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11 novembre 2019

 

Colpo di stato in Bolivia, Morales si dimette

 

Alla fine il presidente boliviano Evo Morales è stato costretto a dimettersi. Dopo la conferenza stampa in cui i militari avevano "suggerito" al presidente di mettersi da parte, Morales e i membri del suo partito, il MAS, che ricoprivano la carica di vice-presidente e presidente del Senato hanno rassegnato le loro dimissioni.

 

La scelta avviene dopo quasi un mese di proteste di piazza portate avanti dai Comitati Civici di Luis Fernando Camacho, leader dell'opposizione, e dalla Unión Juvenil Cruceñista formazione paramilitare composta da fascisti, anticomunisti ed ultracattolici. Le proteste sono state giustificate con dei presunti brogli elettorali che Morales avrebbe organizzato per evitare di finire al ballottaggio. Durante le manifestazioni che hanno visto come epicentro la roccaforte dell'opposizione, la città di Santa Cruz de la Sierra, i fascisti si sono prodigati in diversi episodi di violenza contro leaders sindacali, politici del MAS e la famiglia del presidente. Fino ad arrivare ad un attentato fallito all'elicottero su cui viaggiava Morales al rientro da una conferenza a Cuba. Morales negli scorsi giorni si era anche detto disponibile a una nuova tornata elettorale per dissipare i dubbi sui brogli, ma il tradimento delle forze di polizia e il posizionamento dei militari hanno fatto precipitare la situazione.

 

Il governo di Morales, primo leader indigeno a diventare presidente, ha rappresentato per anni un esperimento di ridistribuzione sociale non indifferente, se pure pieno di contraddizioni. Negli ultimi tempi però ha fatto sempre maggiori concessioni alle elites del paese e ai militari per tentare di tenere in equilibrio la propria presidenza e questo ha portato ad un forte scontento e disillusione tra alcune parti dei settori popolari che lo avevano fin qui sostenuto. Anche in questo caso traspariscono alcuni dei limiti riscontrati in altri esperimenti socialisti nel continente sudamericano (il confidare troppo nell'estrazione di materie prime per assicurare la redistribuzione, l'incapacità di mettere a critica fino in fondo l'iniziativa privata, tanto che da alcuni osservatori il progetto economico di Morales veniva soprannominato "capitalismo andino", i rischi legati alla burocratizzazione ecc… ecc…), ma indubbiamente per i poveri, i lavoratori e gli indigeni si preparano tempi duri dopo aver comunque conquistato delle condizioni sociali migliori e delle libertà maggiori. A testimoniarlo immediatamente il gesto dei militari che hanno ammainato la Wiphala, la bandiera che rappresenta i popoli indigeni, voluta da Morales accanto alla bandiera nazionale nel 2009, dal palazzo presidenziale.

 

Il golpe, portato avanti dalle elites borghesi e dai militari, conferma la strategia trumpiana di voler tornare a mettere ordine in quello che gli USA chiamano "cortile di casa" (correlato a un parziale disimpegno in Medio Oriente). Il desiderio degli strateghi statunitensi però finora si è incagliato di fronte a diversi ostacoli. Il fallito colpo di Stato in Venezuela, il movimento contro Pinera in Cile, quello in Ecuador e la scarcerazione di Lula in Brasile sono più che un grattacapo per la Casa Bianca. Ora l'attenzione dei falchi nordamericani si rivolge verso la Bolivia e le sue riserve di litio (fondamentali per molti dispositivi elettronici), ma non è detto che la transizione sarà così liscia in un continente in ebollizione contro le politiche neoliberiste e coloniali.

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11 Novembre 2019

 

Evo si è dimesso. La lucha sigue!

di Giuliano Granato

 

Poche ore fa si è consumato il golpe contro Evo Morales. In conferenza stampa il presidente boliviano ha rassegnato le proprie dimissioni, dopo che le Forze Armate l’avevano “invitato” a rinunciare a nuove elezioni e a una nuova candidatura.

Ci sarà il tempo per analisi più approfondite. Questo è il tempo della solidarietà e della mobilitazione. In gioco in Bolivia ci sono le vite di migliaia di attivisti, militanti e semplici cittadini. A cominciare dalla vita di Evo.

0. È un golpe. Che piacciano o meno Evo Morales e García Linera che un presidente sia costretto a dimettersi dopo che i vertici delle Forze Armate lo “invitano” pubblicamente a ritirarsi si chiama “colpo di stato”. Chi non denuncia il golpe è complice.

1. È un golpe “civico-policial”, organizzato dai comitati civici di Santa Cruz, messi su dai possidenti e dall’oligarchia dell’oriente boliviano. Successivamente si sono ammutinate, in maniera coordinata, diverse divisioni della polizia. Nella giornata di domenica 10 novembre si è aggiunto l’esercito, con quella sorta di “ultimatum” dato a Evo affinché rassegnasse le sue dimissioni.

2. È un golpe fondamentalista, che mira a riportare la Bibbia “al governo”, a rimettere il Paese nelle mani di Dio.
L’immagine simbolo del fondamentalismo è quella di Camacho all’interno del Palacio Quemado, vecchia sede presidenziale, inginocchiato dinanzi a una bandiera boliviana e alla Bibbia.

3. È un golpe razzista, perché disprezza profondamente i popoli originari, gli indigeni. Basta ascoltare la piazza, in cui più d’una volta si udiva “indios de mierda” o “andate a lavarvi”.
L’immagine simbolo del razzismo è l’assenza assoluta della wiphala, la bandiera indigena, nelle manifestazioni di piazza nel bastione dei golpisti, Santa Cruz.

4. È un golpe misogino e “patriarcale”, perché disprezza e attacca le donne.
L’immagine simbolo del patriarcato e del sessismo è quella che ritrae la sindaca di Vinto, Patricia Arce, col viso e il corpo ricoperti di pittura, i capelli rasati a forza, costretta a camminare scalza per 3km perché trofeo da esibire. Una donna “umiliata” è il progetto dei golpisti.

5. È un golpe anti-sindacale, perché hanno attaccato e continuano ad attaccare le sedi del movimento sindacale e quelle dei movimenti sociali che sono al fianco di Evo Morales.
L’immagine simbolo di questo fascismo è quella di José Aramayo, direttore della radio della Confederación Sindical Única de Trabajadores Campesinos de Bolivia, ammanettato a un albero.

6. È un golpe mafioso, che ha ottenuto le dimissioni di numerosi esponenti del MAS con incarichi governativi o istituzionali appiccando il fuoco alle loro case o, preferibilmente, a quelle dei loro familiari. La vendetta trasversale è caratteristica delle organizzazioni mafiose.
L’immagine simbolo è la casa saccheggiata della sorella del presidente Evo.

7. È un golpe che fa gli interessi degli USA: Camacho, leader golpista emerso all’indomani delle elezioni del 20 ottobre, ha avuto più d’un colloquio col dipartimento di Stato USA. Non credo abbiano mangiato pasticcini. Sarà tutto alla luce del sole quando inizieranno a rimettere piede nel Paese la CIA, le diverse agenzie statunitensi e, soprattutto, quando la Bolivia tornerà a esser terra di conquista per i capitali a stelle e strisce.

Evo si è dimesso. I golpisti cantano vittoria. Ma non è la fine della partita. Né tanto meno della storia.
Non c’è tempo per la disperazione.
“Volveremos y seremos millones” (“Torneremo e saremo milioni”). È la profezia di Tupac Katari che si incarna nelle ultime parole di Evo: “La lucha sigue!”

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