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22 Ottobre 2019 

 

La crisi cilena senza soluzioni a breve. Intervista a G. Salazar

 

Intervista di Radio Análisis – Radio Universidad de Chile a Gabriel Salazar, 19 ottobre de 2019

 

Radio Universidad de Chile: Abbiamo in linea il Premio Nazionale di Storia, accademico della nostra Università, il Professor Gabriel Salazar. Buon giorno Professore come va?

Prof. Salazar: Buon giorno. Va bene, ancora.

 

Le sue valutazioni e un bilancio dei fatti accaduti ieri e nella settimana.

E’ evidente che quello che è successo ieri ha abbastanza radici nella storia. Troviamo diversi altri fatti simili nel passato. Nell’insieme si può dire che quando la cittadinanza si manifesta nella forma in cui l’ha fatto ieri, e che si trova in una situazione limite di malcontento riguardo a un determinato tipo di politiche che la classe politica o i militari hanno applicato consistentemente per un lungo periodo, si può dire che c’è una carta proporzionalità tra il grado di malcontento e la forma estrema in cui si manifesta nel contesto cittadino e il grado di scollamento delle cariche pubbliche rispetto alle aspettative cittadine. 

Io credo che in questo caso lo scollamento si è ingrandito dall’inizio del XXI secolo ed oggi è un’esplosione storica che marca una pietra miliare nello sviluppo del modello neoliberista in Cile.

Prof. Lei, tra i molti libri, è anche autore de “I Movimenti sociali in Cile”. In quel libro, ed in altri, Lei ha analizzato storicamente come si è organizzata la società civile per dare conto dei suoi malesseri. Come collochiamo quello che è successo questa settimana in questo contesto storico del nostro paese?

Senza dubbio è un caso estremo, è un momento disperato di frustrazione, di rabbia e di malcontento la cui unica via d’uscita è una manifestazione come quella che si è vista ieri, con una violenza apparentemente irrazionale. Però tutte, tutte le manifestazioni di violenza irrazionale da parte della cittadinanza, tanto di massa com’è stata quella di ieri, hanno in fondo una spiegazione razionale […]. 

In questo senso, considerando solo il XX secolo cileno, abbiamo una serie di manifestazioni di questo tipo all’inizio del XX secolo. Nel 1903 a Valparaiso, quando la cittadinanza locale del porto si prende praticamente la città per due o tre giorni, la saccheggia, l’incendia, l’attacca in modo simile a quello di ieri. A tal punto che la polizia fu sopraffatta e il governo dovette chiedere, alla Marina e alle navi straniere che stavano nel porto, di sbarcare per mettere in quel momento  un qualche tipo di ordine a Valparaiso. 

Nel 1905 è successo qualcosa di simile a Santiago. Anche lì, occupazione della capitale da parte delle masse popolari, saccheggi della capitale, utilizzazione dell’esercito in quell’occasione. Essendo stata sopraffatta la polizia locale dalle manifestazioni di piazza, i giovani delle classi alte escono in strada, specie nell’Alameda, Calle Union, Calle 18, con armi che avevano preso dalla guarnigione dell’esercito, e sparano sulla massa popolare provocando molti morti nella popolazione. 

Altro caso simile accade in Cile nel mese di gennaio, marzo e aprile del 1957 quando pure ci sono manifestazioni popolari molto di massa che occupano Santiago, tanto che il corpo dei Carabineros deve ritirarsi, generando un vuoto di ordine pubblico nella capitale e, per un paio di giorni, ci furono saccheggi sistematici della città. 

Questi esempi, solo nel XX secolo, di manifestazioni di un’esplosione sociale che si può leggere come uno dei cartelli che ho visto ieri: “Non ne possiamo più”, siamo al limite della nostra pazienza. […]. Ora, nel XXI secolo, senza dubbio, quella di ieri occupa lo stesso luogo, la stessa categoria storica dei tre casi che ho descritto per il XX secolo.

Il governo ora, per placare queste manifestazioni, opta per decretare lo stato d’emergenza costituzionale, stato d’eccezione, reagendo nello stesso modo in cui si hanno reagito nel passato le nostre autorità. Che si può dire di questo, visto che, chiaramente, non è una soluzione per i problemi della società?

Certo, giustamente, la manifestazione di ieri è un’espressione di malcontento cittadino contro il regime vigente ed il governo in esercizio. Una critica decisa e di cuore diretta all’elite che sta governando questo paese in questo momento. 

Ora, la Costituzione, le tre Costituzioni che abbiamo avuto nella nostra storia, tutte e tre sono state illegittime, senza partecipazione cittadina. È perciò che queste Costituzioni non prevedono in questi casi alcun dialogo tra l’autorità pubblica e la cittadinanza che possa esprimere in maniera ordinata, libera e informata quello che non le piace e che tipo di cambiamenti vuole. 

In mancanza di questo, la Costituzione illegittima da al governo la possibilità di mobilitare l’esercito per difendere il governo stesso. È per questo che si difende la costituzionalità. È quello che è successo in questo caso. È per questo che il Presidente Piñera ha trattato fondamentalmente da delinquenti i cittadini che hanno espresso in questo modo il loro malcontento. Per questo ha chiamato le Forze Armate per proteggere il governo dalla critica popolare che è arrivata a questo livello di malcontento e lo manifesta in maniera estrema.

A differenza di altri momenti della storia, in cui la società civile non aveva gli strumenti che esistono oggi, come i social. Per esempio, di fronte all’accusa d’illegalità mossa da Piñera si è risposto citando tutte le illegalità che si conoscono operate dal Presidente. Che succede quando quest’altro elemento comunicativo alimenta il modo di mobilitarsi?

Non c’è dubbio che quando la cittadinanza arriva a questo grado di malcontento ed a questa maniera di esprimerlo, è perché, fondamentalmente, non ha altra uscita legale per manifestare il suo disaccordo o il suo disagio. Tutte queste Costituzioni illegittime che abbiamo avuto, negano alla cittadinanza una possibilità di dialogo, di partecipazione nella discussione dei problemi che la colpiscono. 

Non c’è alcun modo costituzionale per cui la cittadinanza possa razionalmente, deliberatamente, collettivamente manifestare il proprio malessere e proporre cambiamenti. Non c’è alcun meccanismo costituzionale che permetta questa valvola di espressione alla cittadinanza. Non c’è questa valvola costituzionale, pertanto l’unica possibilità che rimane alla cittadinanza per manifestare il malcontento di questo tipo è la violenza di piazza. 

E questo spiega che si perda il senso dell’ordine pubblico e si stabilisce una situazione d’ingovernabilità da parte del governo e quindi questo si difende accusando la cittadinanza di sedizione, sovversione, vandalismo o delinquenza, come ha fatto ieri il Presidente. 

Infatti la classe politica che è protetta dalla legge e dall’esercito attacca in questo modo la cittadinanza che, è bene ricordarlo, è depositaria della sovranità della Nazione, e quindi l’atteggiamento del governo di mandare in strada le Forze Armate fa sì che la cittadinanza non possa e non debba esercitare la sua facoltà di essere sovrana e poter intervenire quando la situazione genera una crisi estrema, come quella che sta vivendo la cittadinanza cilena da quando si è instaurato il modello neoliberista in Cile.

Abbiamo parlato con altri interlocutori in radio sul fatto che molti sono scesi a manifestare spontaneamente in piazza senza avere alle spalle un discorso, un’organizzazione sociale o politica, ma per i problemi che vivono quotidianamente, economici, sociali e strutturali. Che comparazione si può fare tra questo attuale scenario in cui c’è una crisi di rappresentanza istituzionale ed altri scenari del passato?

Direi che, a differenza di altre manifestazioni che abbiamo avuto nel passato, sempre nella massa dei malcontenti, è soprattutto la gioventù quella che ha la possibilità di arrabbiarsi perché ancora non sta lavorando, ancora non ha responsabilità familiari, ecc. Nel passato ha trovato sempre un meccanismo di comunicazione e collaborazione con la classe politica. 

Prima, per esempio, esisteva una sinistra, c’era un Partito Socialista, c’era un MIR, a seconda delle tappe c’era anche un Partito Comunista, c’era un MAPU, in certe istanze c’era anche la Democrazia Cristiana che raccoglieva le inquietudini popolari e le manifestava nella cassa di risonanza che è il Congresso Nazionale. E usciva pure per molteplici vie giornalistiche, perché in quei tempi la diversità dei media era molto maggiore di oggi. 

Perciò, in un modo o nell’altro, a livello di establishment, esistevano meccanismi attraverso i quali il malcontento si esprimeva, sia attraverso le radio, i giornali, le televisioni e gli stessi partiti politici. Oggi questo non c’è. Nella pratica non c’è la sinistra, tutti i parlamentari, di tutte le correnti, sono neoliberisti. 

La cosa più patetica è che sono stati quelli della Concertacion a privatizzare l’acqua. La peggiore di tutte le misure neoliberiste, incluse quelle fatte da Pinochet. 

Perciò non c’è fiducia nella classe politica, non c’è una sinistra in questo momento, non c’è un’ideologia rivoluzionaria che si stia esprimendo attraverso i mezzi di comunicazione. Non c’è differenziazione tra i media, non esistono centri che si occupino dei problemi della cittadinanza. Un tempo l’Università Cattolica si occupava del Paese. Oggi nessuna Università si occupa del Paese. Delle ONG che negli anni 80 si occupavano del Paese, non ne è rimasta nessuna. 

Perciò oggi la cittadinanza ed in particolare i giovani, non hanno mezzi ideologici, culturali o istituzionali per esprimere una via alternativa di critica o di proposta. E non hanno neanche strade istituzionali per far valere un pensiero critico. Perciò l’unica via d’uscita che ha oggi la gioventù è la violenza in piazza. La violenza contro la materialità del sistema, perché non possono togliere al sistema la sua consistenza costituzionale. 

La gente normale che non è giovane, che deve lavorare, che ha famiglia, ecc. pure protesta, e lo fa con i “cacerolazos”. E questo pure rivela che c’è una classe che non vuole la violenza, ma c’è una classe profonda, che non ha altra via d’uscita, che vuole la violenza stessa. 

Credo quindi che c’è una situazione storica in questo Paese che esprime un malcontento molto, molto profondo. Ricordiamo che diverse agenzie nazionali che hanno studiato questa cosa, dicono che il 95/96% della popolazione non è contenta di questo regime e non crede in esso.

Con tutto quello che ora sappiamo di questo momento irregolare, di malcontento, di mancanza di rappresentanza politica e della società civile, alla luce della storia, quale potrebbe essere la possibile derivazione di questa situazione in cui ci troviamo?

Quando è accaduto il malcontento del 2 e 3 aprile del 1957 (di cui ho parlato prima, e che è stata chiamata “la Rivoluzione degli spiccioli” ed è iniziata anche quella per una tariffa del servizio di trasporto scolastico e da lì si è ingigantita), in quell’occasione la scesa in piazza degli abitanti, delle periferie soprattutto, nel centro di Santiago, ha sopraffatto la polizia e generato un panico politico. 

Questo panico politico ha significato una revisione da parte di tutti i partiti politici delle loro strategie precedenti e un cambiamento. A partire da allora, 1957, la sinistra si radicalizza e diventa una sinistra marxista militante. E la gioventù, dalla via costituzionale allo sviluppo, passa ad appoggiare la via non costituzionale allo sviluppo. O, come è stato detto, una via non parlamentare allo sviluppo. 

Dall’altro lato la destra fa la stessa cosa. Vedendo che il malcontento aveva gonfiato la candidatura di Allende nel 1958 tanto da portarlo a un passo dal vincere le elezioni quell’anno, cambia la sua politica e ne adotta una chiaramente golpista e di associazione diretta con l’imperialismo americano. 

Tutti hanno cambiato strategia dopo il 1957. La questione di oggi è che dubito molto che cambino le loro strategie. Lo stesso governo ha proclamato lo stato d’emergenza, ma non ha offerto alcun cambiamento di politica, salvo aver detto che aprirà un dialogo trasversale (nessuno sa cosa voglia dire questa frase) per i più indigenti del Paese. Ma non cambierà la politica tariffaria della Metro. La ministra l’ha detto chiaramente. 

Questo significa che non si risolve il problema e questa escalation di violenza può continuare e creare situazioni forse peggiori che avere i militari per le strade. Credo che il governo stia facendo una dimostrazione (secondo lui) di autorità, di legge. Ma in fondo è una provocazione, perché che ci siano i militari in strada o no, il malcontento continuerà ed avremo situazioni molto più difficili di quelle di adesso.

Professore la ringraziamo per aver analizzato con noi e gli ascoltatori i fatti accaduti in questi ultimi giorni nel nostro Paese.

 

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