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4 Giugno 2019

 

Emergenza Venezia!

di Mattia Bertin

 

Il disastro sfiorato domenica mostra ciò che chi si oppone alle grandi navi dice da anni. Prima che sia troppo tardi, bisogna smettere di trattare l'antica città lagunare come un parco tematico utile al profitto, per tornare a considerarla una città reale 

 

Tra i tanti video che stanno girando sullo sfiorato disastro di domenica a Venezia, che ha visto una nave dell’MSC raschiare la banchina di San Basilio rischiando di sfondare le Zattere ed entrare nei palazzi di Dorsoduro, ve ne è uno in particolare in cui sentiamo un alto ufficiale urlare via radio  «Emergenza emergenza emergenza!» 

Il video è interessante, oltre per il punto di vista privilegiato che ci consente di cogliere come l’enorme nave Opera stesse per distruggere decine di palazzi affacciati in uno degli angoli più antichi e importanti di Venezia, per questa parola ripetuta tre volte. La parola emergenza infatti ha più che mai senso in un fatto del genere, così prevedibile e così a lungo denunciato da chi si oppone alle mastodontiche crociere nell’antica città lagunare. La parola emergenza, infatti, deriva dal latino ex-mergo, ossia venire a galla, uscire dalle acque. L’emergenza in questo caso non è solo l’evidenza che siamo nella merda, ma riguarda anche il fatto che una nave alta tre volte la città sta per uscire dall’acqua come un mostro marino per divorare la città che pensava di controllarla e, infine, riguarda una verità che viene a galla, che emerge: è pericolosissimo far circolare un mezzo di quella potenza in un ambiente così delicato.

Come già purtroppo per Fukushima o Chernobyl siamo di fronte al verificarsi di un rischio più volte denunciato da chi si appassiona alla continuità della vita umana su questo pianeta, i cosiddetti ambientalisti (qui in Veneto termine spesso considerato con accezioni molto negative). La lotta del movimento No Grandi Navi, per cui molti abitanti della città lagunare spendono tempo e energie da più di un decennio, ha purtroppo trovato un esempio clamoroso di una verità che tanti non volevano accettare: la sfiga esiste, e per quanto si possa preparare un sistema molto pericoloso con strumenti di sicurezza, può venire il giorno in cui falliscono tutti.

La bravura del personale alla guida dei rimorchiatori ha permesso di evitare il dramma: la nave Opera era lanciata con i motori in spinta verso destra e, se non avessero operato con grandissimo coraggio deviandola, sarebbe sicuramente affondata nel Sestiere fino a esaurire la propria spinta, passando attraverso case private, musei e chiese di cui la zona è piena fino a saziarsi. È solo per un caso fortuito che il mostro non si è trovato davanti barche di piccole dimensioni, e solo per grandissima fortuna non ha schiacciato il battello fluviale ormeggiato dove ha terminato la propria corsa.

La verità che emerge però oggi è che Venezia non può essere trattata come un parco tematico, dove le attrazioni sono finte, non ci vive nessuno, le giostre circolano su binari, i percorsi visibili sono solo piccole porzioni di un mondo non visibile che garantisce la continuità dell’esperienza. Venezia, con buona pace di chi la sta sfruttando senza rispetto, non solo non merita di essere ridotta a parco tematico, ma come tale non può funzionare proprio per la sua inevitabile complessità di città reale. Pensare di farvi circolare le grandi navi è solo il primo affiorare di questa emergenza, che riguarda il diritto degli abitanti a viverci senza essere vessati dalla speculazione, il dovere della città e dello Stato di contenere gli interessi privati, la necessità di ridisegnare le modalità per i turisti di accedere a una città che deve tornare a vivere prima che sia troppo tardi.

L’evento di domenica lo attendevamo con certezza, definirlo una sorpresa è una sciocchezza, e chi ha rifiutato di occuparsene dovrebbe pagare il disastro che poteva causare, a partire dal Sindaco, il Prefetto, il Presidente della Regione e il Ministro dei Trasporti. Si è permesso squallidamente a interessi privati di giocare con la vita di una città e dei suoi abitanti fingendo che tutto fosse perfettamente sicuro, ma in realtà ogni volta è una roulette russa. 

Contemporaneamente è il momento di affrontare le altre grandi emergenze di Venezia: lo spopolamento, l’abbandono dei palazzi pubblici e privati all’usura, la difficoltà di svolgere una qualsiasi occupazione reale per via dei prezzi e dei divieti e, non ultimo, i rischi portati dal cambiamento climatico a un ecosistema così fragile. Rispondere alla chiamata di emergenza dell’ufficiale disperato via radio non significa spostare il problema in un canale esterno alla Giudecca, inquinando ulteriormente e in maniera irrecuperabile la Laguna, ma prendere in carico le sorti della città, ripensarne il senso e la sua vita all’interno, dimenticando per un attimo il suo valore turistico-capitalistico, e ricordandosi che è e deve essere prima di tutto il luogo dove vivono i suoi abitanti.

 

Mattia Bertin è ricercatore presso lo Iuav di Venezia e si occupa di strumenti per il governo e la pianificazione dei grandi rischi in uno scenario di cambiamenti climatici.

 

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