cose importanti che accadono intorno a noi e la scarsa consapevolezza che registriamo negli ambiti politici “a sinistra”.

Abbiamo fatto un giornale proprio per fornire quasi quotidianamente informazioni, spunti, documenti, interventi che fossero utili a far alzare lo sguardo dal dito e indirizzarlo verso la luna, per permettere di vedere l’insieme della foresta e non solo l’albero. Talvolta ne veniamo scoraggiati, altre volte gratificati. Motivo per cui non intendiamo mollare su quella che riteniamo la funzione emancipatrice di un giornale.

 

In questi giorni abbiamo pubblicato una serie di articoli (qui, qui, qui, qui, qui, ecc) che hanno fornito materiali preziosi sulle dimensioni e le conseguenze del declino economico della Germania e dell’Europa.

 

Perché sono importanti?

Perché l’Italia ha scoperto di essere in recessione, pesante, e lo è proprio perché da venticinque anni governi e imprese hanno scelto di essere funzionali alla filiera produttiva tedesca.

 

In nome di questa subalternità hanno affossato il mercato interno e sposato interamente il modello mercantilista fondato sulle esportazioni. In nome di questo sono state lasciate chiudere o svendere industrie strategiche e privatizzate reti di servizi altrettanto strategici.

Ma se ordinativi ed export calano anche per la Germania è conseguenza ovvia che in Italia le cose vadano anche peggio. Una catena del valore così strutturata diventa una catena che strozza, soprattutto le economie più deboli e dipendenti.

 

La gabbia dell’eurozona e i relativi vincoli di bilancio, i cambi fissi e i diktat della Bce hanno contribuito poi a far danni, e molto seri. E questo è avvenuto scientemente nel nostro paese con la complicità dei governi di centro-sinistra, centro-destra ed ora continua con le sceneggiate del governo gialloverde.

 

In questo modo si finisce nel baratro, e il terrorismo sui pericoli dell’uscita dall’eurozona non basterà più a impedire che molti si pongano le domande oggi demonizzate. E un aspetto del baratro è rappresentato anche dalla disgregazione che verrà prodotta da quella “autonomia differenziata” delle regioni più ricche del Nord Est (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) attirate proprio dal magnete tedesco fino a diventare una sorta di Baviera del sud.

 

Infine, ma non per importanza, si sta consumando sotto i nostri occhi, nuovamente potremmo dire, una forsennata complicità con un colpo di stato in Venezuela che vede impegnate le massime autorità istituzionali e i tutti i partiti politici di destra, di centro e di “sinistra”. Solo in alcuni settori della sinistra ormai extraparlamentare si ritrovano parole chiare e forti di condanna del golpe e di sostegno ad un governo progressista, rivoluzionario e democratico, contraddittorio ma coerente, come quello in Venezuela.

Eppure, se andiamo a indagare la discussione nelle assemblee, nei meeting, nei tavoli che stanno discutendo delle elezioni europee, se vediamo la piattaforma della manifestazione di Cgil Cisl Uil, si parla di tutt’altro, ci si incaglia in piccolezze insignificanti, ci si incarognisce sul “mettersi con chi?” piuttosto che sul “per fare cosa?”.

 

In questi ultimi giorni, per esempio, abbiamo visto Fassina (di Sinistra Italiana) presentare il progetto di Sovranità Costituzionale, ma occhieggiando al M5S. Il resto del suo partito si divide tra chi guarda alla “nuova ditta” di Zingaretti e chi vorrebbe stare nell’alleanza con De Magistris.

 

Per fare cosa?, vorremmo chiedere e sapere. Per quali obiettivi entrare in campo e cercare di dare alla nostra gente una alternativa ad un quadro esistente dalle prospettive economiche, sociali e civili fosche?

 

Alcuni giorni fa il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ha rilasciato una attesa dichiarazione sul Venezuela. Alcuni compagni l’hanno ritenuta troppo cerchiobottista rispetto a quanto andrebbe invece detto con chiarezza. Ci sentiamo di affermare che la dichiarazione sul Venezuela rilasciata da De Magistris a una televisione, se è fatta come sindaco di Napoli, è più di quanto uno si possa aspettare di questi tempi. Sul piano istituzionale sarebbe una delle pochi voci fuori dal coro filogolpista.

 

Ma questo diventa un problema se De Magistris si candida come leader politico nazionale di una alleanza alternativa. In questo caso quella dichiarazione è molto meno di quanto sarebbe necessario. In questi giorni abbiamo visto sul Venezuela dichiarazioni dell’Anpi o un articolo di Luciana Castellina più coraggiosi e avanzati.

 

Sta in questo la contraddizione da cui siamo partiti. C’è una distanza troppo grande tra la posta in gioco e le opzioni politiche e/o personali che si candidano a voler rappresentare la rivincita dei poveri e di quelli che stanno in basso. Se ci si deve misurare con i problemi strategici che ormai incombono come quotidianità, occorre sapersi collocare all’altezza della sfida. Per farlo servono scelte politicamente coraggiose, magari anche apparentemente divisive nel breve periodo, ma che forzino un presente del tutto inadeguato.

 

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