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16/07/2019 

 

Rifugiati, ai confini dell’umanità

di P. Camillo Ripamonti

Presidente Centro Astalli

 

Quando si costruisce un muro o si definisce una frontiera si fa in modo che sia visibile e appaia senza tempo. Ma lo sappiamo, i confini e le frontiere sono opera delle mani degli uomini, sono costruiti e tracciati per ragioni politiche o economiche. Sono destinati a cadere o a essere rimaneggiati con il tempo, ma è proprio quel frattempo che causa spesso alle persone dolore e sofferenza.

Trent’anni fa, il 9 novembre 1989, cadeva il muro di Berlino, uno dei simboli della “Guerra Fredda” e le ombre della minaccia nucleare parvero allontanarsi nel progetto dell’Europa casa comune, all’insegna dello slogan “unità nella diversità”. Oggi l’Europa è nuovamente percorsa da chilometri di muri e barriere, inoltre abbiamo trasformato il mar Mediterraneo in zona di frontiera. 

Non si conosce il numero esatto delle persone morte mentre cercavano di raggiungere Berlino ovest attraversando il muro, forse alcune centinaia. Si stima invece siano più di 30 mila le persone che dal 1990 hanno perso la vita cercando di raggiungere l’Europa via mare o via terra, attraversando le innumerevoli barriere poste per bloccare la mobilità di quei viaggiatori “non qualificati” (se prescindiamo da definizioni più spregiative). Il costo umano delle barriere in un’Unione Europea nata per abbatterle è decisamente inaccettabile.

«Coloro che costruiscono muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito», ha commentato Papa Francesco. Il valore simbolico dei muri va oltre quello fisico e rischia di far morire la capacità di sognare e la speranza. Sottraendo spazio e occasione all’incontro e alla conoscenza, si moltiplicano le incomprensioni, gli attriti, i conflitti e la violenza. I muri impediscono di guardare oltre, non permettono di vedere l’orizzonte, ma soprattutto di immaginarlo costruito con coloro che stanno oltre, considerati nemici. I muri non consentono di sognare insieme un futuro possibile, di immaginare una realtà di opportunità e di pace. Limitano la libertà di tutti, invitano a ripiegarsi in un atteggiamento di diffidenza e chiusura. 

Un mondo che isola, scarta, lascia indietro e che si chiude su se stesso, non è un mondo desiderabile. Come accogliamo o non accogliamo i migranti forzati - lasciandoli soli in mezzo al deserto, nei centri di detenzione apparentemente temporanei, negando loro un approdo e un porto sicuro – prima o poi dirà inequivocabilmente chi siamo. Raccogliendo la sfida delle migrazioni in un mondo globale possiamo imparare a convivere come diversi, oltrepassando questo difficile confine; pena il rischio di sacrificare il nostro senso di umanità. Queste, forse, sono oggi le nostre Colonne d’Ercole. 

 

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