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21 Agosto 2019

 

Il mondo in basso cresce in silenzio

di Raúl Zibechi e Juan Wahren

 

Il riflesso è quasi automatico: appena si parla di elezioni si torna a sperare. Accade da noi, come in Sudamerica. È un po’ come guardare i fuochi artificiali, oppure le estrazioni miliardarie dell’Enalotto. Eppure, i cambiamenti veri, quelli profondi, si costruiscono in basso e, spesso, in silenzio. Raúl Zibechi  e Juan Wahren  ci raccontano alcune esperienze esemplari quanto ignorate, qui e nel loro continente. E poi ci sono gli zapatisti, che sono riusciti a rompere ancora una volta l’assedio di decine di migliaia di militari e a costruire nuova autonomia. Ci sorprendono ormai da decenni. Come hanno fatto? Le donne e i giovani sono andati in altre comunità. Non hanno chiesto aiuto, né preteso solidarietà. Né hanno pensato di dover convincere nessuno ma hanno semplicemente proposto di autogovernarsi insieme. Una mobilitazione silenziosa, sfuggita anche ai media più attenti, che ha proposto un’alternativa credibile alle elemosine dei governi. Sì, quelle che qui spesso chiamiamo “politiche sociali”, ma feriscono la dignità per il disprezzo e il razzismo che, nel migliore dei casi, celano a stento. Molto a stento. I mondi nuovi nascono per contagio e per necessità

C’è vita (e lotta) al di là delle elezioni. Nei nostri paesi (Argentina e Uruguay), tutta l’attenzione è centrata e concentrata sulle prossime scadenze  elettorali, dai riflettori dei media alle conversazioni tra i militanti dei movimenti sociali. C’è la speranza che questa volta sì, ci saranno cambiamenti. Malgrado sappiamo che quei cambiamenti ci arrivano dall’alto, e che quelli veri sono invece quelli che costruiamo dal basso e per il basso, ci lasciamo ancora una volta trascinare dai fuochi artificiali delle elezioni. Torniamo a diluire la nostra potenza del fare dal basso nella delega del Potere verso l’alto…

I popoli dell’América Latina, tuttavia, continuano a costruire i loro mondi altri. Molto lentamente, controcorrente, nell’oscurità della vita quotidiana, lontano, molto lontano, dalle campagne che sprecano risorse e discorsi. Chi ha potuto sapere che quest’anno è stata creata la Guardia Indigena Comunitaria Whasek Wichi nell’Impenetrabile Chaco dell’Argentina? Chi è a conoscenza della creazione del Governo Territoriale Autonomo della Nazione Wampis, nel nord del Perù, un cammino che cominciano a percorrere altri tre popoli amazzonici?

La guardia indigena Whasek nel Chaco argentino. Foto anred.org

 

Quanti media hanno dato informazioni sul fatto che il popolo Mapuche ha recuperato nel sud del Cile 500 mila ettari con l’azione diretta? Lo ha fatto a partire dal 1990, quando è stata restaurata la democrazia ma i Mapuche sono stati messi al bando con l’applicazione della legge anti-terrorista ereditata dalla dittatura di Pinochet e poi applicata all’unisono da governi progressisti e conservatori.

Dove possiamo leggere qualcosa sulla tremenda lotta dei Tupinambá del sud di Bahía (Brasile), che in pochi anni hanno recuperato 22 tenute terriere, migliaia di ettari, nonostante le torture cui sono stati sottoposti i loro dirigenti? Quando potremo dedicare un po’ di tempo a commentare la vittoria delle 30 comunità di Molleturo (Azuay, Ecuador) che sono riuscite a fermare l’impresa mineraria cinese Ecuagoldmining, dopo che le forze della sicurezza avevano dato fuoco al loro accampamento? Chi parla della recente vittoria contadina di tutta la Valle del Tambo sul mega-progetto di sfruttamento del rame Tía María, nel sud del Perú?

 

Il 3 agosto il presidente peruano ha annunciato lo stop per Tia Maria. Foto Telesur Tv.

 

Oggi vediamo come i popoli maya del sud del

Messico, organizzati nell’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN), sono passati all’offensiva rompendo l’assedio militare e mediatico del governo messicano di quella che hanno auto-definito “Quarta Trasformazione”: hanno creato sette nuovi Caracol e 4 Municipi Autonomi, portando a 43 gli spazi di autogoverno zapatista in quella regione.

Il governo di Andrés Manuel López Obrador (AMLO) ha manifestato la sua “approvazione” verso i nuovi municipi autonomi. Non sappiamo cosa risponderanno gli zapatisti, ma possiamo far notare che in tutti questi anni hanno costruito la loro autonomia di fatto nei territori insurgentes, dove non hanno avuto bisogno dell’approvazione di alcun governante.

Gli Accordi di San Andrés, che riconoscevano l’autonomia dei popoli indigeni in tutto il Messico sono stati negati e traditi da ogni governo successivo alla firma del 1996. Questo non ha impedito la crescita dell’autonomia in territorio zapatista e in decine di municipi autonomi di altri popoli indigeni del paese. Più che approvare o meno, con le parole, il governo di AMLO potrebbe mettere in pratica gli Accordi di San Andrés. Dovrebbe lasciare, cioè, che l’autonomia indigena continui a fiorire invece di continuare a rafforzare l’assedio poliziesco e militare alle comunità ribelli, come denunciano le comunità del Chiapas, quelle zapatiste e quelle che non lo sono.

Per noi, tutti questi avvenimenti sono motivo di allegria e ci riempiono di entusiasmo e speranza, perché confermano la decisione politica di costruire in basso, con las y los de abajo, quelle e quelli che in basso vivono in forma autonoma, la nostra salute e l’educazione, i nostri spazi di vita e la giustizia, sulla base degli stessi poteri che abbiamo creato al di fuori dello Stato.

Gli zapatisti sono riusciti a rompere l’accerchiamento che decine di migliaia di militari mantengono dal levantamiento del primo di gennaio del 1994, quando il governo decise di mobilitare la metà dei suoi effettivi per circondare e assediare le comunità ribelli autonome zapatiste. Come sono stati capaci le zapatiste e gli zapatisti di moltiplicarsi, di uscire dall’assedio e di costruire altri mondi nuovi? Come fanno sempre las y los de abajo: “Compagne di tutte le età si sono mobilitate per parlare con altre sorelle con e senza organizzazione”, spiega il subcomandante Moisés nel suo ultimo comunicato. Le donne e i giovani sono andati a conversare con quelle e quelli come loro in altre comunità.

 

Non per convincerli, perché le oppresse e gli oppressi

sanno più che bene chi sono, ma per organizzarsi insieme, per autogovernarsi insieme.

 

 

 

Le donne e i giovani zapatisti sono andati a cercare ascolto nelle altre comunità. Non per convincere per autogovernarsi insieme. Foto tratta da recondito.org

 

In quella mobilitazione silenziosa tra chi sta in basso, hanno dimostrato che le elemosine dei governi (quello che qui chiamiamo con una certa prosopopea “politiche sociali” e che non sono altro che contrainsurgencia) feriscono la dignità per il disprezzo e il razzismo che comportano. I mondi nuovi nascono per contagio e per necessità. Senza seguire le istruzioni dei manuali dei partiti, né le ricette predeterminate di vecchi e nuovi leader.

Come abbiamo fatto a perdere la “capacità più bella del rivoluzionario”, quella di sentire “nel più profondo, qualsiasi ingiustizia compiuta contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo”, come diceva il Che? Perché non ci rallegriamo più quando, in qualche parte del mondo, quelli che stanno in basso usano la loro dignità come scudo di fronte ai potenti, facendo nascere mondi altri, come hanno fatto i Kurdi del nord della Siria?

Noi, persone militanti, dobbiamo trasformare i nostri sensi e i sentimenti di vita, re-incontrarci con i nostri stessi fuochi e riprendere la lotta al di là dei fuochi artificiali delle elezioni. Dobbiamo tornare ad aver fiducia nella nostra stessa potenza e autogovernarci a distanza dallo Stato, de-alienarci e de-colonizzarci per camminare insieme, Insieme, non con qualcuno davanti che traccia la linea, ma spalla a spalla con le ribellioni che continuano a (ri)emergere dal basso e per il basso in tutta la nostra América.

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