https://it.insideover.com/

30 ottobre 2019

 

Tutti i segreti di Al Baghdadi

di Mauro Indelicato

                       

Era a Barisha da almeno cinque mesi, lì viveva tra bunker e tunnel spaziosi e ventilati, protetto da guardie e fedelissimi. Ecco cosa è emerso nelle ultime ore sulla latitanza di Abu Bakr Al Baghdadi, il leader dell’Isis scovato ed ucciso nel nord della Siria nella giornata di domenica. Molte indiscrezioni sono state diffuse grazie ad un’intervista rilasciata dal cugino Mohammad Ali Sajid sul New York Times.

 

Le comunicazioni con Flash Drive

Al Sajid ha rivelato quelle che erano le abitudini quotidiane da parte dell’autoproclamato califfo. Una vita sì in fuga, ma al tempo stesso anche non così colma di privazioni. Viveva con la sua famiglia, nel suo compound a pochi chilometri da Barisha c’era la possibilità di fare tutto: passeggiare, ricevere confidenti e collaboratori, così come coloro che procuravano al leader dell’Isis viveri o facevano giungere messaggi. Segno anche di una rete di fiancheggiatori molto estesa e sorprendente considerando come la provincia di Idlib, dove è situato il villaggio in cui Al Baghdadi ha vissuto, da anni è in mano ai rivali di Al Qaeda.

Una vita, quella dell’autoproclamato Califfo, senza dubbio trascorsa con il pensiero ad una possibile cattura. Non solo le guardie all’esterno della struttura in cui è stato trovato, ma anche le cinture esplosive indossate dalle mogli di Al Baghdadi e dallo stesso terrorista, oltre alle armi di cui disponeva, fanno pensare ad una quotidianità dove la possibilità di irruzioni nemiche era ben messa in conto. Nelle rivelazioni di Al Sajid, a spiccare è soprattutto il modo con il quale Al Baghdadi comunicava con l’esterno. Il leader dell’Isis, secondo il cugino, usava la flash drive: qui metteva tutti i dati che poi passava ai suoi fedelissimi. Una latitanza peraltro non lontana dalla tecnologia: nonostante fosse meticoloso sulla sicurezza, Al Baghdadi secondo Al Sajid consentiva l’uso dei cellulari a chi era nel suo compound. Quando doveva spostarsi, al suo seguito c’erano due pick-up bianchi con a bordo cinque persone armate fino ai denti.

 

Il raid nel compound

Tunnel, bunker, spazio esterni e locali adibiti a rivere i fedelissimi: di tutto questo oggi non è rimasto che un cumulo di macerie. Le dinamiche poi trapelate nelle ore successive al raid americani, hanno rivelato come dopo l’individuazione del nascondiglio di Al Baghdadi sono state sganciate almeno due bombe e poi a terra è stata vera e propria battaglia. Ci si chiede adesso se da quel luogo sono stati prelevati documenti sensibili e materiali utili non solo a ricostruire la vita in latitanza del fondatore dello Stato Islamico, ma anche dell’organigramma dell’Isis e di eventuali elementi utili a capire come potrebbe evolversi l’organizzazione terroristica dopo la fine di Al Baghdadi.

I militari della Delta Force, avrebbero prelevato elementi fondamentali anche per confermare l’identità del soggetto riconosciuto come Al Baghdadi che si è fatto esplodere alla vista delle forze speciali. La prova del dna sarebbe stata eseguita grazie agli esami con materiale comparativo forniti da una delle figlie del califfo in modo volontario. Una prova che avrebbe dato esito positivo nel giro di pochi minuti. Il corpo di Al Baghdadi poi, sarebbe stato prelevato e, anche qui si viaggia sul filo delle indiscrezioni, gettato in mare.

.

.

.

https://it.insideover.com/

30 ottobre 2019

Ecco chi ha affittato la casa ad Al Baghdadi

di Giovanni Giacalone

           

Emergono ulteriori dettagli sull’ultima fase della fuga dell’ex leader dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi e, in particolare, sulla persona che gli avrebbe affittato la casa: un cittadino siriano di nome Abu Mohamed Halabi. Secondo le informazioni raccolte, Halabi non avrebbe soltanto affittato la casa al “Califfo” e alla sua famiglia, ma si sarebbe anche occupato di nasconderlo in attesa, forse, di farlo sconfinare in Turchia.

In seguito al raid il corpo del siriano è sparito in quanto preso in carico dagli uomini della Delta Force. Halabi non era infatti uno sconosciuto, ma un alto membro del gruppo qaedista “Tanzim Hurras ad-Din” (I guardiani della religione), un gruppo formato nel febbraio del 2018 dopo essersi staccato da Hayat Tahrir al Sham e attualmente guidata da Abu Humam al-Shami (Samir Hijazi), come confermato lo scorso luglio da un jihadista di al blogger Ayman Jawad al-Tamimi. Questa informazione non confermerebbe dunque la presa in comando del palestinese Khaled Mustafa al-Aruri “Abul Qassam”.

Lo scorso settembre, Washington inseriva Tanzim Hurras ad-Din nella black list delle organizzazioni terroristiche (documento reperibile qui) mentre il Dipartimento di Stato offriva una taglia di cinque milioni di dollari per informazioni che potessero condurre all’individuazione di tre figure di spicco de I guardiani della religione: Sami al-Uraydi, Abu Abdal-Karim al-Masri e Faruq al-Suri. Nel contempo però le dinamiche che emergevano dalla Siria occidentale non erano delle migliori per la neo-nata organizzazione: i rapporti con Hayat Tahrir al-Sham (la vecchia Al Qaeda in Siria) erano sempre più tesi, in particolare dopo l’arresto di tre membri di Thd ad un check point qaedista.

Ci poi sono alcuni dettagli interessanti riguardanti Thd ed esposti al quotidiano britannico The Independent da Elizabeth Tsurkov, analista esperta in Siria e Iraq presso il Foreign Policy Research Institute, secondo cui vi sarebbe stata una fuga di volontari dal gruppo jihadista a causa delle difficoltà, da parte della leadership, di pagare i salari e conterebbe ora meno di 2mila uomini. I conti di Tanzin Durras al-Din sarebbero talmente malconci che la scorsa settimana sarebbe persino stata organizzata una campagna per donazioni.

Un ulteriore aspetto di interesse riguarda i rapporti che il gruppo Tanzim Hurras ad-Din intratteneva con l’Isis, non troppo amichevoli ma neanche pessimi come nel caso di Hayat Tahrir al-Sham, anche se forse il termine più corretto per definire tale relazione è “ambigua”: vale infatti la pena ricordare che nell’ottobre del 2018 il governo russo aveva accusato Thd di aver pianificato un attacco “false flag” con armi chimiche e di operare come parte dell’Isis.

Tornando ad Abu Mohamed Halabi “Salama”, per molti aspetti rispecchia egregiamente l’ambiguità dell’organizzazione di cui faceva parte: ufficialmente commerciante di generi alimentari, era arrivato nel tranquillo villaggio di Barisha tre anni prima ed aveva comprato una casa ancora in costruzione che aveva terminato egli stesso. L’uomo, padre di otto figli, era sempre cordiale, non dava molta confidenza e aveva pochissimi visitatori.

Halabi avrebbe fatto parte di un flusso di 4mila sfollati siriani ricollocatisi a Barisha durante il conflitto, in quanto lontana dagli scontri e dalla campagna aerea russo-siriana. Il soggetto in questione non era però un semplice commerciante, ma un membro di Tanzim Hurras ad-Din e un trafficante di esseri umani che avrebbe ricoperto un ruolo chiave nel far fuggire i leader dell’Isis e le loro famiglie verso la Turchia, grazie a una rete da egli stesso gestita. L’ultimo “cliente” gli è però risultato fatale.

Vale inoltre la pena ricordare che nel febbraio del 2014 un miliziano identificatosi con il medesimo nome, Abu Mohamed Halabi, aveva rilasciato una dichiarazione al Washington Post, affermando di aver collaborato con l’Isis durante gli scontri con Jabhat al-Nusra e di temere vendette  in seguito alla ritirata dell’Isis dalla zona. È più che plausibile ritenere che si trattasse della stessa persona, elemento che evidenzierebbe un ruolo decisamente più solido di quel che inizialmente era apparso, tra Halabi e gli uomini del Califfato. Insomma, Halabi non era il semplice “padrone di casa” di  Al Baghdadi.

top