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12 Luglio 2019

 

Lenin Bukharin e l’immigrazione operaia

di Fabrizio Poggi

 

Le ultimissime vicende legate ai salvataggi in mare di migranti dai paesi che un tempo si definivano del “Terzo mondo” o, con eufemismi addomesticati, “in via di sviluppo” (a distanza di decenni, siamo oggi testimoni di quale “sviluppo” fosse loro destinato), ripropongono tra i temi più accesi, se non il tema più acceso, quello dell’atteggiamento che, anche in alcuni ambienti operai, o in settori di lavoratori sicuramente lontani dai fetori della reazione più becera, porta a invocare l’innalzamento di barriere marine e sottomarine a difesa dei privilegi domestici, a guardia delle italiche prerogative, a tutela della esclusività nostrana a esser sfruttati, noi e solo noi, dal capitale di casa nostra.

Si arriva a dire che, se proprio i “clandestini” – termine divenuto sinonimo, nella vulgata inculcata dal moderno Istituto Luce, di qualsivoglia persona non perfettamente “ariana” – devono fuggire da guerre, miseria e schiavismo imposti dalla penetrazione del capitale internazionale e dai suoi eserciti, che facciano almeno rotta su altri paesi europei, ché noi abbiamo già abbastanza problemi.

Ed è purtroppo difficile negare che esista un discreto allineamento su queste posizioni, tanto sta dando i suoi frutti il costante lavorio mediatico.

C’è chi si spinge fino a fantasiose soluzioni da Supermarina: se i “nostri” vascelli militari non riusciranno a bloccare il naviglio “nemico”, non rimarrà che minare le acque.

E non manca nemmeno chi tenta di dipingere il proprio atteggiamento con una colorazione “di lotta”: non devono fuggire, devono rimanere nella propria terra e combattere per la giustizia sociale, contro sfruttatori stranieri ed élite compradore locali, così come abbiamo fatto noi settant’anni fa. Riecheggiando in tal modo un ragionamento abbastanza diffuso tra i media di una famosa “potenza nemica”!

C’è poi chi argomenta in maniera “geopolitica”, con un disegno che sembra far rientrare anche i bombardamenti euro-atlantici nel gioco “strategico” del caos studiato a tavolino per fomentare l’immigrazione.

Sul versante opposto, domina largamente la pietas cristiana: il lato umano dell’intera questione sembra l’unico a poter tenere banco.

Anche in buona parte della sinistra, insomma, rimane abbastanza in ombra la categoria base del ragionamento marxista: quella della lotta di classe, degli interessi contrapposti tra capitalisti e operai. Se il capitale, nonostante le spacconate e le trovate propagandistiche dei propri rappresentanti politici di turno, ha necessità di lavoratori immigrati, interessato com’è a disporre di braccia che gli costino sempre meno, è interesse dei lavoratori, italiani, asiatici, europei, africani, costituire un fronte unito contro il nemico comune.

Il lavoratore collettivo contro il capitalista complessivo, contro il soggetto che davvero non conosce confini, se non quelli imposti dal calcolo costi/profitti; quello che davvero “ruba il lavoro”, che davvero, in quanto rapporto sociale, si perpetua rubando sopralavoro non retribuito ai lavoratori, bianchi, neri o gialli, regolando la spesa generale in lavoro vivo sul costo della sua voce più bassa, quella del lavoro gratuito, con l’aggiunta, sempre più spesso, di metodi supplementari di rapina antioperaia, “legittimati” dall’odierna legislazione liberista.

Da commenti Facebook di persone che si dicono “di sinistra”, o anche della cerchia direttiva di partiti della cosiddetta “sinistra radicale”: “Lo sai come la penso, ma questa capitana si è dimostrata arrogante e sprezzante delle nostre leggi; a mio parere la vedrei bene in galera, perché non c’entra niente quello che ha fatto con il salvare vite; molto probabilmente dietro c’è qualche cosa preordinata”.

Poi, per scansare il ritornello ritrito del “non sono razzista”, si puntualizza con il più soft e più specifico “tieni presente che non tifo per Salvini”; ma, in ogni caso, perché sia ancora più chiaro il concetto: “Andasse a casa sua sarebbe meglio! Il tempo non gli mancava di certo”!

Si usano anche motivi più “di concetto”, tipo: “Questa farà superare il 40% dei consensi alla Lega” e, in risposta a obiezioni, “Sono d’accordo che Matteo Salvini è un coglione che avrà la parabola politica e farà la fine del precedente Matteo (quello di Rignano). Ma il suo senso comune, e la guerra fra poveri si acuiranno anche senza di lui, finché a sinistra si asseconderà l’importazione di schiavi in assenza di integrazione né di proposte politiche risolutive al disastro umanitario prodotto dall’imperialismo…e finché addirittura si ‘tiferà’ per i moderni negrieri, che fanno soldi sulla disperazione”.

Al massimo, cioè, si individuano gli effetti umani del saccheggio imperialista dei paesi del “Terzo mondo”. In generale, nell’afflusso di migranti, di forza-lavoro a bassissimo prezzo, necessaria all’ingordigia di profitto del capitale industriale e agrario, si vede solo la minaccia al proprio “diritto” esclusivo a servire quel medesimo capitale industriale e agrario.

Quasi che la classe operaia, i lavoratori della “metropoli”, chiusi nella “propria” fabbrica, al servizio del “proprio” padrone, fatichino a individuare il “padrone collettivo”, il capitale complessivo costantemente ossessionato dalla riduzione dei costi di produzione, a partire proprio dal costo per lui rappresentato dall’operaio, e fatichino a contrapporre a quel “padrone collettivo”, la forza comune dei lavoratori, “di casa” e immigrati.

Quasi che decenni di legislazione liberista sul lavoro, di libertà padronale a imporre “contratti” schiavistici o rifiutare completamente qualsiasi contratto, rientrino nella normalità dello sviluppo e della modernità o, al massimo, rappresentino una questione interna ai confini patrii e non scaturisca dalla evoluzione dell’intero sistema capitalista e dei suoi rapporti di sfruttamento, che attanagliano insieme lavoratori bianchi, neri, gialli…

Quanto, in tale contesto ideale, in tale riflusso di coscienza, di troppo fiacco contrasto allo strapotere mediatico padronale, abbia influito il liquefarsi della sinistra e influisca oggi l’organizzazione ancora troppo debole dei comunisti, è un discorso che richiede molto più spazio.

 

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Citazioni…

A tutti è noto il fatto, il “grossolano” fatto empirico della caccia alla manodopera coloniale. Su cosa si fonda? Perché il capitale ricerca “lavoro giallo”? Forse perché c’è carenza di altra manodopera, o perché non può esistere senza operai coloniali supplementari in quanto i “suoi” sono insufficienti”? Niente affatto! La ragione è semplicemente che, essendo alla caccia del massimo profitto, ricerca manodopera più a buon mercato, e al tempo stesso si sforza di applicare il tasso di sfruttamento più elevato ecc. Questa diversità nella retribuzione del lavoro, dalla quale dipende funzionalmente il livello del profitto, è la vera ragione di questa caccia. [N. Bukharin – L’imperialismo e l’accumulazione del capitale, 1926]

… (dal punto di vista delle motivazioni capitalistiche) già il “mantenimento di sempre più grandi schiere di lavoratori” può aver come scopo l’accumulazione, e in generale lo ha effettivamente. … L’assunzione di operai addizionali genera una domanda addizionale che realizza proprio quella parte del plusvalore che deve essere accumulato, ossia la parte che deve trasformarsi necessariamente in capitale variabile funzionante addizionale. 32 i capitalisti assumono lavoratori addizionali dai quali poi risulta proprio la domanda addizionale. [N. Bukharin – idem]

Allo stesso modo come nel quadro della “economia nazionale” la distribuzione della forza lavoro fra i diversi settori produttivi viene regolata dal livello del salario, che tende a divenire uguale, allo stesso modo anche nel quadro dell’economia mondiale ha luogo questo processo di livellamento delle diverse norme salariali attraverso le emigrazioni. … Così viene creata sul piano mondiale la corrispondenza fra la domanda e l’offerta delle “braccia lavorative”, nella proporzione che è necessaria al capitale. … Al movimento della forza lavoro come uno dei poli dei rapporti capitalistici corrisponde il movimento del capitale come l’altro suo polo. Allo stesso modo come nel primo caso il processo del movimento viene regolato dalla legge del livellamento del saggio del salario, nel secondo ha luogo il livellamento internazionale del saggio del profitto. [N. Bukharin – L’economia mondiale e l’imperialismo, 1915]

(…) In commissione si è avuto un tentativo di difendere punti di vista strettamente corporativi, di procedere a vietare l’immigrazione di operai da paesi arretrati (coolies dalla Cina e altri). Si tratta dello stesso spirito aristocratico che c’è tra i proletari di alcuni paesi “civilizzati”, che ricavano determinati vantaggi dalla loro posizione privilegiata e pertanto inclini a dimenticare le istanze della solidarietà internazionale di classe. – (…) – … è emerso il dissenso tra opportunisti e rivoluzionari. I primi sono presi dall’idea di limitare il diritto a migrare degli operai arretrati, non sviluppati, soprattutto giapponesi e cinesi. In tali persone, lo spirito ristretto, di chiusura corporativa, di esclusivismo trade-unionista ha avuto il sopravvento sulla coscienza dei compiti socialisti: del lavoro per l’educazione e l’organizzazione di strati proletari non ancora attratti nel movimento operaio. [Lenin – Il Congresso socialista internazionale di Stoccarda, settembre 1907]

Il capitalismo ha creato un tipo particolare di migrazione dei popoli. I paesi che dal punto di vista industriale si sviluppano in fretta, introducendo nuovi macchinari, eliminando dal mercato mondiale i paesi arretrati, aumentano i salari al di sopra della media e attirano operai salariati dai paesi arretrati.

Centinaia di migliaia di operai si spostano in tal modo per centinaia e migliaia di vërste. Il capitalismo avanzato li trascina a forza nel proprio vortice, li strappa dai posti sperduti, li rende parte del movimento storico mondiale, li mette faccia a faccia con la possente, unita, classe internazionale degli industriali.

Non c’è dubbio che solo l’estrema miseria costringe le persone ad abbandonare la patria, che i capitalisti sfruttano nel modo più sfrontato gli operai migranti. Ma solo i reazionari possono chiudere gli occhi sul significato progressivo di questa moderna migrazione di popoli. La liberazione dall’oppressione del capitale non c’è e non può esserci al di fuori dell’ulteriore sviluppo del capitalismo, al di fuori della lotta di classe sul suo terreno. Proprio a tale lotta il capitalismo attrae le masse lavoratrici di tutto il mondo, rompendo l’immobilismo e l’arretratezza della vita locale, distruggendo gli steccati nazionali e i pregiudizi, unendo insieme gli operai di tutti i paesi nelle grandi fabbriche e miniere d’America, Germania, ecc.

(…) Quanto più arretrato è un paese, tanto più fornisce operai non qualificati, “manovali”, braccianti. Le nazioni avanzate prendono per sé, per così dire, le occupazioni a più alto salario, lasciando ai paesi semibarbari quelle peggiori.

(…) La borghesia aizza gli operai di una nazione contro gli operai dei un’altra, cercando di dividerli. Gli operai coscienti, comprendendo l’inevitabilità e il carattere progressivo della rottura di tutti gli steccati nazionali da parte del capitalismo, cercano di aiutare l’educazione e l’organizzazione dei loro compagni dei paesi arretrati. [Lenin – Il capitalismo e l’immigrazione degli operai, ottobre 1913]

Nel novero delle particolarità dell’imperialismo, legate coi fenomeni descritti, rientra la diminuzione dell’emigrazione dai paesi imperialisti e l’aumento dell’immigrazione (arrivo di operai e migrazione) in questi paesi dai paesi più arretrati, con salari più bassi… L’imperialismo ha la tendenza a selezionare tra gli operai settori privilegiati e dividerli dalla più larga massa del proletariato. [Lenin – L’imperialismo come fase suprema del capitalismo, gennaio-giugno1916]

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