https://www.lantidiplomatico.it/

27/01/2019

 

La crisi in Venezuela non è un problema di democrazia, ma di guerra energetica e finanziaria. Smontiamo le fake news.

 

Negli ultimi tre anni, il Venezuela ha usato il suo oro come garanzia per ottenere miliardi di prestiti da istituti di credito internazionali. Tuttavia, gli accordi di scambio sono diventati difficili per il Venezuela nel 2017, dopo che Washington ha vietato alle istituzioni finanziarie statunitensi di finanziare le operazioni dello Stato del Venezuela.

 

Dal novembre del 2018, infatti, la Banca d'Inghilterra si rifiuta di consegnare il rapporto sull'oro del Venezuela. In particolare, la Bank of England (BoE) si rifiuta di rilasciare circa 550 milioni di dollari in oro di proprietà del Venezuela nel paese rispetto alla richiesta di Caracas per 14 tonnellate di lingotti d'oro. Le partecipazioni nella stessa banca, tra l'altro, sono più che raddoppiate a dicembre (31 tonnellate o circa 1,3 miliardi di dollari), dopo che il Venezuela ha restituito i fondi che aveva preso in prestito da Deutsche Bank AG (DBKGn.DE) attraverso un accordo di finanziamento che utilizza l'oro come garanzia, noto come swap.

 

La motivazione del rifiuto da parte dei funzionari britannici verte "sull'adozione di misure volte a prevenire il riciclaggio di denaro sporco", come riporta il Times:

 

"Ci sono preoccupazioni sul fatto che Mr. Maduro possa prendere l'oro, che è di proprietà dello stato, e venderlo per guadagno personale", i rapporti dei media citano fonti anonime.

 

Il Venezuela, per cercare di aggirare le sanzioni degli USA aveva cercato di scambiare il suo greggio con beni per aggirare le sanzioni statunitensi, ma, secondo i rapporti, le trattative sarebbero state bloccate per "crescenti difficoltà nell'ottenere l'assicurazione per la spedizione necessaria per spostare un grosso carico d'oro".

 

Per impedire al Venezuela di riavere i suoi beni, gli USA hanno aggravato le sanzioni, estenderndole anche ai singoli individui e alle società coinvolti nelle vendite di oro in Venezuela.

 

Negli ultimi anni, Washington ha introdotto una vasta gamma di misure punitive contro la Repubblica Bolivariana, colpendo le sue finanze, l'emissione di debito e l'attività commerciale della compagnia petrolifera statale PDVSA. 

 

Il Venezuela ha recentemente tentato di eliminare la dipendenza dalle istituzioni e dagli strumenti finanziari controllati dagli Stati Uniti, incluso il dollaro USA. Il mese scorso, il paese si è impegnato a negoziare in euro, yuan e "altre valute convertibili" tra le sanzioni statunitensi.

 

Ecco perché fa tanta paura il Venezuela di Maduro e perché riguarda tutti noi: se gli USA riuscissero in una sostituzione del governo eletto democraticamente col riconoscimento ufficiale dell'opposizione, questo esperimento sarà esportato in qualsiasi situazione geopolitica, in qualsiasi Stato sovrano, sia d'intralcio alle mire energetiche del blocco (Israele, Canada, Brasile, ma anche Germania, Francia, Spagna) che fa capo al mercato neoliberista degli USA.

 

A.I.

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http://www.libreidee.org/

30/1/19

 

Oro, petrolio e sanzioni: strangolato il Venezuela di Maduro

 

Negli ultimi tre anni, il Venezuela ha usato il suo oro come garanzia per ottenere miliardi di prestiti da istituti di credito internazionali. Tuttavia, gli accordi di scambio sono diventati difficili per il Venezuela nel 2017, dopo che Washington ha vietato alle istituzioni finanziarie statunitensi di finanziare le operazioni dello Stato del Venezuela. Lo scrive “L’Antidiplomatico”, secondo cui «la crisi in Venezuela non è un problema di democrazia, ma di guerra energetica e finanziaria». Dal novembre del 2018, aggiunge il blog, la Banca d’Inghilterra si rifiuta di consegnare il rapporto sull’oro del Venezuela. In particolare, la Bank of England si rifiuta di consegnare 550 milioni di dollari in oro (di proprietà del Venezuela) a fronte della richiesta di Caracas per 14 tonnellate di lingotti. Le partecipazioni nella stessa banca, tra l’altro, sono più che raddoppiate a dicembre (31 tonnellate o circa 1,3 miliardi di dollari), dopo che il Venezuela ha restituito i fondi che aveva preso in prestito da Deutsche Bank attraverso un accordo di finanziamento (Swap) che utilizza l’oro come garanzia. La motivazione del rifiuto da parte dei funzionari britannici verte «sull’adozione di misure volte a prevenire il riciclaggio di denaro sporco». Come riporta il “Times”, «ci sono preoccupazioni sul fatto che Maduro possa prendere l’oro, che è di proprietà dello Stato, e venderlo per guadagno personale».

 

Per cercare di aggirare le sanzioni degli Usa, aggiunge “L’Antidiplomatico”, il Venezuela aveva cercato di scambiare il suo greggio con beni, ma le trattative sarebbero state bloccate per «crescenti difficoltà nell’ottenere l’assicurazione per la spedizione necessaria per spostare un grosso carico d’oro». Per impedire al Venezuela di riavere i suoi beni, scrive sempre il blog, «gli Usa hanno aggravato le sanzioni, estendendole anche ai singoli individui e alle società coinvolti nelle vendite di oro in Venezuela». Negli ultimi anni, «Washington ha introdotto una vasta gamma di misure punitive contro la Repubblica Bolivariana, colpendo le sue finanze, l’emissione di debito e l’attività commerciale della compagnia petrolifera statale Pdvsa». Il Venezuela ha recentemente tentato di eliminare la dipendenza dalle istituzioni e dagli strumenti finanziari controllati dagli Stati Uniti, incluso il dollaro Usa. Il mese scorso, il paese si è impegnato a negoziare in euro, yuan e «altre valute convertibili».

 

«Ecco perché fa tanta paura il Venezuela di Maduro», sostiene “L’Antidiplomatico”: se agli Usa riuscisse il “regime change”, «questo esperimento sarà esportato in qualsiasi situazione geopolitica, in qualsiasi Stato sovrano sia d’intralcio alle mire energetiche del blocco (Israele, Canada, Brasile, ma anche Germania, Francia, Spagna) che fa capo al mercato neoliberista degli Usa». Secondo Usa e Ue, in realtà, la situazione è precipitata quando Maduro ha rifiutato l’esito delle elezioni del 2016, a lui sfavorevoli, mettendo fuori gioco l’opposizione con la manovra per creare una nuova Costituzione. Manovra boicottata dall’opposizione, che ha rinunciato per protesta a partecipare alle elezioni 2018. Le crescenti sanzioni sono parallele all’involuzione autocratica del regime di Maduro, ora fronteggiato da Juan Guaidò, presidente del Parlamento e leader di “Volontà Popolare”, autoproclamatosi “presidente ad interim” il 23 gennaio, in aperta sfida a Maduro.

 

Il Venezula (32 milioni di abitanti) è uno dei due membri latino-americani dell’Opec, insieme all’Ecuador. Vanta la prima riserva petrolifera al mondo: 302 miliardi di barili di greggio. Nel 2014 il Venezuela è stato colpito dal crollo del costo del petrolio, che rappresenta il 96% delle entrate del paese. La mancanza di moneta ha fatto precipitare lo Stato in una crisi acuta, «generando un esodo di venezuelani in fuga da carenze alimentari e di medicine, non senza conseguenze su diversi paesi vicini». Tre milioni di venezuelani vivono all’estero e, di questi, secondo le stime dell’Onu almeno 2,3 milioni hanno lasciato il paese a partire dal 2015. Un dato che, stando alle stime, dovrebbe salire a 5,3 milioni nel 2019. In cinque anni, secondo il Fmi, il Pil è calato del 45%. E la Banca Mondiale prevede una contrazione del Pil dell’8% nel 2019, dopo il -18% del 2018. Davanti a una iper-inflazione, «che dovrebbe raggiungere quest’anno il 10 milioni per cento», a metà gennaio «Maduro ha quadruplicato il salario minimo a 18.000 bolivar (20 dollari, secondo il tasso ufficiale), cioè l’equivalente di due chilogrammi di carne. Ad agosto aveva lanciato un piano di rilancio, svalutando il bolivar del 96%».

 

L’erede di Hugo Chavez sostiene che la crisi in Venezuela sia il risultato di una “guerra economica” da parte della destra e degli Stati Uniti per rovesciare il suo governo, visto che Washington ha imposto diverse serie di sanzioni. A novembre del 2017 il Venezuela e la compagnia petrolifera nazionale Pfvsa sono stati dichiarati in default parziale da diverse agenzie di rating. «Il tasso di povertà, cavallo di battaglia della rivoluzione bolivariana, è schizzato all’87%, secondo un’indagine delle principali università del paese», scrive “Quotidiano.net”. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, sostiene che la crisi venezuelana ricorda quella che precedette il golpe nel Cile di Allende, con una differenza sostanziale: Allende non fece mai ricorso alla repressione della protesta, mentre Nicolas Maduro si è macchiato di gravi crimini, sospendendo di fatto la democrazia e violando i diritti umani.

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