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3 Gennaio 2019

 

Lacrimogeni sui migranti che tentano di superare il confine a Tijuana

di C. Alessandro Mauceri

 

Mentre a Washington si lotta per la gestione dei fondi per la costruzione della barriera fisica e i muri tra Messico e Stati Uniti D’America, le misure repressive degli americani sembrano farsi più dure ogni giorno che passa.
Finita nel dimenticatoio forse troppo velocemente la decisione di marcare i minori ai polsi con metodi che a molti hanno ricordato il periodo prima della II Guerra Mondiale, il nuovo anno è iniziato con le autorità statunitensi che hanno deciso di lanciare gas lacrimogeni per respingere circa 150 migranti arrivati a Tijuana il mese scorso con la carovana dell’Honduras, i quali hanno tentato di superare le recinzioni. Dell’azione si è avuta conferma ufficiale solo martedì, quando le autorità di frontiera statunitensi hanno rilasciato una dichiarazione nella quale si diceva che il gas è stato utilizzato non per colpire i migranti ma i “lanciatori di pietre” che stavano cercando di attraversare.
Diversa l’opinione dei migranti, peraltro confermata da alcuni giornalisti. Un fotografo della Associated Press ha dichiarato di aver assistito ad almeno tre raffiche di gas lanciate oltre il confine verso la spiaggia di Tijuana e che questi lanci hanno colpito i migranti, tra cui donne e bambini, oltre che gli stessi giornalisti. Il lancio di pietre sarebbe avvenuto solo dopo che i lacrimogeni erano stati sparati. L’Associated Press ha dichiarato che sulla folla sarebbero stati sparati anche proiettili di gomma. 25 migranti sono stati trattenuti, gli altri sono rientrati in Messico attraverso un buco sotto la recinzione.
Non è la prima volta che gli uomini alla frontiera ricorrono all’uso di gas lacrimogeni: era già avvenuto il 26 novembre, ed anche in quella occasione erano stati centinaia i migranti colpiti.
La carovana dei migranti partita dall’Honduras a metà ottobre ha ormai raggiunto una dimensione preoccupante: sono oltre 6mila i migranti. E molti di loro sono a Tijuana in attesa di avere la possibilità di chiedere asilo negli Stati Uniti. Altri intanto hanno cercato di trovare lavoro in Messico e di stabilirsi lì.
Lo stallo, conseguenza della lotta tra Trump e i democratici al Congresso sui finanziamenti per il muro di frontiera, ha portato ad un arresto parziale del governo.
Ma la situazione dei migranti rischia di esplodere anche all’interno dei confini Usa e per un altro motivo: molti giovani immigrati già negli Stati Uniti rischiano di vedere respinta la propria richiesta per la carta verde (il permesso di soggiorno) perché secondo l’amministrazione di Trump sono troppo “vecchi”. Una legge in vigore dal 1990 prevede ai giovani immigrati soggetti ad abuso, abbandono o negligenza da un genitore di cercare un tutore nominato dal giudice e di ottenere la carta verde per rimanere nel paese, a patto che i documenti vengano presentati prima del compimento del 21mo anno d’età. In questo modo dal 2010 oltre 50mila giovani immigrati hanno ottenuto la carta verde. Ora l’amministrazione di Trump ha dichiarato che alcuni di loro sarebbero “troppo vecchi” per farlo e avrebbe abbassato il limite a 18 anni. La decisione ha scatenato una raffica di avvisi di espulsione in molti stati tra cui New York, Texas, California e in New Jersey. Avvisi ai quali è seguita una valanga di cause legali. I funzionari dell’USCIS hanno detto di non poter commentare in attesa di contenzioso, ma che l’agenzia “continua affinché i benefici umanitari siano ammissibili per i bambini che sono stati abusati, abbandonati o trascurati”. Beth Krause, avvocato di supervisione del progetto giovani immigrati a patrocinio a New York, ha detto però che l’agenzia federale per l’immigrazione non ha l’autorità per decidere e che spetta ai tribunali emettere ordini di tutela per coprire i giovani di questa età. “USCIS ha cambiato la propria politica in un modo arbitrario e capriccioso”, ha detto Krause, “Stanno sbagliando”. Anche in California, un giudice federale ha bloccato la decisione del governo di negare ai giovani immigrati il permesso di soggiorno. Almeno per ora.

 

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