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30 mag 2019

 

Netanyahu non ce l’ha fatta: Israele torna alle urne

di Roberto Prinzi

 

Il premier non è riuscito a formare nei tempi previsti dalla legge un nuovo esecutivo a causa del diktat del suo ex ministro della difesa Liberman di inserire nel programma di governo la sua proposta di arruolamento nell’esercito degli ultraortodossi. Nuove elezioni il prossime 17 settembre

 

Roma, 30 maggio 2019, Nena News – 

 

Alla fine il premier israeliano Benjamin Netanyahu non ce l’ha fatta a formare un nuovo esecutivo entro la mezzanotte di ieri. E così Israele sarà costretto ad andare nuovamente alle urne il prossimo 17 settembre. Dopo un dibattito lungo 12 ore, i parlamentari israeliani hanno infatti votato a favore della proposta del Likud di sciogliere la Knesset (il parlamento israeliano) e di indire nuove legislative tra tre mesi e mezzo.

La decisione di convocare nuove elezioni era apparsa ormai evidente a tutti negli ultimi giorni viste le difficoltà di Netanyahu di mettere su una maggioranza di governo (ovvero più di 60 membri sui 120 complessivi della Knesset). Uno scenario che sembrava impensabile il 9 aprile quando il premier, già 3 volte primo ministro, e i suoi alleati nazionalisti e religiosi avevano fatto incetta di voti sbaragliando le forze di opposizione (ad eccezione del neo-nato partito centrista “Blu Bianco” dell’ex capo dell’esercito Gantz che aveva ottenuto 35 seggi come il Likud di Netanyahu).

Il successo elettorale del premier è stato però effimero: negli ultimi 42 giorni a poco sono serviti i suoi tentativi di mediare tra i suoi alleati. O, più precisamente, vana è stata la sua ricerca di trovare un compromesso che avrebbe potuto soddisfare il suo alleato/rivale Avigdor Liberman, ex ministro della difesa e leader del partito di destra Yisrael Beitenu. Liberman è stato l’indiscusso protagonista di queste ultime settimane in Israele: l’impasse politica è stata infatti causata dal suo diktat di inserire tra i punti dell’agenda del futuro governo la contestata legge sull’arruolamento nell’esercito dei religiosi. Una proposta inaccettabile per i due partiti ultraortodossi (Unità della Torah e Shas), da sempre parte delle coalizioni governative messe su da Netanyahu.

Il premier ha provato fino all’ultimo a trovare un compromesso tra i tre partiti: alcune ore prima della mezzanotte di ieri – termine entro il quale avrebbe dovuto presentare al capo di stato la sua squadra di governo – il leader del Likud aveva proposto la bozza di legge di Lieberman sull’arruolamento dei religiosi chiarendo tuttavia che non avrebbe potuto garantire la sua trasformazione in legge. I religiosi avevano accettato la mossa del premier, ma non così aveva fatto Lieberman che chiedeva maggiori (e impossibili) certezze. Conscio dell’impossibilità di superare lo stallo politico, negli ultimi giorni il premier aveva provato a guardare addirittura anche ad alcuni partiti dell’opposizione nel tentativo di ottenere la maggioranza e scongiurare nuove elezioni. Ma i suoi tentativi si sono rivelati vani. Il muro contro muro tra il “laico” Yisrael Beitenu e i religiosi è durato per ore anche ieri finché non è apparso evidente a tutti che non c’era altra soluzione se non quella di votare per lo scioglimento del parlamento e indire nuove elezioni.

Visibilmente scuro in volto, il premier ha dovuto accettare la realtà dei fatti. Sul banco degli imputati è salito ovviamente Lieberman. “Avigdor Liberman è ora parte della sinistra – ha dichiarato Netanyahu con sprezzo – ha fatto cadere governi di destra. Non gli credete. Ha ingannato l’elettorato solo per avere voti. E’ la seconda volta che trascina il Paese a elezioni non necessarie a causa del suo ego politico”. Il riferimento è allo scorso novembre quando Liberman annunciò le dimissioni come ministro della difesa perché Netanyahu si era “arreso al terrorismo di Gaza”. Il premier ha poi ostentato sicurezza e, proiettandosi al 17 settembre, si è mostrato sicuro di bissare il successo. “Il popolo israeliano ha preso una decisione chiara [il 9 aprile]: ha stabilito che io sarò il primo ministro, che il Likud guiderà il governo, un governo di destra”.

Chiamato in causa, Liberman si è difeso attaccando il Likud (e quindi Netanyahu) per essersi piegato agli ultraortodossi. “Sfortunatamente andiamo a nuove elezioni a causa del rifiuto del Likud e dei partiti ultraortodossi di accettare la nostra proposta e votare la versione originale della bozza di legge [sull’arruolamento dei religiosi] in seconda e terza lettura” ha detto il leader di Yisrael Beitenu. “Noi siamo parte di un governo di destra, non di uno dell’halacha [la legge religiosa ebraica]” ha poi tuonato. Parole che hanno fatto infuriare Yaakov Litzman di Unità della Torah che sulla rete Kan ha accusato Liberman di aver portato avanti “una campagna di istigazione contro gli ultraortodossi” e “ci ha strumentalizzato per impedire che Netanyahu potesse formare un governo”.

Ad esultare per il mancato accordo sono le forze dell’opposizione (più presunta che reale per la verità). Se il “centrista” Gantz di Bianco e Blu si sfrega le mani sperando di poter guadagnare ulteriori consensi in vista del 17 settembre dopo l’exploit dello scorso 9 aprile, la sinistra sionista con la sua leader Tamar Zandberg ha fatto sapere in nottata che oggi chiederà ai laburisti (usciti con le ossa rotte dalle urne) di formare un fronte unito con il suo partito Meretz in vista delle prossime legislative. Il tentativo, ha detto Zandberg, è quello di formare un “blocco di sinistra largo e significativo affianco a quello centrista”. Duro sul suo account Facebook è Yair Lapid, co-presidente di Bianco e Blu: “Netanyahu si è arreso e alla fine ha fallito. Non è riuscito a formare un nuovo governo e ha portato il paese ad un’altra elezione che costerà miliardi. Il suo unico obiettivo è salvarsi dal carcere”. Il riferimento è ai problemi di giustizia del premier per alcuni casi di corruzione. Casi che, in attesa del 17 settembre, potrebbero tornare ad agitare le sue giornate. Nena News

 

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