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22/04/2019

 

Essere cristiani è ormai un indomito atto di coraggio

di Enzo Fortunato

Direttore sala stampa Sacro Convento di Assisi

 

Pensavo che il martirio alle comunità cristiane fosse una pagina archiviata. Invece no

 

Qaraqosh, Iraq. Mi trovo nella Chiesa della Resurrezione, a Qaraqosh, ci accompagna Padre Majeed Attalla. Mentre osservo il tetto divelto e i fori dei proiettili di kalashnikov sulle pareti, mi ricorda la mappa di ciò che è accaduto tutto intorno: 116 case bombardate, 2228 bruciate dalla furia ideologica dell'Isis. Padre Majeed mi dice: "Noi siamo ancora vivi. Grazie a Dio, siamo potuti tornare nella nostra terra. Ora non ci resta che ricostruire".

Un velo ti tristezza mi avvolge. E questo tetto sventrato è uguale a quello della chiesa di sant'Antonio, in Sri Lanka. La strategia del terrore è la stessa.

Come faranno a ricostruire? Qui il Daeash è ancora presente in molti uomini che i cristiani non li vogliono. E il pensiero va all'Egitto, al Pakistan, alla Nigeria, allo Sri Lanka e alla sua capitale, Colombo, messa in ginocchio da 86 attacchi solo nell'ultimo anno. Ieri, quello che ha colpito al cuore nel giorno di Pasqua la comunità cristiana, con quasi 300 morti, 500 feriti, 24 arresti, 7 kamikaze.

Pensavo che il martirio alle comunità cristiane fosse una pagina archiviata. Invece no: solo nel 2018, 245 milioni di cristiani sono stati perseguitati nel mondo. Su 150 Paesi monitorati, 73 hanno mostrato un livello di persecuzione "alta, molto alta o estrema". Alcuni anni fa erano 58. Al primo posto, la Corea del Nord, l'Afghanistan al secondo, la Somalia sul terzo gradino di questo triste podio. In Medio Oriente un cristiano su tre è perseguitato

Per molti quindi andare in Chiesa è un indomito atto di coraggio. Scorro le agenzie internazionali, e leggo la dichiarazione del più importante porporato dello Sri Lanka, il cardinale Ranjjt, che afferma: "Si tratta di un momento molto, molto triste per tutti noi. È stata colpita l'intera convivenza tra le religioni nel Paese".

A Colombo il principale santuario, raso al suolo, era dedicato a sant'Antonio, figlio di san Francesco. Ogni martedì un grande pellegrinaggio verso la statua del Santo era vissuto solo dai cristiani ma anche da musulmani, hindu e buddisti. La chiesa era un santuario nazionale, ma anche un luogo di convivenza multi-religiosa.

In Sri Lanka ero stato alcuni anni fa, e le tensioni erano palpabili. Eravamo stati lì per portare la carità del nostro Paese. Per far ricostruire case, chiese e centri per la distribuzione del pane e di beni di prima necessità, nei luoghi dove si erano combattute per anni le tigri Tamil, un gruppo militare separatista nel nordest del Paese (sconfitto definitivamente nel 2009), e le etnie cingalesi diffuse nel resto dello Sri Lanka.

Ritorno ad Erbil per vivere la celebrazione di Pasqua insieme ai sacerdoti e al vescovo Monsignor Bashar Warda nella Chiesa di san Giuseppe, una delle ultime tappe del nostro viaggio nelle terre irachene. La lingua è quella aramaica, la chiesa è gremita, il coraggio non manca, ma improvvisamente va via la luce e un fremito di paura si conficca nel cuore e nell'anima. Con me Alessio Antonielli, ci guardiamo e non ci sentiamo sicuri. La luce andrà via altre due o tre volte. Ma la fede no, insieme alla paura. E al coraggio dei cristiani.

 

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