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4 febbraio 2019

 

Addio al dollaro

di Chris Hedges

traduzione di Giuseppe Volpe

 

La presidenza inetta e corrotta di Donald Trump ha inconsapevolmente scatenato il colpo fatale all’impero statunitense: l’abbandono del dollaro come principale moneta di riserva del mondo. Nazioni in giro per il globo, specialmente in Europa, hanno perso la fiducia che gli Stati Uniti agiscano razionalmente, e ancor meno guidino, in temi di finanza, commerci, diplomazia internazionali e guerra. Queste nazioni stanno silenziosamente smantellando l’alleanza con gli Stati Uniti durata sette decenni e costruendo sistemi alternativi di scambi bilaterali. Questa riconfigurazione del sistema finanziario mondiale sarà fatale all’impero statunitense come hanno da tempo segnalato lo storico Alfred McCoy e l’economista Michael Hudson. Avvierà una spirale economica mortale comprendente un’elevata inflazione che renderà necessaria una massiccia contrazione dell’esercito all’estero e precipiterà gli Stati Uniti in una prolungata depressione. Trump, anziché rendere gli Stati Uniti di nuovo grandi e risultato essere, inconsapevolmente, il becchino più aggressivo dell’impero.

L’amministrazione Trump ha capricciosamente sabotato le istituzioni globali, comprese NATO, Unione Europea, Nazioni Unite, Banca Mondiale e FMI, che offrono copertura e danno legittimità all’imperialismo e all’egemonia economica globale degli Stati Uniti. L’impero statunitense, come afferma McCoy, è sempre stato un ibrido di imperi del passato. Ha sviluppato, scrive, “una forma distintiva di governo globale che ha incorporato aspetti di imperi precedenti, antichi e moderni. Questo unico impero statunitense è stato ateniese nella sua abilità nel forgiare coalizioni tra alleati; romano nella sua dipendenza da legioni che hanno occupato basi militari nella maggior parte del mondo conosciuto; e britannico nella sua aspirazione a fondere cultura, commercio e alleanze in un sistema omnicomprensivo che ha coperto il globo”.

Quando George W. Bush ha invaso unilateralmente l’Iraq, sfidando la dottrina della legge internazionale sulla guerra preventiva e ignorando proteste di alleati tradizionali, ha dato il via alla rottura. Ma Trump ha aggravato le crepe. Il ritiro dell’amministrazione Trump dall’accordo del 2015 sul nucleare iraniano, anche se l’Iran aveva rispettato l’accordo, e la pretesa che anche le nazioni europee si ritirassero o subissero sanzioni statunitensi, ha visto nazioni europee disertare e creare un sistema alternativo di scambi monetari che esclude gli Stati Uniti. L’Iran non accetta più il dollaro per il petrolio sui mercati internazionali e l’ha sostituito con l’euro, non un fattore minore della profonda animosità di Washington nei confronti di Teheran. Anche la Turchia sta abbandonando il dollaro. Gli Stati Uniti chiedono che la Germania e altri stati europei smettano di importare gas russo e analogamente hanno visto gli europei ignorare Washington. Cina e Russia, tradizionalmente antagoniste, stanno ora operando in tandem per liberarsi dal dollaro. Mosca ha trasferito nello yuan cinese, nello yen giapponese e in euro 100 miliardi di dollari delle sue riserve. E, altrettanto profeticamente, governi stranieri dal 2014 non conservano più le loro riserve auree negli Stati Uniti o, come nel caso della Germania, le trasferiscono dalla Federal Reserve. La Germania ha rimpatriato le sue 300 tonnellate di lingotti d’oro. L’Olanda ha rimpatriato le sue 100 tonnellate.

L’intervento statunitense in Venezuela, la potenziale guerra commerciale con la Cina, il ritiro da accordi internazionali sul clima, l’abbandono del trattato sulle Armi Nucleari a Medio Raggio (INF), la paralisi a Washington, il dirompente blocco della spesa governativa [shutdown] e le accresciute ostilità con l’Iran presagiscono guai per gli Stati Uniti. La politica estera e finanziaria degli Stati Uniti è ostaggio dei bizzarri capricci di ideologi ritardati quali Mike Pompeo, John Bolton e Elliott Abrams. Questo garantisce ulteriore caos globale e accresciuti sforzi di nazioni di tutto il pianeta per affrancarsi dalla morsa economica che gli Stati Uniti hanno efficacemente messo in atto dopo la Seconda Guerra Mondiale. E’ solo questione di quando, non di se, il dollaro sarà accantonato. Che sia stato Trump, assieme ai suoi compagni ideologi di estrema destra, a distruggere le strutture internazionali messe in atto dai capitalisti globali, anziché i socialisti per schiacciare i quali quei capitalisti hanno investito enormi risorse, è tristemente ironico. Lo storico Ronald Robinson ha sostenuto che il dominio imperiale britannico è morto “quando i dominatori coloniali sono rimasti privi di collaboratori indigeni”.  L’esito, ha indicato, è stato che “l’inversione della collaborazione in non cooperazione ha in larga misura determinato il momento della decolonizzazione”. Questo processo di alienazione di tradizionali alleati e collaboratori degli Stati Uniti avrà lo stesso effetto. Come segnala McCoy “tutti gli imperi moderni sono dipesi da surrogati affidabili per tradurre il loro potere globale in controllo locale, e per la maggior parte di essi il momento in cui tali élite hanno cominciato a risvegliarsi, a rimbeccare e ad affermare i loro propri programmi è stato anche il momento nel quale sapevano che il collasso dell’impero era nelle carte”.

Il dollaro, a causa dell’astronomico debito governativo oggi a 21 trilioni, un debito che sarà aumentato dai tagli alle imposte di Trump che costeranno al Tesoro statunitense 1,5 trilioni di dollari nel prossimo decennio, sta diventando sempre meno affidabile. Il rapporto debito-PIL è oggi superiore al cento per cento, un allarme rosso lampeggiante per gli economisti. Il nostro massiccio deficit commerciale dipende dal collocare all’estero titoli del tesoro. Una volta che tali titoli perdono valore e non sono più considerati un investimento stabile, il dollaro subirà una grossa svalutazione. Ci sono segni che il processo è in corso. Le riserve delle banche centrali detengono meno dollari che nel 2004. Ci sono minori pagamenti SWIFT – il sistema di trasferimento di fondi interbancari – in dollari che nel 2015. Metà del commercio internazionale è fatturato in dollari, anche se la quota statunitense del commercio internazionale è solo del 10 per cento.

“Alla fine avremo monete di riserva diverse dal dollaro USA”, ha annunciato il mese scorso il governatore della Bank of England, Mark Carney.

Il 61 per cento delle riverse in valuta estera sono in dollari. Con la sostituzione di queste riserve in dollari con altre monete, la ritirata dal dollaro accelererà. La sconsideratezza delle politiche finanziarie statunitensi non farà che esacerbare la crisi. “Se l’indebitamento illimitato, finanziato stampando moneta, fosse una via alla prosperità”, ha detto di recente Irwin M. Stelzer dell’Hudson Institute, “allora Venezuela e Zimbabwe sarebbero in cima alle classifiche della crescita”.

McCoy spiega come sarebbe un ordine finanziario mondiale slegato dal dollaro:

“Per la maggioranza degli statunitensi gli anni ’20 di questo secolo saranno ricordati come un decennio demoralizzante di prezzi in aumento, salari stagnanti e un declino della competitività internazionale. Dopo anni di deficit in aumento alimentati da una guerra incessante in terre lontane, nel 2030 il dollaro alla fine perde il suo status speciale di moneta di riserva dominante mondiale. 

Improvvisamente ci sono aumenti punitivi dei prezzi per le importazioni statunitensi dall’abbigliamento ai computer. E il costo di tutta l’attività all’estero si impennerà anch’esso, rendendo proibitivi i viaggi sia di turisti sia di soldati. Incapace di finanziare i crescenti deficit collocando all’estero titoli del tesoro a quel punto svalutati Washington alla fine è costretta a tagliare il suo rigonfio bilancio militare. Sotto pressione in patria e all’estero le sue forze cominciano a ritirarsi in un perimetro continentale da centinaia di basi all’estero. Tale mossa disperata, tuttavia, arriva troppo tardi.

Di fronte a una superpotenza in declino incapace di pagare i suoi conti, Cina, India, Iran, Russia e altre potenze sfidano provocatoriamente il dominio statunitensi su oceani, spazio e ciberspazio.” 

Il collasso del dollaro, scrive McCoy, si tradurrà in “prezzi alle stelle, disoccupazione in continua crescita, e una continuo declino dei salari reali in tutti gli anni ’20 di questo secolo, divisioni interne che si amplificano in scontri violenti e dibattiti divisivi, spesso su temi simbolici, privi di sostanza”. La profonda delusione e la diffusa rabbia daranno spazio a Trump, o a un demagogo in stile Trump, per attaccare, forse incitando alla violenza, capri espiatori in patria e all’estero. Ma a quel punto l’impero statunitense sarà talmente sminuito che le sue minacce saranno, almeno nei confronti di quelli fuori dai suoi confini, in larga misura ininfluenti.

E’ impossibile predire quando avrà luogo questa fuga dal dollaro. Arrivati alla seconda metà del diciannovesimo secolo l’economia statunitense aveva superato la Gran Bretagna, ma non è stato che a metà del ventesimo secolo che il dollaro ha sostituito la sterlina per diventante moneta dominante nel commercio internazionale. La quota della sterlina nelle riserve valutarie delle banche centrali internazionali scese dal circa 60 per cento dei primi anni ’50 a meno del 5 per cento negli anni ’70. Il suo valore scede da più di 4 dollari per sterlina alla fine della Seconda Guerra Mondiale alla quasi parità con il dollaro. L’economia britannica finì in avvitamento. E tale scossa economica segnò per i britannici, come farà per noi, la fine di un impero.      

 


Chris Hedges è giornalista di Truthdig, vincitore del premio Pulitzer, autore campione di vendite del New York Times, docente del corso di laurea offerto dalla Rutgers University ai carcerati dello stato del New Jersey. 


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