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22.06.2019 

 

Palestina: questa terra non è in vendita

di Patrizia Cecconi

 

La quasi secolare questione palestinese, sempre più imbrigliata nelle maglie dell’ingiustizia, ancora ieri ha visto la risposta sanguinaria di Israele a chi chiedeva, a mani nude, il rispetto della legge, ovvero della Risoluzione Onu 194 che da 71 anni è rivendicata e da 71 anni è disattesa senza che per questo Israele abbia mai avuto sanzioni.

Il piano Trump, cioè quello che il genero-consigliere Kushner, sionista convinto e dichiarato sostenitore dei coloni fuorilegge, ha definito “ottimo piano aziendale”, sta assumendo un alone da mappa misteriosa degna più di un romanzo di Stevenson che di un piano politico o, per meglio dire, da quel che se ne sa, economico. Notizie che appaiono e scompaiono. Ipotesi di presentazioni plurifase, inviti ancora in parte segreti ne fanno davvero una trama da “Isola del tesoro”.

Intanto, da quel che è emerso, risulta chiaro che il piano è inaccettabile da parte palestinese e su questo sono miracolosamente d’accordo tutte  le leadership palestinesi, visto che questa sorta di nuovi agenti immobiliari americani  “inviati da dio” cercherebbe di tacitare, comprandolo per denaro, un popolo che dopo oltre 71 anni  seguita a resistere all’occupazione, ovvero alla colonizzazione da insediamento ormai addirittura rivendicata dall’occupante come chiaro obiettivo che viene fatto risalire a una volontà divina. Vista laicamente la questione è a dir poco grottesca ed è evidente a chiunque che si tratta semplicemente di un processo di annessione tendente a distruggere le rivendicazioni politiche e le peculiarità sociali, culturali e persino etniche del popolo palestinese.

Contro il piano Trump si stanno organizzando sit-in anche dai palestinesi della diaspora sulla parola d’ordine “La Palestina non è in vendita” e per questo anche la Grande marcia del ritorno che da 63  venerdì si tiene a Gaza lungo il confine dell’illegale assedio, aveva come ultima parola d’ordine “This land is not for sale”, questa terra non è in vendita. La risposta ai manifestanti disarmati che chiedevano il rispetto della legalità internazionale  l’hanno data ancora una volta droni e cecchini israeliani, e i feriti palestinesi, solo ieri, sono stati circa 80 che sono andati a sommarsi agli oltre 20.000 che Israele – mantenendo il distintivo di Stato democratico che nessuna istituzione internazionale ha l’onestà di togliergli – ha fatto in questi mesi. Senza dimenticare gli oltre 300 martiri,  tra cui bambini, personale medico e giornalisti ben identificabili come tali il che si configura come crimine di guerra.

Non è ozioso ripetere che i ferimenti e le uccisioni di soccorritori sanitari  e  giornalisti,  si configurano per la legge internazionale come crimini di guerra i quali sarebbero già bastanti, vista la loro reiterazione pluridecennale, a far cadere  quel distintivo improprio di Stato democratico e a condannare Israele in nome della legalità internazionale. Ma si sa che Israele ha un manto protettivo che lo rende impermeabile al diritto internazionale e fino ad oggi l’unica cosa possibile, seppur di scarsa utilità, è stata quella di osservare e far conoscere. Il nostro compito si ferma qui.

Intanto, mentre Israele fa il bello e il cattivo tempo in tutta la Palestina e non solo, con l’Iran nel mirino in tandem col padrino Usa, in Bahrein tutto è pronto per il prossimo 25 giugno, data in cui andrà in scena, in forma di forum internazionale organizzato dagli USA,  la pièce detta “pace economica”, quella che tutti i rappresentanti dei palestinesi rifiutano e per la quale ieri, a Roma, tutte le componenti rappresentative della diaspora in Italia si sono riunite nella sala della Stampa Estera ed hanno pubblicamente ed unanimemente rifiutato, senza distinzione tra fazioni politiche,  il piano Kushner-Trump definito come “un tentativo di scambio commerciale tra i diritti storici dei palestinesi e qualche commerciante di passaggio” come affermato da Samir Al Qaryouti, il quale ritiene che la Palestina stia vivendo il “periodo più critico e pericoloso della sua esistenza” e che dietro i ricchi investimenti promessi c’è il tentativo di annientare quelle che sono “le fondamenta di questa causa, cioè il diritto dei profughi, il problema degli insediamenti e l’occupazione”.   A lui fa eco Mohammed Hannoun esponente di diverso orientamento politico ma perfettamente in linea circa il cosiddetto “accordo del secolo” denunciando, inoltre, “la complicità di alcuni governi arabi” e inviando un “appello a tutti i paesi arabi a boicottare questo forumperché è il momento di schierarsi apertamente con i diritti del popolo palestinese, la loro lotta e il rispetto dei diritti umani“.

La pièce della “pace economica”, comunque e a prescindere dal rifiuto dei palestinesi, sarebbe lo stesso andata in scena senza di loro e questo la dice lunga sulla totale mancanza di considerazione per il soggetto di cui si andrà a discutere, trasformandolo da soggetto di diritti irrinunciabili  in oggetto  nelle mani del potere economico dei padroni del mondo e dei loro alleati.

Il Primo ministro dell’ANP, Mohammed Shtayyeh, aveva già espresso da Ramallah il suo dissenso verso qualunque ipotesi che scavalcasse la questione politica e la fine dell’occupazione affermando “non soccomberemo al ricatto e all’estorsione e non abbandoneremo i nostri diritti nazionali per denaro” e il ministro dello Sviluppo Economico ha ripetutamente dichiarato che ogni palestinese che dovesse prendere parte al forum, o workshop come è stato definito nella sua ultima versione, sarà considerato “un collaboratore degli Usa e di Israele”.

Si sa, infatti, che nella logica bottegaia più che diplomatica, gli inviti all’incontro dal quale sono esclusi i rappresentanti della Palestina,  sono andati anche ad uomini d’affari palestinesi immaginando che davanti al dio-denaro qualche singolo mercante possa rompere il fronte del no che va da Gaza a Ramallah ai campi profughi in Medio Oriente, alla diaspora in Occidente.

L’arroganza statunitense è tale che vengono promessi miliardi per comprarsi il consenso dopo aver tagliato centinaia di milioni già spettanti, che si è schiaffeggiata la Palestina cacciando la sua delegazione diplomatica  da Washington, che si è negato l’ingresso negli USA ad Hanan Ashrawi, una delle figure più rappresentative dell’Olp, che si massacrano costantemente i palestinesi che chiedono i loro diritti e si assedia criminalmente la Striscia di Gaza,  e dopo tutto questo, e anche altro, Kushner, il genero-consigliere difensore dei coloni fuorilegge  ha la sfrontatezza e l’ipocrisia di dire che “Il popolo palestinese merita un futuro di dignità e l’opportunità di migliorare la propria vita (e) il progresso economico può essere raggiunto solo con una solida visione economica e solo qualora i problemi politici di base vengano risolti”. Quali sono secondo lui i problemi “politici di base” visto che i diritti irrinunciabili del popolo palestinese vengono trattati alla stregua di richieste impossibili e i cecchini assoldati ad hoc dallo Stato ebraico sparano a vista contro chi semplicemente ora gridare “rispettate la Risoluzione 194”?

Basta uno sguardo semplicemente onesto per capire che si è di fronte a una grande farsa, tanto assurda quanto offensiva per la dignità di un popolo che da quasi un secolo viene tormentato e che comunque resiste. A Kushner ha risposto il capo negoziatore dell’Anp, Saeb Erekat, affermando che quello posto in essere dagli Usa non è un negoziato ma un’imposizione e i palestinesi sono determinati a respingerla.

Questa terra non è in vendita, ripetono all’unisono i palestinesi e se qualche “uomo d’affari” deciderà di lasciarsi comprare non sarà questo a chiudere la partita, neanche se cercherà di ripararsi dietro la partecipazione, data al momento per certa da parte del Segretario Onu il quale, in questo modo, riconfermerà nei fatti che non esiste un autorevole sede super partes per il rispetto dei diritti umani e metterà un altro chiodo sulla bara del Diritto internazionale.

 

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