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26 febbraio 2019

 

Dietro le quinte del nuovo incontro tra Kim Jong-un e Trump

di Eleonora Lorusso

 

Una Hanoi blindata ospita il summit Corea del Nord-Stati Uniti. Negoziatori, interessi e strategie dei due leader, a caccia di risultati e consensi. Ma ancora divisi da sospetti e promesse disattese.

 

A otto mesi dal primo storico incontro e alla vigilia del secondo faccia a faccia tra Donald Trump e Kim Jong-un, in programma il 27 febbraio, la tensione che si respirava a Singapore pare essersi sciolta. In Vietnam, dove il primo ad arrivare è stato il leader nordcoreano, il clima è quello di una festa con bandierine lungo le strade, fiori alle finestre, ma anche un imponente dispiegamento di forze di sicurezza intorno all’area blindata dove alloggiano i due leader, nel centro di Hanoi. Dopo la stretta di mano del giugno 2018, ora è il momento dei fatti, con forti interessi in gioco da entrambe le parti: il presidente statunitense mira a portare a casa un risultato concreto in politica estera, per rafforzare la sua immagine nel pieno della crisi venezuelana e dopo l’annuncio del disimpegno in Siria e Afghanistan e mentre resta aperta la questione interna del muro col Messico. Ma anche per potersi presentare agli americani, in vista delle Presidenziali del 2020, come colui che ha chiuso il capitolo con l’ex “Stato canaglia”. Kim Jong-un, invece, punta alla riduzione delle sanzioni economiche e a solidi aiuti economici per un Paese nel quale anni di embargo hanno prodotto una forte crisi.

 

OBIETTIVO DENUCLEARIZZAZIONE: FARI SUL SITO DI YONGBYON

Per entrambi, sulla carta, la parola d’ordine è denuclearizzazione. «Il processo di denuclearizzazione inizierà molto presto», aveva assicurato il capo della Casa Bianca il 12 giugno 2018 da Singapore, firmando un documento congiunto con il leader nordcoreano, di fatto rimasto lettera morta. Nel mirino, in particolare, il sito di Yongbyon, vero cuore della produzione e dello stoccaggio di armi nucleari di Pyongyang che, secondo gli esperti di 38 North che hanno analizzato le immagini satellitari, è ancora operativa, anche se l’arricchimento dell’uranio sembrerebbe fermo. Pyongyang aspetta, infatti, la cancellazione o un alleggerimento delle sanzioni, per ridare fiato a un’economia e a una popolazione stremate. La rinuncia al nucleare arriverebbe solo dietro garanzie per la sicurezza del Paese, ma anche un possibile avvio di scambi commerciali e magari lo stop al divieto di recarsi in Corea del Nord per i cittadini americani.

 

 

Hanoi blindata in vista del vertice tra Kim Jong-un e Donald Trump.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MENO PROVE DI FORZA: I (PICCOLI) SEGNALI DI DISTENSIONE

I passi avanti compiuti finora consistono soprattutto nella fine delle dimostrazioni di forza del passato. Dal 2017 non ci sono più stati lanci di missili balistici né nucleari, anzi sono iniziate la riconsegna di prigionieri americani e quella delle salme delle vittime della guerra di Corea del 1950-53. Ma soprattutto a Washington non sono passare inosservate le mancate parate militari dell’8 e del 16 febbraio (anniversari della fondazione dell’esercito e della nascita dell’ex leader Kim Jong-il) e la cessazione della dura campagna di retorica anti-Usa. D’altro canto, anche le esercitazioni militari tra Washington e Seul sono state fortemente ridimensionate, anche se gli Usa sono ancora presenti in Corea del Sud con 28.500 soldati, sul cui ritiro il Pentagono (supportato dall’intelligence Usa) si è mostrato restio. Dubbi arrivano anche dal Center for Strategic and International Studies di Washington, che sospetta che il regime nordcoreano possa contare su una ventina di basi missilistiche non dichiarate, compresa quella di Sino-ri, da dove potrebbero essere lanciati i No Dong-1, missili balistici a medio raggio in grado di raggiungere la base Usa di Guam, nell’Oceano Pacifico, già al centro di minacce passate da parte di Kim Jong-un.

 

La scelta di Hanoi per il vertice non è stata casuale. È la capitale di uno Stato dal passato comunista e contro il quale gli Usa hanno lungamente combattuto, salvo poi avviare un processo di distensione dei rapporti e di scambi commerciali che ha permesso al Paese di diventare una delle economie con il maggiore tasso di crescita al mondo. Un esempio per la Corea del Nord di quanto i rapporti diplomatici distensivi e la collaborazione abbiano giovato a un ex nemico.

 

GLI UOMINI DEL DISGELO: DA PARK CHOL A BIEGUN

Ora le trattative sono state affidate a una serie di figure chiave. Tra queste c’è il capo negoziatore del regime nordcoreano, l’ex generale 74enne Kim Yong-chol, braccio destro di Kim Jong-un, ex membro di spicco dei servizi segreti militari e capo delegazione alle Olimpiadi invernali in Corea del Sud, dove è iniziato il disgelo diplomatico. È stato lui a consegnare una lettera a Trump da parte di Kim Jong-un. Centrale anche il ruolo di Park Chol, vice presidente della Commissione Coreana per la Pace nell’Asia-Pacifico, che mantiene i rapporti con Seul. Per gli Usa il terreno è stato preparato dal segretario di Stato Mike Pompeo (ex numero uno della Cia), primo ad arrivare ad Hanoi. Alla vigilia del vertice ha mostrato ottimismo, ma anche cautela («potrebbe servire un altro incontro»), dicendo di non avere fretta. D’accordo un altro uomo-chiave come Stephen Biegun, inviato statunitense per la questione nord-coreana, che in un recente intervento alla Stanford University di Palo Alto, in California, ha detto: «Con il completamento della denuclearizzazione, siamo pronti a esplorare con la Corea del Nord e con molti altri Paesi il modo migliore per mobilitare investimenti, migliorare le infrastrutture e innalzare la sicurezza alimentare».

 

OLTRE HANOI: QUELLO IN VIETNAM NON SARÀ L'ULTIMO SUMMIT

Le trattative non possono non tenere conto anche del ruolo del presidente sud-coreano, Moon Jae-in, fin da subito mediatore principale nei rapporti tra Usa e Corea del Nord e che, nonostante le smentite della vigilia, potrebbe volare a Hanoi per il vertice. Il summit è destinato a non essere l’ultimo, come lasciato intendere dallo stesso Trump pochi giorni prima di partire: «Non ho revocato le sanzioni. Mi piacerebbe poterlo fare, ma per quello c’è bisogno che ci sia qualcosa di significativo dall’altra parte». Il programma entra nel vivo con l’arrivo di Trump nella serata del 26 febbraio. Intanto Kim Jong-un, giunto nella notte italiana, è pronto a incontrare il presidente vietnamita e segretario del Partito comunista, Nguyen Phu Trong, che ha in programma anche un bilaterale con il capo della Casa Bianca. Solo nel pomeriggio di mercoledì 28 febbraio il primo incontro tra Trump e Kim, affiancati dai rispettivi interpreti e da due consiglieri per ciascuno: Pompeo e Biegun per Trump, mentre per Kim Jong-un si parla del fidato Kim Yong-chol e della sorella, Kim Yo-jong, già protagonista dei precedenti summit con Trump e con Moon Jae-in.

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