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mercoledì 30 ottobre 2019

 

Libano, via Hariri l’incertezza resta

di Enrico Campofreda 

Vaso di coccio fra quelli di ferro della coalizione che regge il Libano, il premier Hariri rassegna le dimissioni, ma a farlo cadere non sembra essere la piazza che pure ha mobilitato per due settimane la metà dell’intera popolazione.

 

Sono calcolate in oltre due milioni le presenze nelle manifestazioni che si sono succedute senza tregua, più gli scioperi, i sit-in, le molteplici proteste fino all’immenso accampamento nella piazza dei Martiri di Beirut. Ma lì ieri si sono scatenate le squadre di militanti dei Hezbollah, quelli duri e puri che rispondono al desiderio di controllo del Partito sulla vita politica nazionale. Assieme a sostenitori di Amal, che già in altre città avevano strattonato e malmenato diversi manifestanti, le due sponde della militanza fedelissima se la son presa coi sostenitori della linea della fermezza contro un Esecutivo frutto del sistema della spartizione, che il popolo per via accusa di clientele e lottizzazione. Chi non ha vicinanze politiche contesta tale sistema, lo fanno anche coloro che, pur rientrando nel quadro di appartenenze etnico-confessionali, ne denunciano la corruzione e, nella migliore delle ipotesi, la consunzione d’un processo che ha mummificato il Paese per un quindicennio. Allora per non rovesciare tutto, ecco che l’uscita dalla scena politica di Hariri, che alcuni catalogano come definitiva, può rappresentare una cancellazione che nella sostanza non cambia nulla, anche perché Saad Hariri, figlio parvenu che ha perso negli anni l’illusione di poter brillare di luce propria, secondo tanti osservatori rappresenta la maschera di un’unità nazionale dove a farla da padrone è il Partito di Dio.

 

CREATOR: gd-jpeg v1.0 (using IJG JPEG v80), quality = 85 Altre componenti, rappresentate da uomini politici che si perpetuano (Aoun, Berri, Jumblatt) sostengono il disegno per conservare la propria fazione, oltre a se stessi. In un percorso di protesta massiccio e finora pacifico, gli unici momenti di tensione sono stati i tentativi castigatori sopra citati, chiusisi comunque senza gravi conseguenze anche per l’interposizione attuata dall’esercito fra i due schieramenti. Ora potrà accadere che la gente si accontenti dell’uscita di scena del politico più esposto e chiacchierato, accetti di vederlo sostituito con un altro elemento, magari un tecnico, mentre i sostenitori del sistema decotto tirino a campare. Oppure che la nausea attorno a clientele, spartizione e corruzione continui a tracimare volendo travolgere tutto. Per poterlo fare avrà sempre più bisogno delle comunità che per anni si sono assiepate sotto il sistema di protezione ora contestato, dunque le fasce cittadine e rurali, sciite, sunnite, maronite che spaccandosi al proprio interno chiederanno un azzeramento dell’intera elité politica. Se la protesta intransigente dovesse durare la stabilità economica nazionale, cui ha fatto in più di un’occasione appello il presidente Aoun, potrebbe vacillare e con essa la tenuta politica, cui faceva richiamo Nasrallah, il segretario generale del Partito di Dio. E fra i vasi di ferro per un contrasto che non è ancora conflitto interno, quest’ultimo farebbe pesare l’organizzazione militare del gruppo rodata, peraltro, dagli anni di guerra civile siriana e sostenuta dalla prossimità dei ‘consiglieri’ iraniani. Più della felicità d’un successo sotto i cedri cresce la tensione.

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