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18 novembre 2019

 

Massacro a Cochabamba, ma la resistenza al golpe continua

 

Nove morti per la repressione di esercito e polizia contro una manifestazione di contadini e cocaleros contro il golpe. Il governo decreta l’impunità per la polizia e i militari, ma assemblee popolari in venti province esigono le dimissioni di Jeannine Añez 

 

Lo scorso venerdì 15 di novembre un operativo delle forze di sicurezza e delle Forze Armate presso il ponte Huayllani, a dieci chilometri dalla città di Cochabamba, ha represso duramente una mobilitazione di cocaleros che per il secondo giorno consecutivo si stavano mobilitando per arrivare in città. Il piano delle sei differenti federazioni di lavoratori 

cocaleros era arrivare a Cochabamba per poi proseguire fino a La Paz, nell’ambito della mobilitazione contro il golpe che sta convoncando migliaia di persone in tutto il paese.

 

Alla fine della giornata sono nove i morti, tutti colpiti in testa o al petto da proiettili di armi da fuoco sparati da esercito e polizia, ed oltre 150 i feriti, di cui diversi riportano ferite di armi da fuoco.

 

Così racconta un manifestante al sito di informazione indipendente Chaski Clandestina: «Stavamo camminando in corteo da Sacaba a Cochabamba in modo pacifico e senza insultare nessuno, dopo che avevamo passato Huayllani abbiamo parlato con soldati e polizia e gli abbiamo detto: “andiamo avanti in corteo”. Loro hanno risposto: “però senza petardi né bastoni né altro”. E subito dopo ci hanno fermato, abbiamo provato a passare e niente, ci abbiamo riprovato ed ancora niente. E allora hanno lanciato loro i petardi e ci hanno direttamente colpito con gas lacrimogeni, molti sono svenuti lì in strada, e proprio lì sono arrivati i primi colpi, ma non proiettili di gomma, erano proprio colpi di arma da fuoco».

 

Nella stessa intervista, afferma: «Questo non è rispetto, non c’è più umanità, non c’è più fratellanza in Bolivia, non so dove andremo a finire. L’esercito e la polizia servono a custodire la Bolivia, non per ucciderci nelle nostre città. Hanno preso la presidenza con la violenza, senza avere un voto, questi non riconoscono più le elezioni ma si autoproclamano».

Una donna intervistata dopo il massacro, ha denunciato: «Chiediamo giustizia e come donne chiediamo che dia le dimissioni questa presidenta golpista, senza le sue dimissioni non ci sarà pace in Bolivia».

 

Intanto, il governo autoproclamato della presidente Áñez  porta avanti il processo golpista: cambiati i vertici delle forze poliziesche e militari,  inizia la caccia contro i giornalisti e i dirigenti sindacali e politici accusati di “sedizione e sovversione”, nella migliore delle tradizioni golpiste fasciste in America Latina.

 

Mentre il ministro Murillo ha minacciato i dirigenti del MAS, la ministra della Comunicazione, Roxana Lizarraga, ha detto che saranno perseguitati i giornalisti, boliviani ed internazionali, colpevoli di sedizione.

 

In occasione della durissima repressione di Cochabamba, la presidente ha promulgato un decreto legge (proposto il giovedì ma approvato in fretta e furia il sabato, un giorno dopo il massacro), che stabilisce l’impunità per le forze militari e le forze di polizia, che saranno esentate da processi rispetto a eventuali reati commessi nel corso di operazioni per mantenere l’ordine pubblico nel paese.

Secondo le denunce delle organizzazioni dei diritti umani, come riportato da Marco Teruggi su Pagina12, sono già 24 i morti in Bolivia in queste settimane di tensione dopo le elezioni contestate del 20 ottobre e il golpe civico militare portato avanti tra il 10 e l’11 di novembre. Oltre settecento i feriti, in occasioni di diverse manifestazioni.

 

Le mobilitazioni crescono soprattutto nei dipartimenti di Cochabamba e di La Paz, e in particolare a El Alto dove si è tenuto un immenso cabildo aperto, un’assemblea che ha dichiarato l’inizio della resistenza popolare al golpe. Intanto va avanti il Parlamento delle donne, iniziativa convocata da organizzazioni femministe di La Paz contro il colpo di Stato.

Ieri, il Cabildo di El Alto, assieme alle assemblee di altre venti province della Bolivia, ha lanciato i prossimi passi delle mobilitazioni contro il governo: le assemblee popolari si sono dichiarate in mobilitazione e sciopero permanente fino all’ottenimento delle loro richieste. Inoltre, hanno reso pubblico che se non verranno ascoltati entro quarantotto ore si implementeranno forme di lotta più radicali, comincerà l’accerchiamento della capitale e si valuteranno misure drastiche di protesta.

 

Le principali  rivendicazioni sono le dimissioni della presidenta de facto Jeanine Añez, il ritiro immediato dei militari nelle caserme e l’espulsione di Carlos Mesa, Luis Fernando Camacho, Marcos Pumari, Waldo Albarracin, Rafael Quispe per incitamento alla violenza.

 

Nei prossimi giorni si annunciano nuove mobilitazioni, ancora non arriva nessuna novità rispetto alle prossime elezioni che il governo golpista aveva annunciato, mentre emergono tensioni anche all’interno del fronte golpista, negli scorsi giorni la presidente ha incontrato un emissario delle Nazioni Unite. Continuano le giornate di tensione in Bolivia.

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