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9/10/2019 

 

La latitanza della Nato, silente e inerte dinanzi alle violazioni della Turchia

 

Una confrontazione militare tra l’esercito turco di Erdogan e le milizie curde si connoterebbe inevitabilmente come un conflitto asimmetrico, ossia l’unica fattispecie riconoscibile nei più disparati scenari di conflitto dopo la fine della guerra fredda. Asimmetria ancora una volta che non riguarda le dimensioni delle forze in campo quanto la loro identità: un esercito regolare, quello turco, contrapposto a bande armate, quelle curde; e francamente duole usare la definizione non lusinghiera di “banda” per un popolo fiero, determinato e coraggioso come quello curdo che a mani nude o quasi, ha determinato la disfatta di Isis nella Siria e nell’Iraq. Cosa che tutti ora, Usa in testa, sembrano aver dimenticato.

Senza parlare della latitanza della Nato che ancora oggi tollera, silente ed inerte, che un suo paese membro, la Turchia, si appronti ad infliggere ulteriori sofferenze al popolo curdo, in totale ed arrogante disprezzo dei principi fondanti dell’Alleanza, nata per preservare la pace e per proteggere i più deboli dalle angherie militari del prepotente di turno.

In un immaginabile conflitto, a bassa o alta intensità che sia, è lecito come minimo attendersi, almeno da noi paesi partner della stessa Alleanza, che i rubinetti delle utilità operative della Nato vengano chiusi e sigillati, e che ad esempio non si fornisca alla Turchia alcun tipo di intelligence, rappresentazioni radar, documentazione operativa, parti di ricambio ed assistenza di vario tipo. Sperando poi che questa ulteriore prova di riottosità al rispetto delle regole comuni inneschi una riflessione più profonda sulla permanenza stessa a queste condizioni della Turchia nella Nato con una membership piena.

Tornando agli aspetti tecnici di un deprecabile, ma eventuale conflitto aperto, è noto che la Turchia dispone di uno strumento militare aggiornato, motivato e di dimensioni considerevoli. Per quanto attiene alla componente aerea, arma non risolutiva da sola, ma certamente indispensabile a determinare gli equilibri in campo, basti pensare che la Turchia ospita annualmente sulla base di Konya, in Anatolia, le esercitazioni più sofisticate sull’impiego delle forze aeree e sulle più aggiornate tecniche di sfruttamento dei sistemi d’arma, esercitazioni di alto livello e sofisticazione cui altre aeronautiche progredite, tra cui la nostra, partecipano con regolarità. Ed ovviamente l’aeronautica turca, pur colpita più di ogni altra forza armata dall’epurazione di Erdogan dopo il golpe del 2016, è accreditata di una adeguata efficienza operativa e della disponibilità di mezzi ingenti ed aggiornati. Tra l’altro la Turchia ha acquisito pure la capacità unmanned (droni), con mezzi non proprio allo stato dell’arte sia come dimensioni capacitive sia come armamento, e tuttavia, in uno scenario asimmetrico in cui tali sistemi sono ormai irrinunciabili, anche quelli turchi si potrebbero dimostrare efficaci e letali. 

Disparità incolmabile anche nelle forze terrestri dove a fronte delle poche migliaia di donne e uomini curdi armati con dotazioni individuali ci sarebbe uno dei più vasti eserciti della Nato, forgiato da un disciplina ferrea, da sempre affiancato agli alleati statunitensi per mantenere lo stato dell’arte nelle capacità e nelle performance operative, con un inventario di armamento completo di tutto e sopratutto con forze speciali ben preparate, dimensionate e determinate.

Purtroppo le fosche previsioni non si fermano qui, potendo facilmente prevedere da parte turca, un uso indiscriminato della forza, nell’inosservanza ancora una volta di un solido ed irrinunciabile principio della Nato che nell’attività di pianificazione delle operazioni belliche, non deroga dal mettere sempre in priorità uno quello della salvaguardia della vita umana dei non combattenti.

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