Fonte: Comedonchisciotte

Fonte: asiatimes.com

20/08/2019

 

La guerra ibrida e le follie della storia

di Pepe Escobar

Scelto e tradotto da Markus

 

L’ultimo sogno imperiale americano è quello di costruirsi uno stato cinese vassallo

 

There must be some kind of way outta here

Said the joker to the thief

There’s too much confusion

I can’t get no relief

Business men, they drink my wine

Plowmen dig my earth

None of them along the line

Know what any of it is worth

Dev’esserci un modo di uscire di qui

Disse il giullare al ladro

C’è troppa confusione

Non riesco ad avere un attimo di pace

Gli uomini d’affari bevono il mio vino

I contadini arano la mia terra

Nessuno di loro su quella linea

Conosce il valore di tutto ciò

 

Bob Dylan, All Along the Watchtower (resa famosa da Jimi Hendrix)

Niente di meglio dei sorrisi accattivanti e pietrosi del tempio di Bayon vicino ad Angkor Wat, a Siem Reap in Cambogia, per immergerci nel vortice della storia, reimmaginando come gli imperi, nella loro eterna ricerca del potere, nascono e muoiono, di solito perché, alla, fine riescono ad ottenere proprio quella guerra che avevano sempre cercato di evitare.

 

Il Bayon era stato costruito come tempio di stato alla fine del XII secolo dall’indiscussa superstar degli imperi Khmer, Jayavarman VII. I suoi magici rilievi narranti trasmettono un mix di storia e di mitologia, mentre descrivono la vita quotidiana nella società Khmer.

Ancora oggi non conosciamo l’identità dei volti delle gigantesche sculture in pietra del tempio. Potrebbero essere una rappresentazione di Brahma o dello stesso Jayavarman, un Buddista praticante. Quello che sappiamo è che il glorioso impero Khmer, incomparabile in arte e architettura, ed anche benevolo, nel senso che il mandato del potere era basato sul rapporto del re con gli dei, aveva iniziato a dissolversi dopo il 15° secolo, smembrato dalla guerra prima contro i Tailandesi e poi contro i Vietnamiti.

 

I sorrisi di pietra “lungo tutta la torre di guardia,” esibiti come un commentario vivente sull’ascesa e la caduta degli imperi, potrebbero facilmente collegarsi, geopoliticamente e con un tocco di impermanenza buddista, ai nostri tempi turbolenti della guerra ibrida. E all’attuale Impero Americano.

 

È sempre divertente osservare come i think tank statunitensi, come lo Stratfor, il megafono della CIA, cerchino costantemente il successo indebolendo la Russia attraverso questa strategia.

 

La guerra ibrida contro la Russia era stata studiata nel 2014 su due fronti: ordinare ai petro-barboncini del Golfo Persico di far crollare il prezzo del petrolio e imporre sanzioni, dopo che la Russia si era opposta al colpo di stato, in realtà una rivoluzione colorata, a Kiev. La guerra ibrida era stata progettata a livello di Stato Profondo come strumento per tentare di sabotare l’eccezionale ripresa della Russia dopo l’elezione alla presidenza di Vladimir Putin, nel 2000.

 

L’obiettivo non dissimulato del golpe a Kiev, in stile Zbigniew Brzezinski “Grande Scacchiera,” era quello di trascinare la Russia una guerra partigiana in stile afgano.

 

Certo, la Russia ha sofferto economicamente, ma poi si è lentamente ripresa, diversificando la produzione e aumentando la sua capacità agricola. Tuttavia, la guerra ibrida assicura sempre che, una volta messe a punto le difficoltà economiche, il governo in carica diventa necessariamente impopolare. Quindi si scatenano gli imbroglioni e i traditori: Alexei Navalny in Russia, o le “proteste” ad Hong Kong, che, nei sogni dello Stato Profondo americano, dovrebbero portare ad una rivolta a Pechino.

 

Un piccolo nucleo radicale di agenti provocatori ad Hong Kong, usando i metodi fotocopia del Maidan di Kiev, segue una ferrea road map: costringere Pechino ad impegnarsi in una Tiananmen 2.0, in modo da portare così la demonizzazione globale della Cina al livello successivo.

L’inevitabile conseguenza, secondo questo scenario privilegiato, sarebbe il boicottaggio da parte dell’”Occidente,” e anche di vasti settori del Sud Globale, della Nuova Via della Seta, o Belt and Road Initiative, una strategia complessa e multilivello di integrazione economica che si è espansa ben oltre l’Eurasia.

 

Hong Kong, una risorsa irrilevante

Ad Hong Kong, tutto riguarda i soldi e poi, a livello secondario, la Cina.

Il PIL pro capite annuale della Cina è di circa 9.700 dollari. Il PIL pro capite annuale di Hong Kong è dell’ordine di quasi 49.000 dollari, superiore a quello di Germania e Giappone. Non c’è da meravigliarsi che nessuno ad Hong Kong voglia essere “come la Cina.” Quindi, il denaro è il fattore chiave nella paura che gli Hongkonghesi hanno del “dominio cinese.” Solo pochi estranei, come l’economista tailandese Chartchai Parasuk, lo sottolineano.

 

Hong Kong sta diventando sempre più irrilevante per la Cina. All’epoca delle “tigri asiatiche,” tanto lodate dalla Banca Mondiale, all’inizio della metà degli anni ’90, la quota di Hong Kong sul PIL cinese era del 27%. Oggi è un misero 2,7%.

 

Hong Kong ha continuato a perdere importanza rispetto alla Cina.

 

Il capitale si è costantemente spostato a Singapore, il cui PIL annuo pro capite è ora persino più alto di quello di Hong Kong. I salari reali attualmente sono più bassi rispetto all’inizio del decennio. E i ricchi Cinesi del continente stanno comprando tutto quello che possono, escludendo così l’Hongkonghese medio da ogni possibilità di elevazione sociale.

 

Fino ad ora, per la Cina il fascino di Hong Kong, era costituito dalla sua posizione unica di mega-porto di libero scambio, la proverbiale porta di accesso al continente ed uno dei principali mercati finanziari del mondo. Ma questo è sempre più nel passato. Shenzhen, oltre il confine, è già il principale hub tecnologico cinese e Shanghai si sta lentamente, ma inesorabilmente, configurando come centro finanziario principale.

Anche la Cina è stata colpita, in stile guerra ibrida, con una continua guerra commerciale e con sanzioni. L’ultimo “sogno” imperiale americano è quello di costruirsi uno stato cinese vassallo. Questo non ha nulla a che fare con il commercio. Non c’è logica nel voler evitare un deficit commerciale con la Cina solo per poi vedere gli stessi prodotti fabbricati in Tailandia o India. Quello che sta succedendo è piuttosto una guerra a tutto campo: tentativi di destabilizzare, e possibilmente sconfiggere, la Russia, la Cina e l’Iran, i tre centri chiave dell’integrazione eurasiatica.

 

Le nuove politiche ibride

La strategia della guerra ibrida ha creato il nostro attuale stato di guerra finanziaria. E questo, inevitabilmente, comporta una reazione. L’aver trasformato in arma il dollaro USA sta portando la Russia, la Cina e l’Iran, nonché la Turchia, la Siria e il Venezuela a mettere veramemente il turbo alla loro ricerca di possibili alternative. Queste potrebbero essere ancorate ad un paniere di merci, o potrebbe essere tutto basato sull’oro. L’astuto investitore Jim Rickards definisce la Russia, la Cina, l’Iran e la Turchia come il “nuovo asse dell’oro.”

 

Tutto ciò che geopoliticamente e geoeconomicamente accade nei nostri tempi turbolenti ha a che fare con la lotta imperiale, di vita o di morte, degli Stati Uniti contro il partenariato strategico Russia-Cina. Solo una “vittoria” totale, ottenuta con ogni mezzo ritenuto necessario, assicurerebbe la continuazione di quello che potrebbe essere definito come il Nuovo Secolo Americano.

 

E questo ci porta alla necessità di ricostruire l’assioma di Clausewitz, secondo il quale, nella versione originale, la guerra è una continuazione della politica con altri mezzi.

 

Clausewitz sosteneva che la guerra è un vero strumento politico. Ora, Clausewitz remixato dovrebbe essere: la guerra ibrida è una continuazione della politica con altri mezzi.

 

Questi mezzi ora vanno ben oltre la guerra convenzionale, com’era ai tempi dell’impero Khmer. Sono un miscuglio di guerra irregolare e cibernetica, di notizie false, attacchi della magistratura (come in Brasile), interventi elettorali e persino di “diplomazia” (del genere delle cannoniere o del blocco economico, applicata contro Iran e Venezuela).

All Along the Watchtower, la canzone, scritta da Dylan e interpretata da Hendrix all’avvicinarsi di un uragano, è un inquietante presagio di Apocalypse Now. Fischiettata lungo le pietre del Bayon che ci sorridono in modo criptico da secoli di storia che sfidano l’impermanenza, sembra veramente appropriata per la nostra epoca di guerra ibrida.

Attenzione: i cavalieri pallidi si stanno avvicinando, mentre il vento inizia ad ululare.

 


Link: https://www.asiatimes.com/2019/08/article/all-along-the-watchtower-the-follies-of-history/

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